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“BENVENUTO BRUNELLO” N. 30

Analisi WineNews: +1.962% la rivalutazione record di un ettaro di Brunello negli ultimi 30 anni

Dietro l’exploit di un simbolo del made in Italy, c’è la nascita del primo “distretto” del vino moderno. Un piccolo “miracolo economico” italiano

In “soli” 30 anni, mentre il Brunello conquistava i mercati del mondo, Montalcino ha costruito uno dei più importanti e redditizi “distretti” del vino d’Italia ed a livello internazionale. Con un exploit testimoniato dalla crescita del valore degli stessi vigneti: nel 1992 un ettaro di terreno vitato e/o vitabile di Brunello di Montalcino valeva 40 milioni di vecchie lire, pari a 36.380 euro attuali (cifra ottenuta con il calcolo del coefficiente Istat per l’attualizzazione dei valori), ed oggi vale 750.000 euro, 20 volte in più, con una rivalutazione record del +1.962%. A dirlo è l’analisi WineNews “Montalcino 1992-2022” commissionata dal Consorzio del Vino Brunello di Montalcino per i 30 anni di “Benvenuto Brunello 2021”, la prima “Anteprima” del vino italiano, nata a Montalcino nel 1992. Tre decenni in cui Montalcino, accrescendo la passione per i suoi vini, intercettando le evoluzioni del gusto dei consumatori, passando dal ruolo dei “trademark” (poche aziende storiche con un nome “garanzia”) alla rilevanza del “brand territoriale” (chiunque produca a Montalcino ha un posizionamento dominante sul mercato), e di pari passo, emergendo nella mappa delle destinazioni dei turisti del vino, prima italiani e poi mondiali, e, soprattutto investendo, anche controcorrente, di sicuro pionieristicamente, rispetto al resto d’Italia, almeno in quegli anni, nella crescita dell’agricoltura, delle aziende agricole e di risorse umane anche di altri Paesi, lontani e vicini, che ruotano attorno all’“economia del Brunello”, ha generato un distretto che si “auto-alimenta”, grazie ad un indotto che potenzialmente non ha più confini geografici, ma attrae le più alte professionalità, le migliori imprese ed importanti investimenti nei vigneti e nelle cantine, da ogni angolo del mondo. E che, attraverso uno dei prodotti simbolo del made in Italy, saldamente legato ad una terra vocata, dove la bellezza dà ricchezza, generando reddito, occupazione ed integrazione sociale, oggi rappresenta un’Italia moderna, dinamica, capace di guardare e, a volte, intuire, il futuro attraverso il calice. Non una “bolla”, ma uno dei territori del vino più pregiati e più riconoscibili al mondo, tra i quali Montalcino rappresenta un modello nel fare impresa guidato da politiche chiare ed organiche, ben gestite, che ha anticipato i tempi nella necessità di impostare la “governance” dei territori sempre più sulla sinergia pubblico-privata, grazie agli stimoli lanciati dalle aziende e che la politica ha saputo raccogliere e mettere in pratica, e che, puntando tutto sulla qualità in bottiglia come della vita, sulla valorizzazione della biodiversità e la “cura dei particolari”, ma anche su una “comunicazione territoriale” che all’epoca muoveva i primi passi, è tra i pochi in grado di mantenere alta la competitività, guardando ad un 2022 oltre la pandemia.
Valori importanti, economici, ma anche sociali, culturali e di immagine, che sottolineano un tasso di crescita notevole del Brunello di Montalcino, in un lasso di tempo relativamente breve. Nel quale Montalcino è passata dall’essere una delle località più depresse e meno popolate del territorio di Siena, nella profonda crisi economica e sociale a cavallo tra gli anni Cinquanta e Settanta con l’abbandono della campagne, all’ottenimento della Doc nel 1966 (con Decreto del Presidente della Repubblica del 28 marzo 1966), impulso per le aziende a produrre vino; dall’essere la prima Docg d’Italia nel 1980 (con D.P.R. 1/7/1980, seguito dal riconoscimento della Doc per il Rosso di Montalcino con D.P.R. 25/11/1983), risultato di una chiara scelta di puntare tutto sulla qualità, agli anni Novanta, vero punto di svolta per il Brunello ed il suo territorio grazie ad una crescita inarrestabile che arriva fino ai giorni nostri. Di pari passo, Montalcino, evidentemente, è cresciuta in notevole misura ed in poco tempo, anche in fatto di ettari di vigneto dedicati alla coltivazione del Brunello, passando dai 64 ettari del 1967 (anno di costituzione del Consorzio del Vino Brunello di Montalcino), ai 1.100 del 1992 fino agli attuali 2.100 ettari (contingentati proprio dagli anni Novanta, e con la possibilità di iscrizione all’Albo dei Vigneti del Brunello nelle aperture di inizio Millennio, che, sull’onda del suo successo e con la Legge n. 441 del 1998 contenente le “Norme per la diffusione e la valorizzazione dell’imprenditoria giovanile in agricoltura”, portarono all’ultimo forte incremento, dopo il quale tali sono e tali resteranno, perché l’Albo è chiuso e non c’è nessuna intenzione di riaprirlo). Di conseguenza, anche la produzione è passata da poco più di 2.000 ettolitri negli anni Sessanta, agli oltre 50.000 negli anni Novanta, fino a superare gli 80.000 nel 2020 (fonte: Consorzio del Vino Brunello di Montalcino). Ma, soprattutto, ad esser aumentato in maniera esponenziale è il valore reale di mercato, analizzato da WineNews, dei vigneti del Brunello, da quando, cioè, la terra “non costava nulla”, con un ettaro di terreno vitato e/o vitabile che valeva 1,8 milioni di lire nel 1966 e, ancora, negli anni Ottanta quando, con la possibilità di acquistare i diritti di reimpianto da altri territori, la “nuda terra” in cui coltivare il Sangiovese per il futuro Brunello valeva 3,5 milioni di lire ad ettaro, fino al vero e proprio “boom” nei primi anni Novanta quando un ettaro vitato a Brunello arriverà a costare 30 milioni di lire (con il Regolamento Cee n. 822 del 1987 furono introdotti il divieto di realizzare nuovi impianti e la regolamentazione del diritto di reimpianto con possibilità di trasferimento ad altre imprese, ma si potevano ottenere deroghe come nel caso di Montalcino dove, contrariamente a quanto era lecito aspettarsi, con l’aumento dell’offerta i prezzi non diminuirono, perché la domanda era altissima; deroghe che era possibile ottenere anche per le iscrizioni agli Albi dei vigneti, come detto). In pochissimi anni, poi, a cavallo del 1995 che rappresenta il vero e proprio “anno di svolta” nella storia di Montalcino, e con la ripresa del mercato dopo lo scandalo al metanolo, lo stesso valore, già raddoppiato, passerà in un sol colpo da 60-80 milioni di lire ai 200-300 milioni di lire ad ettaro. Negli anni Duemila, con l’entrata in vigore dell’euro, per acquistare un ettaro vitato di Brunello occorrevano già 200.000 euro, cifra che, a testimonianza dell’appeal ormai inarrestabile di un vino e di un territorio lanciati nel “gotha” dell’enologia mondiale grazie all’eccezionalità ed alla consacrazione di annate come le 1995 e 1997, e dunque raccogliendo i frutti di quanto seminato negli anni Novanta, non risentirà neppure nel 2008 del cosiddetto “scandalo del Brunello”. Anzi, nel decennio successivo, l’aumento del valore degli ettari di Montalcino, dopo aver superato la soglia dei 400.000 euro dopo la grandissima annata 2010, sarà talmente elevato da arrivare oggi a parlare nelle ultime compravendite di cifre record che sfiorano il 1 milione di euro (che, in poco più di mezzo secolo, equivale ad una rivalutazione “monstre” del +4.500%). Valori che, essendo il frutto di una qualità altissima dentro e fuori la bottiglia, non possono che essere destinati a salire ulteriormente anche in futuro, come avviene in tutti i più grandi territori del vino del mondo: una “cerchia ristrettissima”, nella quale il potenziale di crescita di Montalcino è tra i più promettenti, essendo il territorio del Brunello tra i più “giovani” a farne parte.
Del resto, Montalcino rappresenta il territorio del vino italiano dove negli ultimi anni, in un fenomeno di merger & acquisitions che appare inarrestabile (monitorato costantemente, come per altri territori d’Italia, da WineNews), si sono registrati i maggiori investimenti in termini di compravendite, nelle piccole come nelle grandi cantine, molte delle quali da parte di gruppi stranieri, ma anche italiani, produttori di vino di altri territori ed imprenditori di altri settori, con la certezza di investire in un territorio di pregio assoluto e bellezza, che pare impermeabile alle crisi di mercato (le prime importanti acquisizioni con l’arrivo di capitale “da fuori” risalgono proprio agli anni Ottanta e Novanta, ma all’epoca si contavano sulla punta delle dita). E proprio il restare al centro di vivaci trattative di mercato e dunque attraendo continuamente nuovi investitori pur essendo un “fazzoletto di terra”, accanto alla qualità ed al successo dei suoi vini nel mondo - anche grazie a due annate consecutive sul mercato ritenute dalle voci più autorevoli della critica mondiale, nessuna esclusa, “eccezionali”, come la 2015 e la 2016 e per merito delle quali il 2021 è stato l’“anno del Brunello” - ne fanno un territorio oggi in “grande spolvero” nel quale il valore del “vigneto Brunello”, nel complesso, tocca quota 2 miliardi di euro (secondo le stime 2020 del Consorzio).
Un valore, dunque, che neppure la pandemia sembra aver scalfito, come non sembra aver scalfito quello dello sfuso analizzato da WineNews a partire dai valori reali di mercato, con un ettolitro di vino Brunello di Montalcino che nel 1992 valeva 250.000 delle vecchie lire, pari a 227 euro attuali (cifra ottenuta con il calcolo del coefficiente Istat per l’attualizzazione dei valori), ed oggi vale 900 euro, il quadruplo, con una rivalutazione del +296% in 30 anni, che ne fa stabilmente la quotazione più alta tra le grandi Denominazioni italiane. E un “valore” fatto anche dei 340.000 ettolitri delle ultime cinque annate (dati Valoritalia 2020), conservati in botte nei caveau delle cantine, che valgono 400 milioni di euro ma che, dopo l’imbottigliamento, e considerando le quotazioni di mercato, con il prodotto finito saliranno del triplo, arrivando a 1,2 miliardi di euro. Un quantitativo che, al contrario di altre Denominazioni, non fa paura alla Docg più famosa d’Italia, perché una volta imbottigliato il mercato lo assorbirà al 100%. Era così anche nei primi anni Novanta, quando non risentendo della crisi dei consumi che stava interessando il comparto vitivinicolo mondiale, la richiesta era maggiore dell’offerta ed i produttori di Brunello non trovavano difficoltà a collocare la loro produzione, tanto che sulla base di un’indagine effettuata dal Consorzio del Brunello sulle giacenze di vino emergeva un costante esaurimento delle annate in commercio al quarto anno di commercializzazione. Merito delle esportazioni, salite al 45% nel 1993 (dal 42% dell’ultima rilevazione nel 1987), con, in testa tra i mercati Germania e Svizzera (38%), seguite da Inghilterra, Austria, Olanda, Belgio, Danimarca e Francia (34%), Usa e Canada (22%), e Giappone (2%), e con metà della produzione destinata all’Italia, in tempi in cui non c’erano certo le azioni di marketing e promozione di oggi e tutto il merito era da ricondursi all’altissima qualità del prodotto. Oggi l’export vale il 70% ed i vini di Montalcino raggiungono più di 90 Paesi del mondo, Usa, Canada, Germania e Regno Unito, in testa.
Oggi che, a distanza di 30 anni, i numeri che fanno di Montalcino un distretto enoico tra i più redditizi d’Italia, sono quelli di una produzione annuale da 14 milioni di bottiglie, di cui 9 milioni di Brunello di Montalcino e 4 milioni di Rosso di Montalcino, per un giro d’affari stimato in 190 milioni di euro. A produrle sono 218 aziende (che rappresentano il 98,2% della produzione; erano 147 nel 1992) su oltre 4.300 ettari di vigneti coltivati essenzialmente a Sangiovese (di cui 3.150 iscritti a Doc e Docg, e quasi il 50% a coltivazione biologica). Raddoppiati, come detto, dai primi anni Novanta del Novecento quando erano poco più di 2.000, ma continuando a rappresentare solo il 15% dell’intera superficie territoriale di 24.000 ettari dominata per il 50% dal bosco, per il 10% da oliveti e con la restante parte a seminativo, pascoli ed altre colture, testimoni di una realtà economica da sempre basata sull’attività agricola e boschiva - in passato una vera “fonte naturale” di ricchezza, dalla quale si ricavano legname, carbone e molti altri materiali vitali per la popolazione e le attività economiche - ma anche e soprattutto simbolo di una grande e bellissima biodiversità.

Il “distretto del Brunello” - Una case history tra economia, società e cultura
Montalcino rappresenta un distretto del made in Italy, dove il vino si intreccia alla storia, alla cultura, ma anche ad una grande biodiversità agricola su cui sempre più aziende investono, e che riesce così ad allargare in maniera virtuosa l’alto giro d’affari della filiera del “vigneto Brunello” oltre i suoi confini (che pure sono quelli del più grande Comune della Provincia di Siena, che, dal 1 gennaio 2017, con l’allargamento a San Giovanni d’Asso - dove però non si può produrre Brunello, ndr - raggiunge i 31.500 ettari, oltre ad aver aumentato la popolazione). Tanto che se già nei primi anni Novanta si intravedevano le potenzialità di un “marchio Montalcino”, sfruttando il richiamo commerciale del suo vino di punta per promuovere anche le produzioni tipiche locali delle campagne, integrandole con i servizi e l’industria di trasformazione, oggi lo testimonia anche la case history del marchio “Eccellenze di Montalcino” della Fondazione Territoriale del Brunello, emanazione socio-culturale del Consorzio, nata per valorizzare produzioni di eccellenza che vanno dal tartufo bianco all’olio, dal miele allo zafferano, dal formaggio alle prugne, dalla pasta al farro.
Il risultato è un effetto moltiplicatore legato al mondo dei vini di Montalcino che ha favorito grazie al suo indotto gli insediamenti urbanistici nei borghi rurali circostanti arrivando ad interessare anche il capoluogo Siena e praticamente tutto il Sud della Toscana, dalla Val d’Orcia Patrimonio dell’Unesco, salendo e scendendo le pendici del Monte Amiata, ed arrivando fino in Maremma. Ma anche l’arrivo di professionalità apportate da persone che, provenienti da quasi 70 diversi Paesi del mondo, oggi vivono e lavorano nel territorio del Brunello, che è anche il frutto di una grande contaminazione culturale tra i popoli ed il patrimonio collettivo di una comunità che è un vero e proprio “melting pot”, dove la presenza degli stranieri è pari al 15,8% sul totale della popolazione di 5.784 abitanti, il doppio della media nazionale italiana (che è dell’8,4%). Una percentuale monitorata negli anni da WineNews, letteralmente “esplosa” dal 1992 quando era appena del 1,8% su una popolazione di 5.533 abitanti, soprattutto europei, in testa tedeschi ed inglesi, ma anche extraeuropei ed americani (elaborazione WineNews sulla Situazione Anagrafica del Comune di Montalcino al 1 gennaio 1992 e 2021).
Una popolazione “stabilizzata” proprio a partire dagli anni Novanta, dopo il brusco calo che l’aveva letteralmente dimezzata tra gli anni Cinquanta e Settanta a causa dei fenomeni dell’inurbamento, dell’abbandono delle campagne e dei centri minori e dell’emigrazione all’estero o verso il Nord Italia industrializzato, e residente per la maggior parte nel territorio e nei suoi borghi rurali (sfiorando il 50%, da Torrenieri a Castelnuovo dell’Abate, da Santangelo in Colle a Sant’Angelo Scalo, passando per Camigliano, escludendo S. Giovanni e Montisi; era attorno al 40% nel 1992; fonte: Comune di Montalcino, Ufficio Anagrafe), invertendo la rotta, ieri come oggi, grazie proprio alla notorietà dei suoi vini, in quanto “polo” di attrazione occupazionale e con la conseguenze crescita del tasso di immigratorietà e dell’occupazione, soprattutto per i giovani - l’età media della popolazione oggi è attorno ai 50 anni - ma anche grazie a fattori come uno stile di vita migliore: se, in base ai dati della Sezione decentrata per il Collocamento in Agricoltura di Montalcino, tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, gli addetti all’agricoltura erano dai 1.700 ai 1.800, compresi gli avventizi, secondo le stime 2020 del Consorzio del Vino Brunello di Montalcino, oggi gli addetti “diretti” nei periodi di punta sono sui 5.000, con un tasso di disoccupazione che non arriva al 2%, in grado di assorbire anche gran parte della manodopera dei Comuni limitrofi (ma un dato questo che, a nostro parere, risulta molto sottostimato). La crescita produttiva del territorio ha infatti portato anche al miglioramento dello stato sociale ed economico, con un aumento del numero di pratiche edilizie per le aziende come per le case private, conseguenti ai Programmi Aziendali di Miglioramento Agricolo Ambientale ed in base ai Piani Regolatori Generali, che sono raddoppiate negli ultimi 30 anni (dalle 351 nel 1992 alle 666 del 2021, con una crescita iniziata già negli anni Ottanta e, soprattutto all’epoca, favorendo imprese ed occupazione anche nel settore dell’edilizia), e che appaiono collocarsi in corrispondenza anche degli aumenti di valore individuati da WineNews del “vigneto Brunello”, tra la seconda metà degli anni Novanta e l’inizio del nuovo Millennio, con un forte incremento nell’ultimo decennio, e dunque con l’intensificarsi, nel complesso, degli investimenti sul territorio.
Impiegati a tutti i livelli della produzione enoica, dal vigneto alla bottiglia, tra chi lavora in vigna, chi fa il manager, la segretaria, il responsabile commerciale, l’enologo, e, naturalmente chi fa il vigneron, accanto a chi, altro grande bacino di occupazione per i lavoratori che arrivano da oltre confine, lavora nell’indotto, è anche grazie all’arrivo di persone da tutti i Continenti, che a Montalcino quasi la metà delle oltre 1.500 imprese sono oggi a stampo agroalimentare, di cui 300 legate direttamente all’agricoltura (erano 400 nei primi anni Novanta; fonte: Istat, Censimento generale dell’Agricoltura n. 4, 1990; per le analisi precedenti e quelle che seguono, ove non altrimenti indicato: Comune di Montalcino, Area 2 “Servizi sociali, culturali e commercio” e Area 5 “Servizio Lavori Pubblici, Patrimonio, Urbanistica ed Edilizia Privata, Ambiente”, raccolta dati per WineNews). Di pari passo, parallelamente allo sviluppo del settore terziario e dei servizi - dai Presidi sanitari alle scuole di ogni ordine e grado, ai trasporti, mentre l’industria non si è sviluppata per la scelta di puntare anche politicamente sull’agricoltura di qualità tra gli anni Sessanta ed Ottanta - Montalcino e tutto il suo territorio hanno visto negli ultimi 30 anni il moltiplicarsi anche della ristorazione e dell’hospitality: nel 1990 si contavano 11 tra alberghi e pensioni, 9 aziende agrituristiche, 13 tra ristoranti e trattorie, e 11 enoteche (queste ultime più che raddoppiate negli anni Ottanta; fonte: Fernando Padelletti, “Il Brunello di Montalcino e l’economia locale”, Università degli Studi di Venezia “Ca’ Foscari”, Facoltà di Economia e Commercio, Tesi di Laurea, Anno Accademico 1990-1991); nel 2021 gli hotel e le strutture di accoglienza di ogni tipo sono più di 150, accanto a più di 190 agriturismi, mentre sono oltre 60 i ristoranti (1 “in cantina” con stella Michelin) ed i locali con attività di somministrazione, più di 50 le attività commerciali alimentari, tra cui 13 enoteche, e oltre 60 quelle artigianali, tra cui quelle specializzate in tutto ciò che serve alla produzione di vino, dai bottai ai vetrai, passando per le imprese che oggi si occupano di sanificazione delle cantine, solo per fare degli esempi. E non solo perché, per effetto del “distretto del Brunello” e del suo “alimentarsi”, lo stesso è avvenuto anche ben oltre i confini di Montalcino, perché se quelli geografici li abbiamo descritti, le alte professionalità e le migliori imprese chiamate a lavorare nel territorio o che sono interessate a farlo, come detto, arrivano praticamente da tutta Italia e da tutto il mondo.
Nel 1993, tra le 148 aziende aderenti al Consorzio, 29 avevano meno di 1 ettaro di superficie vitata a Docg, producendo per la vendita di vino in damigiane direttamente ai privati, senza cantine per l’invecchiamento e l’imbottigliamento, presenti invece già nelle aziende al di sopra di un ettaro, per lo più a conduzione diretta e familiare. E tranne due casi limite (Banfi e CastelGiocondo, che insieme accorpavano oltre 300 ettari; fonte: Silvia Dallari, “La politica di qualità di un vino a Docg. Il Brunello di Montalcino”, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Facoltà di Economia e Commercio, Tesi di Laurea, Anno Accademico 1994-1995), il limite massimo di estensione era di 50 ettari per azienda, imprese organizzate generalmente sotto forma di società di capitali, tutte imbottigliatrici, con personale specializzato ed un’organizzazione commerciale sviluppata. Esclusi i soli imbottigliatori, ben 64 erano piccole aziende con una superficie vitata Docg inferiore ai 5 ettari, 23 erano medie (dai 5 ai 15 ettari) e 17 grandi (oltre 15 ettari). Realtà artigianali, insomma, in crescita anche grazie ad una certa schiera di produttori per passione, provenienti dal resto d’Italia, ma anche stranieri, e a fronte di notevoli sforzi finanziari, e nelle quali, accanto alle pratiche agronomiche, ieri come oggi, contano da sempre l’esperienza, la creatività e l’intuizione. Le stesse che un secolo prima avevano portato all’invenzione del Brunello, la cui storia è relativamente recente.

“Montalcino 1992-2022” - Il Brunello, un piccolo “miracolo economico” italiano
Il 1992 è un anno che ha cambiato la storia dell’Italia. Con il Trattato di Maastricht si gettano le basi della nascita della Ue, si giocano le “Olimpiadi di Barcellona”, dopo più di 350 anni la Chiesa Cattolica riabilita Galileo Galilei e si celebrano 500 anni dalla scoperta dell’America, mentre in Italia “Tangentopoli”, la fine del “sistema dei partiti” e gli attentati a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ne fanno uno spartiacque, e non solo tra la Prima e la Seconda Repubblica.
Negli stessi anni Montalcino stava vivendo la sua rivoluzione. Un po’ come per le vicende che sconvolgono il Paese, il 1992 non è una vendemmia fortunata per il Brunello, e anche la qualità dell’annata in commercio, la 1987, non va oltre le “3 stelle”. Ma, “in mezzo”, c’è la 1988 che non sarà solo tra le migliori annate di sempre - oggi vere e proprie “blue chips” tra i vini da investimento per i collezionisti del mondo, che hanno visto il Brunello passare dai 3,5 milioni di vecchie lire battuti in un’asta alla fine degli anni Settanta per una sua bottiglia, cifra mai raggiunta fino a quel momento per un vino, ai 29,5 milioni di euro, una delle aggiudicazione più alte nella storia del vino in Italia, per la Riserva 1891 di Biondi Santi nel 2000 in un incanto del Gambero Rosso a Roma con la Casa d’Aste Pandolfini, ma anche entrare nel Liv-ex, il benchmark del mercato secondario dei fine wine, accanto ai grandi nomi di Borgogna, Bordeaux, Champagne e Barolo - ma con la sua vendemmia si erano celebrati 100 anni dal primo Brunello della storia, prodotto nel 1988 da Ferruccio Biondi Santi alla Tenuta Greppo a Montalcino. Proprio nel 1988 una Riserva 1888 era stata donata al Presidente della Repubblica Francesco Cossiga al Quirinale (dimissionario nel 1992, ndr) e nello stesso anno aveva visto la luce la prima “Top 100” di “Wine Spectator”, la classifica dei migliori vini al mondo destinata a fare la fortuna del Brunello, il vino più premiato della sua storia (secondo un’analisi WineNews), inserito dall’influente magazine americano nel 1999 tra i 12 migliori vini del XX secolo con la Riserva 1955 di Biondi Santi, e incoronato n. 1 al mondo nel 2006, con il Brunello di Montalcino Tenuta Nuova 2001 di Casanova di Neri. Un “trampolino” che, grazie alla qualità già raggiunta e celebrata ai massimi livelli, dopo la vendemmia 1980, la prima con la Docg, con annate eccezionali come le 1985 e 1990, il successo delle 1995 e 1997, e nel nuovo Millennio, delle 2004 e 2006, dalla 2007 alla 2010, dalla 2012 alle incredibili - anche perché consecutive - 2015 e 2016, ma anche 2019 e 2020, vedrà il Brunello raggiungere costantemente i vertici della critica mondiale.
Gli anni Ottanta e Novanta, sono gli anni in cui una nuova generazione di figli raccoglie l’eredità di padri che, controcorrente a molti territori rurali italiani, avevano scommesso tutto sull’agricoltura di qualità ed in particolare sulla produzione di vino, specie dopo il riconoscimento della Doc al Brunello, ma anche incentivati dalla fine della mezzadria, che se da un lato aveva portato anni prima all’abbandono delle campagne per il passaggio all’agricoltura specializzata, dall’altro proprio quest’ultima aveva spinto la ripresa dell’attività agricola. Aziende che, all’epoca, grazie ad investimenti mirati e lungimiranti, anche da parte di produttori venuti da altri territori, tra cui i nomi più importanti del vino italiano, imprenditori di altri settori e stranieri, si avviavano a diventare moderne ed efficienti, potenziando vigneti e cantine, consolidando ed ampliando le strutture operative, allargando le proprie piattaforme commerciali (grazie anche alla fiscalità agricola agevolata, ai finanziamenti europei e, non da ultimo, al supporto dato dal sistema bancario ad un territorio in crescita ed al piccolo grande “miracolo economico” di Montalcino), e puntando sul marketing ed uno dei primi esempi di comunicazione “territoriale” per innalzare l’immagine complessiva del territorio, nel mentre che il Brunello conquistava i mercati (“aperti” nei primi anni Ottanta da Banfi, primo grande investimento nella storia di Montalcino da parte della famiglia italo-americana Mariani, che ha portato il Brunello sugli scaffali del mondo, costruendo un “mito” in bottiglia a partire proprio dal mercato americano). Ma anche migliorando le strutture per accogliere i turisti italiani e gli stranieri che iniziavano ad arrivare, e che, di lì a poco, avrebbero portato alla nascita proprio da Montalcino del fenomeno del turismo del vino, il cui potenziale altissimo è oggi evidente (analizzato dallo studio “Le prospettive del turismo enogastronomico in Italia e a Montalcino” del Censis Servizi Spa in collaborazione con WineNews per i 40 anni del Consorzio del Brunello di Montalcino nel 2007). Oggi che, con una crescita esponenziale (iniziata proprio negli anni Novanta, quando le presenze nel Comune di Montalcino passeranno da oltre 19.700 nel 1992 a più di 47.600 del 1997, e gli arrivi, rispettivamente, da oltre 7.000 a più di 18.000; fonte: Amministrazione Provinciale di Siena), il territorio del Brunello è un modello anche enoturistico d’alta gamma per i “distretti” che nel frattempo sono nati attorno alle più importanti Denominazioni del vino italiano, ma anche a livello internazionale (Montalcino ha recentemente stretto un “gemellaggio” con Napa, capitale della “Napa Valley” in California e di uno dei territori del vino più importanti al mondo), tra le mete più desiderate, accogliendo ogni anno oltre 1 milione di eno-turisti e “big spender” (con quasi 200.000 presenze e più di 75.000 arrivi prima del Covid, secondo le elaborazioni Nomisma-Wine Monitor su base statistica della Regione Toscana, dei quali oltre il 70% è straniero e proviene da più di 60 Paesi, dagli Usa, gli “habitué”, al Brasile, dal Canada alla Germania, dal Regno Unito alla Francia, dalla Svizzera alla Russia, fino all’Australia).
La stessa “accoglienza” che Montalcino riservava agli ospiti più illustri, da Franco Zeffirelli (a 50 anni da “Fratello sole, sorella luna”, uscito nel 1972 e girato in larga parte a Montalcino) ad Eduardo De Filippo, Vittorio Gassman, Dario Fo e Franca Valeri, Gigi Proietti e Giorgio Albertazzi (per il “Festival internazionale dell’attore” nei primi anni Ottanta), dal Principe Carlo d’Inghilterra a Federico Fellini e Giulietta Masina (grazie al Premio internazionale letterario e giornalistico “Barbi Colombini”, nato nel 1981), primi di una lunga serie di testimonial che il Brunello può vantare fino ad oggi, passando per il pittore della transavanguardia Sandro Chia, primo, invece, di un altrettanto folta schiera di “vip-vigneron” del Brunello, che, negli anni, hanno contribuito ad accrescere immagine e celebrità del territorio. A partire da “Benvenuto Brunello”, l’evento che da Montalcino ha inventato le “Anteprime” dei vini italiani proprio nel 1992, e che, per la prima volta, con l’edizione n. 30 va in scena in versione “autunnale”, “rivoluzionando” ancora una volta il “sistema anteprime” spostando da febbraio a novembre il debutto delle nuove annate del Brunello 2017 e della Riserva 2016, accanto al Moscadello (il “vino storico” che ha reso famoso il territorio nei secoli passati, rilanciato proprio sull’onda del successo dei vini di Montalcino come una produzione “di nicchia”, ndr) e la Doc Sant’Antimo (l’ultima nata con Decreto 18/1/1996, per qualificare tutta la produzione dei vini di Montalcino). In un momento più incisivo per il mercato, soprattutto internazionale, dove le vendite di Brunello di Montalcino, nei primi 9 mesi 2021, fanno segnare un nuovo primato (con +44% di fascette consegnate per le bottiglie pronte a essere collocate sul mercato grazie alle “super annate” 2015 e 2016) e dopo una vendemmia 2021 di altissima qualità.
Uno sviluppo concomitante, a partire già dagli anni Settanta, con quello economico, da quando cioè il lancio nei mercati del Brunello portò nel territorio ingenti capitali, indirizzandovi un conseguente interesse a livello nazionale ed internazionale, ma senza stravolgere l’aspetto della città e del suo territorio, quanto esaltandone le caratteristiche naturali, recuperandone le tradizioni artigianali ed il patrimonio paesaggistico e monumentale, testimoni di una storia importante nei secoli passati, ma anche di una quotidiana esistenza da sempre impostata sul rapporto tra l’uomo e la natura di un territorio attivo e vocato, in cui, seguendone le inclinazioni, si è coltivata la vite, e il Sangiovese in particolare, con risultati sorprendenti che lo hanno reso celebre nel mondo. Già dai primi anni Ottanta Montalcino si distingue per la chiarezza degli obbiettivi del suo sviluppo, che grazie agli stimoli dati dalle aziende alla politica che li ha recepiti e messi in pratica, sono diventati comuni al mondo produttivo e politico, a partire dal Consorzio e le sue aziende, piccole e grandi, diverse per filosofia e non solo per dimensioni, insieme al Comune di Montalcino ed agli altri enti locali, spesso in contrasto, e per questo non sempre facili da mantenere, ma tanto da poter parlare di “politica della qualità”, basata sul controllo qualitativo e la promozione del territorio. Sono gli anni in cui si gettano le radici della “consacrazione” degli anni Novanta, grazie anche all’apertura mentale delle persone che erano alla guida delle aziende come delle istituzioni, e che hanno scelto di prendere iniziative per il tutto il territorio, mettendo da parte gli individualismi e facendo sentire meno anche il “peso della burocrazia” che da sempre affligge l’Italia. Soprattutto, facendo di questo modo di agire un vantaggio competitivo non indifferente: una sinergia quasi perfetta pubblico-privata, oggi “via obbligata” nella governance dei piccoli come dei grandi territori del vino italiano e non solo. E i risultati si sono visti.
Ma, a differenza di oggi, tutto era molto concreto, ed impostato su un modo di agire empirico e non analitico (il valore dell’analisi WineNews, occorre qui sottolinearlo, sta proprio nel reperimento dei dati, che oggi sono tantissimi, mentre in passato la loro raccolta si deve anche ad iniziative personali individuali ma autorevoli, e lungimiranti nel documentare ciò che stava avvenendo a Montalcino, e che ci permette di presentarne una parte e nei prossimi mesi di proseguire la nostra analisi). Come del resto concrete ed empiriche erano le questioni da risolvere e le azioni di controllo di cui si faceva carico il Consorzio con l’aiuto dei produttori - e sempre più spesso chiamando i massimi esperti, come il “maestro assaggiatore” Giulio Gambelli - dai consigli qualitativi e tecnici sulla produzione di vino ai problemi burocratici, dalla creazione delle prime fascette alla presenza nelle fiere vitivinicole per promuovere l’immagine del Brunello e di Montalcino. Un “modus operandi” che troverà nella Legge-quadro 164/92 con la nuova disciplina delle Denominazioni di origine dei vini e la classificazione piramidale con criteri prioritari il “luogo di produzione” e la “qualità”, la chiara definizione del concetto di Denominazione connesso alla correlazione vino-vigneto-territorio per meglio qualificare la viticoltura italiana in Italia e all’estero, più vicina alle esigenze del consumatore “moderno” su origine, qualità e genuinità (la “qualità totale”), che affidava alla collaborazione pubblico-privata il controllo su frodi e sofisticazioni, e che caratterizzò gli anni Novanta e quelli successivi (fino alla sua andata “in pensione”, sostituita dal Decreto Legislativo 61/2010), una sintesi di quanto già avveniva nel territorio della prima Docg riconosciuta in Italia nel 1980 e dove di fatto se ne erano gettate le basi. A partire dall’ottenimento della Doc per il Rosso di Montalcino nel 1983 che aveva segnato un altro primato, con il riconoscimento di due vini a Denominazione da un unico vitigno, a testimonianza del grande successo dei vini di Montalcino.
“Gli abitanti di Montalcino rifiutano a ragione di essere identificati con il Brunello. Perché sono loro ad averlo inventato e a produrlo, e non viceversa - riflette la studiosa Lucia Carle (in “Montalcino”, a cura del Consorzio del Vino Brunello di Montalcino, Edizioni Cantagalli, Siena, 1998) - è vero che senza il Brunello Montalcino non sarebbe quella che è oggi ma senza Montalcino in senso lato non ci sarebbe potuto essere il Brunello”. Città dai marcati caratteri urbani al centro di una vasta campagna, la storia di Montalcino è un alternarsi di predominanze tra il modello di vita urbano e quello culturale rurale, che, nei secoli, prenderanno il sopravvento. L’uno e l’altro, con la consapevolezza e il fermo convincimento che il “cliente, invece di bere una bottiglia, berrà un bicchiere - come “profetizza” alla fine degli anni Sessanta lo scrittore Mario Soldati (in “Vino al Vino”, Mondadori, Milano, 1969) - invece di bere dieci bottiglie, ne berrà una sola; non per questo dovrà rinunziare all’assaggio; né da questo dovrà dedurre giudizi qualsiasi sulla qualità” dei vini di Montalcino, indicando l’origine di tanta fortuna del Brunello, prima tra tutti, nella longevità e nella capacità di invecchiamento. Un’opinione comune con il maestro Luigi Veronelli, e che fa sostenere a Robert Parker, il più influente critico mondiale che ha inventato i punteggi, che il Brunello va da sempre oltre i gusti e le mode (come testimoniano i 100/100 riconosciuti negli anni dalla sua testata “The Wine Advocate” ai vini di Montalcino). Punti di forza e distintività come lo sono la bellezza di un territorio vocato ai grandi vini, grazie al clima, al suolo ed ad una natura ricca di biodiversità, dove non c’è mai stata monocoltura, oggi riconosciuta dai più importanti paesaggisti come il fondamento del successo del “fare vigna” e del produrre grandi vini; ma anche l’intuizione lungimirante della delimitazione per legge nel 1932 dei confini della produzione del Brunello al solo territorio di Montalcino (da parte della Commissione del Ministero Agricoltura, altro primato legislativo, ndr); l’essere il frutto di “un’invenzione” che risale alla fine dell’Ottocento ma che fu modernissima, “agricola” ma da parte di una “borghesia illuminata” e su una base di studi intellettuali e naturalistici, semplice per la scelta di vinificare il solo Sangiovese ma geniale nell’averlo fatto per distinguersi dagli altri vini italiani guardando ai grandi francesi, frutto di un singolo ma alla base di un successo collettivo, al quale ogni protagonista ha portato e continua a portare il suo contributo. E che è il fondamento di una piramide qualitativa con la Riserva all’apice e il Rosso alla base, cui oggi si è aggiunto un elemento di distinzione, e di successo, in più: la “vigna” o “cru aziendale”.
Una Montalcino che, proprio con l’imponente Fortezza, l’elegante Palazzo Comunale e le antiche mura, accanto alla millenaria Abbazia carolingia di Sant’Antimo, già all’epoca di Soldati e Veronelli, dalla fine degli anni Sessanta, valeva il viaggio grazie alla bellezza del suo territorio “fuori dalle grandi vie di comunicazione” e per questo “intatta, incorrotta, protetta dalle deturpazioni perfide del turismo”. Un rapporto non facile, quello tra la città con il suo antico tessuto urbano ed il territorio vocato alla produzione agricola ed enologica, “fiori all’occhiello” di Montalcino come i suoi vini, ma che proprio l’“economia del Brunello”, allo stesso tempo simbolo del made in Italy nel mondo ed elemento fondante dell’identità locale - e qui sta anche l’eccezionalità nella storia italiana - riuscirà a riequilibrare, permettendo alla città di riaffermarsi in quanto tale ma grazie all’interdipendenza consolidata con un territorio che va ben oltre i confini comunali. Oggi come in passato.
Un “distretto” moderno, redditizio ed “allargato”, dal quale se Montalcino guarda al 2022 con un “Manifesto”, che è un vero e proprio “Patto di Comunità” del Comune di Montalcino stretto anche con il Consorzio, per lo sviluppo del territorio ben oltre la pandemia e fondato proprio sull’essere comunità, sulla cultura delle eccellenze produttive, dal vino all’agricoltura di qualità, sul lavoro, sul valore delle filiere, del “polmone verde” del bosco, dei piccoli borghi rurali “belli e connessi”, sulla rete delle attività commerciali e della campagna, e sulla biodiversità, con l’obbiettivo supportare la crescita qualitativa, ma anche creativa, dell’offerta gastronomica e ricettiva, della proposta commerciale e culturale, dei servizi e delle infrastrutture, colmando il “gap” che c’è rispetto alla percezione media del livello qualitativo dei vini, nel futuro del Brunello c’è il compito di difendere l’unicità di un territorio ricco di diversità pedoclimatiche che danno al Sangiovese particolarità e distintività; Sangiovese di cui Montalcino deve confermarsi la “patria per eccellenza”, proseguendo con lo stesso rigore sulla strada dell’altissima qualità; ma anche custodire una natura che è fuori ma anche dentro ogni bottiglia di Brunello che raggiunge i consumatori del mondo; e che va preservata come va preservata la sua Comunità, in un’ottica di sostenibilità ambientale, economica e sociale. E continuare a trasmettere tutto questo, come è sempre avvenuto, tra le generazioni.

Conclusioni
Quasi 30 anni prima della nascita di “Benvenuto Brunello”, agli albori della fondazione del Consorzio, un fatto aveva cambiato il corso delle cose per Montalcino: la scelta di puntare sull’agricoltura e sulla produzione di vino di qualità per trarne “profitto”, inteso come “prosperità” economica ma anche sociale e culturale, un’accezione moderna, quasi contemporanea, controcorrente a quanto stava avvenendo nell’Italia che si industrializzava, ma anche alle ideologie politiche che all’epoca erano ben lontane dal favorire la collaborazione e l’“intesa” pubblico-privata, accendendo, anzi, una scintilla nella politica come nella realtà produttiva locale. Tra le personalità più influenti della nostra epoca quando si parla di cibo e non solo, il fondatore di Slow Food Carlin Petrini, testimonial del Brunello e di un territorio in cui anche la Chiocciola ha mosso i suoi primi passi negli anni Ottanta, a proposito di Montalcino sottolinea come le basi della ricchezza e della fama del “mondo del Brunello” sono da ritrovarsi nella coesione sociale raggiunta negli anni passati, tra produttori e cittadini, e che ancora oggi distingue un territorio che non deve dimenticare le sue origini umili e contadine e che rappresenta il made in Italy tutelando chi lo fa. Perché la fortuna del vino reggerà solo se lo farà l’agricoltura italiana, e con essa le comunità che, con i loro “valori”, ne sono l’anima.

Thanks to: questa analisi è basata su dati raccolti da WineNews, con un riscontro diretto sul territorio e nel sentiment di chi lo ha vissuto e lo vive in prima persona, accanto alla ricca ed autorevole bibliografia dedicata a Montalcino in ogni suo aspetto, ed ai ricordi dei tanti incontri che negli ultimi 30 anni WineNews ha avuto con Franco Biondi Santi, Francesca Colombini Cinelli ed Ezio Rivella. I numeri analizzati sono stati elaborati “ad hoc” dal Consorzio del Vino Brunello di Montalcino e dal Comune di Montalcino, ai quali va il nostro sentito grazie. Per la lettura dei quali, il supporto ed il confronto, ringraziamo:
Filippo Baldassarre Fanti
Mario e Nadia Bindi
Fabrizio Bindocci
Maurizio Botarelli
Stefano Campatelli
Giuliano Dragoni
Michele Fontana
Silvio Franceschelli
Andrea Machetti
Ilio Raffaelli
Ezio Rivella
Enzo e Monica Tiezzi
Edoardo Virano

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