Che le nostre esportazioni viaggino bene è cosa risaputa. Che il valore medio stia crescendo è pure un dato accertato. Ma che questi elementi servano per deriderci ci sembra proprio troppo! Con la disinvoltura che contraddistingue le autorità doganali russe (Fts), in queste ore il vino italiano è alla mercè di una decisione discriminatoria che potrebbe vanificare tutte le attenzioni che i nostri operatori hanno dedicato a quel mercato.
Una recente decisione della dogana russa sui vini italiani ha modificato il valore minimo (il cosiddetto “customs profile”) dei vini italiani fissandolo a partire dal 4 luglio, al livello di 3 dollari per litro (2,12 euro per litro), quindi 1,60 euro per il formato da 0,75 litri. Finora non c’era un valore minimo per il vino italiano e tutti gli importatori dichiaravano il costo reale del prodotto. Contemporaneamente, sono stati fissato valori minimi per i vini francesi e spagnoli al livello di 1,22 euro al litro e 0,80 euro e per la bottiglia da 0,75 litri, valori che consideriamo più fedele alla realtà. Ma è evidente che in questo modo i vini italiani vengono automaticamente posti in posizione di svantaggio.
Il valore in dogana è il valore totale del prodotto quando arriva al punto russo di sdoganamento, include cioè il prezzo franco fabbrica del vino, il costo l’intero costo di trasporto, le accise e il costo delle fascette (banderols). Questo valore in dogana è la base per il calcolo dei dazi doganali, che rappresentano il 40% del valore in dogana, di cui 20% l’accisa, 18% di Iva e il resto - per il pagamento dei diritti doganali. Con un valore minimo di 1,60 euro a fine percorso avremo un aumento del prezzo al pubblico del 30% sugli scaffali della distribuzione moderna … come a dire che ci ritroveremo fuori mercato!
La situazione è particolarmente drammatica se si considera che la fascia di prezzo, franco fabbrica di 1 euro, copre l’80% del mercato del vino italiano in Russia.
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