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GASTRONOMIA E SOCIETÀ

La ristorazione mondiale di fronte alla sfida Covid-19: tra solidarietà e un futuro da ripensare

Un panel di grandi chef, da ogni angolo del globo, riuniti dal Basque Culinary Center per capire il ruolo della gastronomia oggi e domani

In Italia il settore della ristorazione è sul piede di guerra, non tanto e non solo per la data della riapertura, slittata con l’entrata in vigore dell’ultimo Dpcm sulla gestione della Fase 2 all’1 giugno, quanto per l’incertezza e la quasi totale assenza di sostegni adeguati, economici e legislativi. Problemi che stanno vivendo, o vivranno, migliaia - se non milioni - di ristoratori in tutto il mondo, che vedono mancare la terra sotto i piedi, ma che vivono anche altre esigenze, più o meno emergenziali, che portano a profonde riflessioni sul ruolo stesso della gastronomia di fronte alle sfide di oggi, ma anche sulle forme che potrà e dovrà assumere domani, una volta finita l’emergenza Covid-19. Argomenti finiti al centro della conferenza online “Come affronta la gastronomia la sfida del Coronavirus?”, organizzata dal Basque Culinary Center, centro di formazione, ricerca e innovazione per lo sviluppo del settore gastronomico tra i più importanti al mondo, fondato nel 2009 a San Sebastiàn. Intorno al tavolo - virtuale - un panel di chef e protagonisti della gastronomia in collegamento da ogni angolo del mondo, dalla Spagna al Venezuela, dalla Gran Bretagna al Brasile, fino al Ghana, seguiti da quasi mille giornalisti del settore, compreso WineNews.
Due, alla fine, sono i grandi temi emersi: il primo riguarda l’attualità, e quindi la corsa alla solidarietà, mettendo in campo le conoscenze e le energie per dare a chi ne ha bisogno un pasto caldo. Argomento tutt’altro che banale, perché l’emergenza sanitaria ha trasformato anche le città occidentali in zone “di guerra”, e nei Paesi più poveri, dove la crisi si aggiunge a ritardi economici strutturali e sistemi politici anti democratici, quella degli chef è diventata una vera e propria missione. E poi, c’è da immaginare il dopo, non solo da un punto di vista organizzativo, ma filosofico, perché il lungo lockdown ha portato riflessioni profonde, e per la maggior parte condivise nel mondo dell’alta cucina, sul ruolo stesso della gastronomia, come elemento fondante della sostenibilità e del rispetto per l’ambiente. Perché se è vero che dall’agenda della politica, e per forza di cose dell’informazione, sembra non trovare spazio, il grande tema dell’ambiente è ancora sul tavolo, e la stasi a cui sono costrette le filiere produttive ci restituisce, visivamente, il peso delle nostre azioni sugli ecosistemi, ma anche tutte le nostre fragilità, ancor di più di fronte ad un nemico invisibile.
“A Madrid, dopo le prime notizie positive di un calo dei contagiati, viviamo ancora nell’incertezza e nel dubbio”, racconta Diego Guerrero, due stelle Michelin con il suo Dstage Concept nella capitale spagnola e nel board del Basque Culinary Center. “La realtà ha paralizzato il mondo, sotto ogni punto di vista. Un ritorno ad una riapertura è complesso, il rischio è che non sia economicamente sostenibile. Per quello che vediamo, bisogna avere cautela, nonostante la voglia di riaprire. La fretta in questa situazione non è una buona consigliera. Vogliamo aprire ma vogliamo sapere anche come farlo. E capire che misure economiche e sociali verranno prese. Qui si parla, alla riapertura, di un 30% della produttività, ossia una morte annunciata. La situazione non ha precedenti, e nessuno ha la soluzione giusta, dipende molto dai settori, ma di sicuro ci vuole grande flessibilità e voglia di contribuire al dibattito, senza fare solo polemica. Nel frattempo, essere di aiuto agli altri è anche essere aiuti a sé stessi, vuol dire darsi un senso e dare un senso al nostro lavoro, seguendo quella che è una vera e propria vocazione. Con José Andres, siamo impegnati da anni a dare da mangiare alle vittime delle catastrofi (con la Ong World Central Kitchen, ndr), e questa lo è, anche in una città come Madrid, dove cuciniamo per il personale sanitario, alla linea del fronte. Senza dimenticare ovviamente migranti e senza tetto. Alla fine facciamo quello che facciamo sempre, cercare di rendere felici le persone per cui cuciniamo, in questo caso in un modo ancora più importante. Per il domani - continua Diego Guerrero - io non credo che torneremo a come eravamo prima, tutto questo ci sta svegliando, ci fa rendere conto delle nostre fragilità e ci rende coscienti di tutto ciò che abbiamo fatto male, rispetto al mondo ed alla società che abbiamo costruito. Forse quella che prima era la nostra normalità non era normale: dovremo rivedere le nostre priorità, riprenderci il tempo, specie per quelle cose che non avevano spazio nel sistema in cui abbiamo vissuto finora, ossia quasi tutto ciò che non è, in un certo senso, monetizzabile”.
Dai Paesi Baschi, uno degli chef più rivoluzionari degli ultimi anni, Eneko Atxa, tre stelle Michelin con il suo Azurmendi, prende la palla al balzo, parlando di “usare la gastronomia per creare una società migliore. Ci troviamo di fronte ad una crisi finanziaria globale, inaspettata, ma dobbiamo lasciare da parte chi siamo e pensare in primo luogo all’alimentazione: per me la gastronomia è una medicina necessaria, anche per portare idee nuove alla società, pensando in maniera ampia e multidisciplinare. In queste settimane, intanto abbiamo visto come la gente abbia smesso di comprare prodotti pronti (la cosiddetta quinta gamma, ndr), riscoprendo le materie prime e il piacere della cucina. In Spagna la pandemia è arrivata piano per deflagrare con forza e farci sentire tutta la nostra fragilità. Difronte a tutto questo, non c’è una soluzione univoca, bisogna ascoltare e fidarsi della scienza. Ma anche ripensare al futuro, a partire dalla conoscenza, da piegare in modo creativo alle nostre necessità. Per fare un piccolo esempio in tema di flessibilità, l’idea è che, aspettando la normativa definitiva, dovremo usare la nostra creatività per adattarci alle necessità, convertire gli obblighi in qualcosa di bello e non lasciare che andare al ristorante diventi un’esperienza “ospedaliera”. Ovviamente, è solo una metafora di ciò che dovremo fare. Questo periodo - aggiunge Eneko Atxa - mi ha fatto pensare all’immanenza delle cose, penso al cambiamento climatico, perché il mondo della gastronomia in questo ha un ruolo fondamentale. Pensiamo alle emissioni: l’alimentazione pesa per il 18% delle emissioni globali, per questo stiamo studiando gli alimenti a minor impatto ambientale, sono quelli su cui puntare in futuro. Il punto è che da questa crisi dobbiamo imparare ad usare la conoscenza per creare una società migliore, senza aspettare. Già da anni la sensibilità della ristorazione per l’ambiente è di importanza fondamentale”. Sul breve periodo, invece, secondo lo chef dell’Azurmendi, “in Europa la cultura del delivery non è così popolare come in Usa, manca la logistica, e poi si perde qualità: la soluzione potrebbe stare in mezzo, mandiamo gli ingredienti e le preparazioni e lasciamo che siano i clienti a finire il piatto. Comunque, anche in futuro ci sarà sempre interesse per il fine dining, perché ci fa stare bene, fa parte di ciò che siamo e di ciò che significa per noi la cucina”.
Dall’altra parte del mondo, in Brasile, a parlare è David Hertz, chef che dal 2004 si dedica alla gastronomia sociale in tutto il Paese, e che dal 2016 guida Gastromotiva, la mensa aperta a Rio de Janeiro insieme a Massimo Bottura. “Siamo da tempo nel bel mezzo di una crisi economica e politica, in cui si innesta adesso una crisi sanitaria, ma nelle favelas c’è più paura di perdere il lavoro che del Covd-19, ed infatti è ancora praticamente tutto aperto. Il Governo ha stanziato appena 100 dollari al mese a persona, ma il lockdown qui non è totale, ci sono ristoranti aperti, specie nelle periferie, anche se con meno persone, anche perché il modello delivery non è sostenibile, tutto questo nonostante abbiamo già superato il numero di morti della Cina. La gastronomia sociale - spiega David Hertz - oggi ha più senso che mai. Abbiamo iniziato nel 2004, prendendo coscienza dei limiti e dei problemi della nostra società. Aiutiamo le persone ad imparare a cucinare e cuciniamo per chi non ha nulla, salvando dallo spreco il cibo donato a 35 associazioni di Rio de Janeiro e trasformandolo in 32.000 pasti al giorno. Molti chef stanno cucinando nei propri ristoranti per chi ha bisogno, trasformandole in cucine solidali, drenando sforzi e risorse. E poi ci sono chef che lottano anche politicamente per salvare la ristorazione. Quando è successo tutto questo, avevo paura sia per la comunità gastronomica che per le favelas: dobbiamo partire da noi per trovare le energie e mettere in comune le idee, iniziando dalla solidarietà”.
Un altro Paese in cui la crisi sanitaria si va ad aggiungere ad una situazione già molto difficile, sia da un punto di vista economico che politico, è il Venezuela, dove Maria Fernanda di Giacobbe, vincitrice del Basque Culinary Prize nel 2016, ma soprattutto la donna che ha rivoluzionato la filiera del cacao nel Paese, con un movimento capace negli anni di costruire una filiera produttiva che oggi dà lavoro e dignità a migliaia di persone. “Mi piacerebbe pensare che tutto ciò che sta succedendo, e che ci tiene confinati, lo stiamo facendo per far riposare il pianeta e per ripensare all’insostenibile stile di vita che conduciamo”, dice la fondatrice del movimento Kakao. “Cambierà davvero il nostro modo di vivere? Smetteremo di viaggiare o di usare ingredienti importati da 7.000 km di distanza? Smetteremo di pensare e di aiutare chi ne ha bisogno, come i migranti o le vittime delle guerre? So di dare una lettura pessimista, ma qui siamo abituati a confrontarci con il regime, in piedi e a testa alta, ed in questo momento non possiamo fare neanche questo. In questa situazione, inoltre, si vede come la catena produttiva delle materie prime non sia sufficiente a sfamare la popolazione venezuelana, e non lo è da anni, ma adesso lo vediamo e sentiamo in tutta la sua drammaticità: mancano latte, farina, mais. Ci stiamo anche rendendo conto di come l’informazione libera qui non esista. Prendiamolo come un segno, come un anno zero da cui ripartire: ripartiamo dalle conoscenze ancestrali, riconnettiamoci ai processi produttivi. Senza alimentazione non possiamo neanche pensare, ma il nostro caso è ben più basico di quello di altri Paesi. Prima di chiederci come riaprire i ristoranti chiediamoci di cosa vivremo. Non abbiamo soldi, non c’è neanche una moneta, ed in tante case non c’è internet”.
Situazione ancora più drammatica è quella vissuta dal Ghana, che, come racconta lo chef ed imprenditore Elijah Amoo Addo, fondatore della Ong Food for All Africa, che ogni giorno dà da mangiare a migliaia di bambini in tutto il Paese, recuperando e cucinando gli avanzi gli avanzi ed il cibo regalati da supermercati e negozi, e consegnando i pasti grazie ad una app gestibile da mobile. “Anche il Ghana ha preso misure di contenimento, in ritardo forse, ma ora siamo in lockdown e la tantissima gente che lavora nell’ospitalità, a tutti i livelli, è rimasta senza lavoro. Persino tanti ragazzi che, con me, si impegnavano per garantire un pasto agli indigenti, oggi diventano essi stessi persone in difficoltà. Credo di essere diventato chef anche per tempi come questi, in cui la cucina serve a salvare le vite. Dobbiamo muoverci insieme con passione ed amore, da mettere nel cibo, ma il nostro ruolo va ben al di là della cucina, qui la battaglia è alla fame”.
Infine, concludiamo questo giro del mondo nella ristorazione ai tempi del Covid-19 tornando nella Vecchia Europa, in Gran Bretagna, dove Douglas McMaster guida il Silo, il primo ristorante “zero-waste” al mondo, un progetto sostenibile che è anche un esempio di come ripartire. “Per me - racconta McMaster - questa è l’opportunità di ampliare lo sguardo e ripensare il futuro, puntando proprio sullo spreco zero. A Londra i ristoranti sono ovviamente chiusi, ma abbiamo cucinato per tanta gente, specie per i senzatetto e per chi non è in grado di provvedere a sé stesso. Il modo più veloce per reagire, pensando a sostenere il proprio business, che è un aspetto importante, è di sicuro il delivery, ma noi non siamo strutturati per farlo, non fa decisamente parte del nostro modo di lavorare. Pensiamo invece su un orizzonte più ampio, ed a come sfruttare l’opportunità per ripensare il modello ristorativo, focalizzandoci su ciò che per noi è più importante, ossia la lotta gli sprechi alimentari”.

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