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AGRICOLTURA ED ECONOMIA

Vino e investimenti, la pandemia non ferma l’interesse per i grandi territori. Come Montalcino

Fermento in terra di Brunello, dove tiene il valore dei vigneti. E mentre qualche azienda passa di mano, la vigna inizia a spostarsi anche più in alto

La pandemia ha senza dubbio complicato anche il mercato del vino. Ma non sembra aver scalfito il valore dei vigneti dei territori più importanti dell’Italia enoica. Che continuano ad essere obiettivo degli investimenti italiani e stranieri, di produttori di vino come di industriali di altri settori e, sempre più spesso, di fondi di investimento, di gruppi assicurativi e della finanza. Casi esemplari continuano ad essere Barolo, Bolgheri e Montalcino che, con il suo Brunello, è da anni nel firmamento dell’enologia mondiale. Un territorio, quest’ultimo, in grande spolvero, nonostante la pandemia, anche grazie a due annate consecutive sul mercato ritenute universalmente di una qualità eccezionale, la 2015 e la 2016. E che grazie al successo dei suoi vini nel mondo, al loro valore, ma anche alla bellezza e all’integrità de territorio stesso, dove il vino si intreccia alla storia, alla cultura e ad una biodiversità agricola ed enogastronomica su cui sempre più aziende investono, vede non solo tenere, ma anche crescere il valore dei propri vigneti, che restano al centro di vivaci trattative di mercato.
Da quanto apprende WineNews, solo nelle ultime settimane si sono concretizzati tre/quattro passaggi di mano. Uno ha riguardato la tenuta Scopone, della famiglia Genazzani, realtà di 11 ettari di terreno complessivi di cui 3,5 vitati a Brunello di Montalcino, che sarebbe stata acquisita da un imprenditore dell’Emilia Romagna attivo nella distribuzione di prodotti enogastronomici negli aeroporti, mentre l’altro ha visto il Paradisone - Colle degli Angeli, con 3 ettari complessivi di terreno di cui 2 vitati e 0,8 a Brunello di Montalcino, della famiglia Locati, acquisita dall’Azienda Agricola e Vitivinicola Novello, di proprietà di imprenditori veneti attivi nel campo dell’edilizia (compravendita gestita dalla società immobiliare Diamante Group, guidata da Massimo Magaletta, ndr). Piccole operazioni, a cui potrebbero seguirne a giorni altre due, già con compromessi attivati, che raccontano, quindi, una vivacità delle compravendite a Montalcino che non si ferma, e che è testimoniata dal fatto che, da quanto risulta a WineNews, se come detto è forte l’interesse di chi vuole comprare nel territorio, attirato dal suo prestigio e dalla sua redditività, al tempo stesso non sono poche le cantine che sarebbero in attesa dell’offerta giusta per cambiare proprietà.
In una situazione, come si dice, “win win”, perché chi compra ha la certezza di investire in un territorio di assoluto pregio, Montalcino, che pare impermeabile alle crisi di mercato per il suo vino, e con valori fondiari che non solo reggono, ma crescono (per un ettaro vitato a Brunello oggi si parla di cifre tra i 750.000 euro al 1 milione di euro), e chi vende lo fa a valori di mercato decisamente cresciuti negli anni (in mezzo secolo, secondo le stime WineNews, la rivalutazione dei vigneti a Brunello è state del +4.500%, per un valore stimato del vigneto Brunello, di 2.100 ettari complessivi, di oltre 2 miliardi di euro, secondo le stime del Consorzio del Brunello di Montalcino del 2020). Ettari che, dal 1997, sono sempre quelli, numericamente, e tali resteranno, perché l’Albo dei Vigneti del Brunello è chiuso e non c’è nessuna intenzione di riaprirlo.
In questa logica, a creare valore aggiunto, oggi, sono le stesse aziende, che, alla classica piramide qualitativa, pensata a fine Ottocento da quella borghesia illuminata, ben rappresentata e capitanata dai Biondi Santi, che ha letteralmente inventato il Brunello di Montalcino, con la Riserva all’apice e il Rosso alla base, ha aggiunto un elemento di distinzione in più: la “vigna”, o “cru aziendale” che dir si voglia. Uno spazio di libertà, sempre totalmente e chiaramente “made in Sangiovese”, affermatosi in maniera importante negli ultimi 10 anni ma nato molto prima, declinato da ogni vignaiolo secondo una filosofia diversa e, in un certo senso, personale, impossibile da normare (oltre alla regole previste dalla legge) e da vincolare con classificazioni.
Strategia che, sul fronte dei valori fondiari ha pagato, evidentemente, anche se ancora investire in un ettaro di Brunello è più “conveniente” rispetto ad altre grande denominazioni di Francia, per esempio, come a Bordeaux, dove secondo l’agenzia Agreste il valore degli ettari oscilla, in media, tra gli 1,6 milioni di euro Margaux e Saint-Julien e i 2,8 di Pauillac (con picchi di 3,5 milioni di euro ad ettaro), passando per i 2 di Pomerol, o come la Borgogna, dove il prezzo medio per un ettaro a Grand Cru nella Côte d’Or è di 6,7 milioni di euro (si parte da 2,9, per arrivare a picchi iperbolici di 16,2 milioni di euro). Cifre, soprattutto quelle borgognone, forse irraggiungibili, ma che visto il prestigio non inferiore del Brunello di Montalcino rispetto ai grandi rossi francesi, fanno pensare che i valori nel territorio toscano (ma anche a Barolo ed a Bolgheri) siano ancora sottostimati rispetto alle loro reali e future potenzialità.
Al crescere dei prezzi dei vigneti, corrisponde una crescita parallela e non casuale delle bottiglie, certificata, mese dopo mese, dalle quotazioni raggiunte dal Brunello di Montalcino nelle aste internazionali, dove le vecchie annate sono però appannaggio di Biondi Santi e di Case Basse Soldera, e dove le quotazioni più alte sono di etichette di annate relativamente recenti e di pochissime cantine di un certo blasone. Come, del resto, ha fissato anche di recente il Liv-ex, il benchmark del mercato secondario dei fine wine, segmento nel quale le etichette capaci di giocarsela con i grandi nomi di Borgogna, Bordeaux, Champagne e Barolo sono un novero veramente ristretto: oltre a Biondi Santi e Case Basse Soldera, come del resto nelle aste, anche Casanova di Neri, Pieve Santa Restituta, Poggio di Sotto (Collemassari), Cerbaiola di Salvioni, Luce (Frescobaldi), Fuligni, Altesino.
E non sono solo i valori ad essere destinati a salire ancora, ma pure, fisicamente, gli stessi vigneti. Che, magari, nei prossimi anni, anche per contrastare l’universale riscaldamento climatico, potrebbero “spostarsi”, almeno in parte, e solo per alcune aziende, alla base della collina a piramide nel centro della Toscana, un po’ più in alto rispetto ad adesso. Ovviamente dentro il territorio comunale (allargamento a San Giovanni d’Asso non rientra nel disciplinare del Brunello, ndr), come prevede il disciplinare, e all’interno delle norme sulle autorizzazioni di impianto.
Diverse aziende, infatti, stando ai rumors WineNews, hanno ancora in portafoglio diritti di impianto che vanno convertiti piantando i vigneti entro il 2023, o saranno definitivamente persi. Ovviamente, non possono essere piantati e registrati nuovi ettari a Brunello, perché come detto l’Albo è chiuso.
Ciò che invece alcune cantine starebbero facendo, è piantare vigneti che con tutte le caratteristiche per poterlo essere, a partire dal 100% Sangiovese, ovviamente, ad altitudini maggiori rispetto ai vigneti già produttivi di proprietà, da rivendicare, oggi, a Igt Toscana. Con la prospettiva, quando i nuovi vigneti avranno i requisiti per essere registrati a Brunello (100% Sangiovese, ed essere almeno al terzo anno di vegetazione per rivendicare l’uva per la produzione nell’ordine del 30% del massimale previsto dal disciplinare, che sale al 70% al quarto anno e al 100% dal quinto in poi), di spostare il diritto di impianto aziendale, scambiando il vigneto rivendicato a Igt con quello rivendicato a Brunello e viceversa. Meccanismo previsto, chiaramente e logicamente, dalla normativa, e che consente così all’azienda, fatti tutti i passaggi, di mantenere inalterato il saldo dei propri ettari rivendicati a Brunello di Montalcino, e, al tempo stesso, di trovarsi con vigneti vocati ad un’altitudine maggiore e quindi, teoricamente, con prospettive a medio lungo termine migliori visto il riscaldamento climatico che si fa sentire, in generale, soprattutto nelle zone più basse e meno ventilate della “piramide” di Montalcino. Una trasformazione lenta, e non una rivoluzione, va detto, che riguarda solo pochi ettari di vigneto, e che richiede, comunque, investimenti importanti, visto che 1 ettaro di nuda terra da piantare a vigna, a Montalcino, si aggira intorno a quotazioni da 100.000 euro.
Un investimento in prospettiva, comunque, come del resto lo è quello di tante aziende del territorio, e del Consorzio, nella biodiversità agricola di eccellenza. Come racconta anche la case history del marchio “Eccellenze di Montalcino”, registrato dalla Fondazione Territoriale del Brunello, emanazione socio-culturale del Consorzio del Brunello, nato per valorizzare produzioni di eccellenza che vanno dal tartufo bianco all’olio, dal miele allo zafferano, dal formaggio alle prugne, dalla pasta al farro, e accompagnare il processo non solo delle aziende specializzate in queste produzione, ma anche delle tante che, credendo in un percorso sempre più integrato tra filiere dell’agricoltura e dell’enogastronomia, investono in altre produzioni a fianco a quella del vino. Che, insieme, diventano più forti sui mercati, non solo grazie ad un appeal che si alimenta a vicenda, ma anche grazie a più semplici sinergie comunicative e distributive, e, al tempo stesso, rafforzano l’attrattività del territorio da un punto di vista turistico (nel frattempo, è nato anche il “Tempio del Brunello”, museo interattivo firmato da Opera Laboratori, leader in Italia nei servizi museali, nel cuore del centro storico di Montalcino, perfetto condensato di arte di un territorio storicamente importante in Toscana e nuove tecnologie video applicate, con degustazioni virtuali e reali e visioni di paesaggi mozzafiato), dal momento che, come testimoniano tanti studi, l’enogastronomia di qualità è una delle motivazioni più forti nella scelta della meta di un viaggio da parte dei turisti d’Italia e del mondo. Che, anche in questa estate 2021 complicata dal Covid, hanno preso d’assalto Montalcino, la città del Brunello.

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