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IL VINO? NO, SARÀ IL TURISMO L’ATTIVITÀ ECONOMICA CON IL PIU’ ALTO POTENZIALE DI SVILUPPO NELLA PATRIA DEL BRUNELLO. E’ QUESTO IL “DESTINO” FUTURO CHE POTREBBE ATTENDERE ANCHE TUTTI GLI ALTRI TERRITORI “CULT” DELL’ITALIA DEL VINO. LO DICE IL CENSIS

Non sembra lontano nel tempo uno scenario che vede il turismo - e non il vino - come attività economica con il più alto potenziale di sviluppo a Montalcino. La patria del Brunello, infatti, insidia ormai da vicino il primato di San Marino come numero di visitatori annui (circa due milioni), ma, a differenza del piccolo Stato indipendente del centro Italia, a Montalcino cresce almeno del 10% all’anno. Una prospettiva sempre più concreta, che vede Montalcino trasformarsi in una sorta di modello delle future evoluzioni con cui anche tutti gli altri territori “cult” dell’Italia del vino dovranno fare i conti. A partire dal Chianti Classico, alle Langhe, ma anche il Collio, Montefalco, Valdobbiadene, il Sud Tirolo, il Trentino, passando per la Franciacorta e la Valpolicella.
Lo scenario emerge dall’analisi “Le prospettive del turismo enogastronomico in Italia e a Montalcino”, realizzate dal Censis Servizi Spa, in collaborazione con www.winenews.it, per i quarant’anni del Consorzio del Brunello di Montalcino (Montalcino, 27 aprile 2007), l’istituzione che ha permesso in questi anni, oltre al successo del Brunello, anche quello di tutto un territorio.
Un modello, quello di Montalcino, sotteso ad almeno tre snodi fondamentali: da una parte la capitale del Brunello ha saputo far evolvere l’apprezzamento del suo vino, passando dal ruolo pionieristico dei “trademark” (poche aziende storiche con un nome “garanzia”), alla rilevanza del “brand territoriale” (chiunque produca a Montalcino ha un posizionamento dominante sul mercato); dall’altra ha saputo emergere nella mappa delle destinazioni specializzate dei turismi del vino, che si è dilatata da una ristretta elite di comuni piemontesi e toscani a una galassia di 234 territori Doc e Docg, 540 città del vino, 140 strade del vino e del gusto; infine, ha saputo intercettare nei volumi e nei comportamenti i turisti del vino, anch’essi passati da poche migliaia di appassionati intenditori ai 5-6 milioni di consumatori trasformatisi, a loro volta, in soggetti plurisegmentati, sempre più informati, critici, mediatizzati, modaioli, politeisti,e, quasi sempre, del tutto infedeli.
I rischi stanno già tutti scritti nel facile successo rappresentato dai numeri del turismo di massa: sviluppo apparente, interessi diffusi, prospettive di “sanmarinizzazione”, cioè di basso profilo turistico appiattito sul modello del “mordi e fuggi”, nella ricettività rurale povera di identità; nella ristorazione molto sguarnita nei livelli medio-alti e alti, negli eventi troppo concessivi all’eclettismo delle sagre e dei festival agostani.
La scommessa, invece, sta nel riuscire a pilotare i processi necessari a far progredire un brand territoriale verso una “love destination” di stabile classicità. “Per ispirare il turismo enogastronomico di Montalcino - spiega il professore Fabio Taiti, presidente di Censis Servizi Spa e autore dell’analisi “Le prospettive del turismo enogastronomico a Montalcino”, in collaborazione con www.winenews.it - non occorrono paradigmi altrove sperimentati: è un po’ come se sul molto “ordito” prodotto dal vino e dall’ambiente occorresse tornare a tessere una “trama” ricca e originale di fattori dell’attrattività, dell’accoglienza, delle esperienze e delle emozioni. Senza facili scorciatoie e con adeguate ambizioni”.

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