30 penny per una bottiglia di Château Lafite 2004, valutato 900 sterline, 16 per uno Chateau Haut Brion 1999 (sul mercato a 425 sterline), o ancora 6 per uno Château Margaux 2006: non sono i prezzi del “listino magico” che ogni appassionato sogna, ma alcune delle quotazioni d’asta che qualche collezionista si è aggiudicato sul sito www.uniquewineauctions.com, lanciato qualche mese fa in Inghilterra dalla Iom Wine Traders e che, grazie soprattutto a grandi bottiglie come queste, sta riscuotendo successo. Il meccanismo è quello delle aste a ribasso, che poi sono più simili a lotterie che a vere e proprie aste: si paga una sorta di ticket fissato di volta in volta per piazzare un’offerta nel range di prezzo indicato, da 1 penny al prezzo massimo della bottiglia, e l’offerta unica più bassa vince. Certo, non ci sono solo grandi etichette, come ha spiegato a Decanter Andrew Cullimore: “è un successo quasi inaspettato, che ci spinge a continuare ad offrire altri grandi vini, per quanto ci sarà possibile, ma trattiamo volentieri vini meno prestigiosi, come i Rioja o i Pinot Neri della Nuova Zelanda. Ciò nonostante, la partecipazione scatenata da nomi come Château Lynch Bages o Château Duhart Milon è unica, sono sicuro che l’entusiasmo contagerà sempre più persone”. Ad oggi, gli “scommettitori al ribasso” del sito internet britannico sono 190, provenienti da 20 Paesi del mondo, e chiedono sempre più aste. Certo, l’idea è nata in Inghilterra, patria per eccellenza delle scommesse su qualunque cosa. Ma in Italia, dove le “aste a ribasso”, soprattutto dedicate alla tecnologia, hanno avuto grande successo, è ipotizzabile qualcosa di simile? Lo abbiamo chiesto a Raimondo Romani, alla guida di Gelardini & Romani wineauction, prima casa d’aste italiana specializzata in grandi vini: “sicuramente anche da noi possono esserci possibilità di sviluppo per un meccanismo come questo, che ovviamente non andrebbe a sostituire i canali classici delle aste. Ma la cosa più importante è che da un’esperienza come questa si conferma il valore del grande vino come oggetto del desiderio sui cui si è disposti anche a scommettere pur di averlo, anche perché gli si riconosce un valore non solo immateriale o edonistico nel berlo, ma anche monetizzabile”.
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