Non è tutto così roseo per le donne nel mondo del vino, ancora alle prese con il sessismo. Sono laureate, ma hanno stipendi più bassi degli uomini, e hanno ancora difficoltà a conciliare la vita professionale con la nascita dei figli (fanno figli dopo i 30 anni e ne fanno di meno). Tra le produttrici l’85% dichiara di non esser mai stata sottoposta ad atteggiamenti sessisti, ma ammette di continuare a faticare il doppio per affermarsi anche nelle aziende di famiglia, e nel 21% di aver dovuto difendersi da atteggiamenti del genere, specie nelle fiere. Lo scenario peggiora quando si tratta di donne in posizione dipendente come le enotecarie e sommelier, e se le meno colpite dai problemi di genere risultano essere le ristoratrici, tra le giornaliste, pr e addette al marketing, consulenti ed esperte c’è persino chi ammette di aver lavorato in realtà in cui “non era “concesso” alle donne ricoprire ruoli di alte cariche aziendali perché ritenute non idonee”, di aver subito difficoltà collegate alla maternità (25%) arrivate anche fino al licenziamento - per poi decidere di fondare una propria impresa nel 73% dei casi - e ben il 39% di aver dovuto difendersi da atteggiamenti sessisti. Ma smettere di lavorare, anche in età avanzata, è un’eventualità non contemplata per le donne che fanno impresa. L’88% delle produttrici è titolare o contitolare della cantina in cui lavora - nel 42% dei casi piccole cantine con fatturato inferiore al mezzo milione di euro, il 17% raggiunge il milione e il 41% lo supera, di cui oltre la metà dall’export - e punta sulla qualità e sull’attenzione all’ambiente (il 27% produce vino bio o biodinamico), ma anche sulla diversificazione, ristorazione e accoglienza in primis. Lo rivela un’indagine-sondaggio tra le oltre mille produttrici, giornaliste, ristoratrici e sommelier delle Donne del Vino, di scena, oggi, all’Associazione Stampa Estera a Roma.
Tra le produttrici, le conferme riguardano la scolarizzazione decisamente molto alta, per cui il 43% ha almeno la laurea e il 15% anche un diploma post universitario. Sorprende invece la difficoltà di conciliare la vita professionale e la nascita dei figli: sono all’88% titolari o contitolari della cantina in cui lavorano, ma devono rimandare la nascita dei figli molto avanti nel tempo per cui la metà di chi ha tra i 40 e i 50 anni ha ancora figli minorenni. Una realtà diversa da quella idilliaca che tutti immaginano nel bucolico mondo del vino dove tutto sembra “a misura d’uomo” e dove invece i ritmi di lavoro e gli impegni professionali, spesso lontani da casa, creano una situazione poco conciliabile con la famiglia e simile a ogni altra attività di alto profilo. Nessuna delle produttrici intervistate si dichiara pensionata benché il 19% di esse abbiano più di 60 anni. Nonostante una dimensione aziendale che potrebbe creare dei limiti tutte esportano molto e il 52% ricava oltre la metà del suo business nei mercati esteri. Anche i dati sulla quota di vino con denominazione sul totale (69%) dimostra un deciso orientamento verso la qualità e il dinamismo, atteggiamenti confermati dalla diversificazione produttiva che riguarda l’85%delle Donne del Vino con quote di oltre un terzo del business aziendale. Il 21% ha anche la ristorazione in azienda e il 30% offre pernottamenti; plebiscitaria la vendita diretta (91%). Forte l’attenzione all’ambiente per cui il 27% produce biologico o biodinamico.
Le parti più sorprendenti dell’indagine, spiega una nota, riguardano la sezione che andrà a confluire nell’indagine mondiale di Wine Business International, agenzia britannica di analisi sul vino sulla condizione femminile del settore enologico, “qualcosa di coraggioso e di mai analizzato prima”. Alla domanda “pensi di ricevere lo stesso stipendio che ricevono gli uomini che svolgono gli stessi compiti?”, il 29,9% ha risposto “no”e il 18% “forse no” benché, come detto prima, a rispondere siano state soprattutto le titolari delle cantine e le stesse abbiano dichiarato di retribuire, nel 96% dei casi, allo stesso modo dipendenti maschi e femmine. La domanda sugli atteggiamenti sessisti ha ottenuto un “no” quasi plebiscitario (85%) benché ci sia anche chi è stata “insultata per non essermi sottomessa al boss” e si ammette che “le donne continuano a faticare il doppio per affermarsi anche nelle aziende familiari dove sono contitolari con uomini”. Più problematica la situazione nelle fiere dove il 21% delle produttrici ha dovuto difendersi dagli attacchi maschili o almeno contrastare un atteggiamento sessista.
Lo scenario peggiora quando a rispondere sono donne in posizione dipendente come le enotecarie e sommelier che nel 63% dei casi è certa o sospetta di guadagnare meno dei colleghi maschi, ma nella scelta del lavoro attuale ha privilegiato le imprese dove la differenza tra i generi è minore. Si tratta per il 75% di laureate o con diploma post universitario, ma benché il 50% abbia meno di 39 anni nella stragrande maggioranza dei casi non ha figli. Segno di un reale disagio a conciliare la carriera e la famiglia anche in presenza di contratti a tempo indeterminato. Meno scolarizzate (33% con laurea o diploma post universitario) e in grande maggioranza ultracinquantenni (72%) le ristoratrici che hanno risposto al sondaggio sono per la stragrande maggioranza titolari dell’esercizio in cui operano e, tra le Donne del Vino, quelle meno colpite dai problemi di genere.
Sul fronte opposto le giornaliste, pr e addette al marketing, consulenti ed esperte. La fascia di età delle intervistate si concentra tra i 40 e i 59 anni (63%) e il livello di istruzione è molto alto con un 66% che possiede una laurea o un diploma post universitario, mentre aumenta il dubbio o la certezza di venire retribuita meno dei colleghi uomini (62%). Tra gli atteggiamenti sessisti subiti dal 39% delle intervistate, battute semiserie del tipo “meno rossetto e meno Armani gioverebbe alla tua carriera” a atteggiamenti di discriminazione arrogante “i miei capi famosissimi che mi prendevano sempre per la cameriera” fino a chiare richieste di prestazioni sessuali senza le quali non si viene neanche pagate. Anche per le giornaliste e le pr le fiere sono un momento delicato in cui la probabilità di venire infastidita cresce di molto così come la sensazione di essere meno considerata per il solo fatto di essere donna. La reazione è quella di mettersi in proprio e il 73% delle Donne del Vino intervistate hanno creato la propria impresa, spesso molto piccola (39% dei casi sotto i 100.000 di fatturato annuo).
Tutte valutano le wine lovers donne in crescita quantitativa e qualitativa anche per l’abbandono di luoghi comuni che vedevano sconveniente il calice di vino in mano femminile in pubblico. Al ristorante, la donna dice la sua nella scelta del vino solo se è in coppia, mentre quando è in gruppo è ancora l’uomo a decidere. A tavola le scelte femminili si orientano sui bianchi e in seconda battuta sulle bollicine. Per la consumatrice donna conta il gusto personale e il nome del produttore perché nella stragrande maggioranza dei casi sceglie i brand che conosce.
Un’indagine che “rivela il nuovo profilo del mondo del vino italiano al femminile. Alcune conferme e molte sorprese, soprattutto riguardo a un sessismo superiore alle aspettative - commenta la presidente dell’Associazione Donatella Cinelli Colombini, dalla presentazione con l’onorevole Colomba Mongiello e Micozzi - su due punti c’è un’assoluta omogeneità di vedute: sul ruolo delle donne nel mondo del vino le cose vanno meglio, ma non bene e c’è ancora tanto da fare per raggiungere una reale parità di genere. Inoltre le donne prendono esempio da altre donne assumendole come modelli (82%) elemento quest’ultimo da non sottostimare perché le recenti indagini di Wine Economics sulle donne del vino australiane (http://bit.ly/2iUXSfi) hanno invece rivelato la propensione del settore femminile del vino a conformarsi a comportamenti professionali e sociali maschili adattandosi ad un ambito che le vede in netta minoranza”.
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