I debiti oltre i dazi: per Terre d’Oltrepò sono giorni decisivi … Il futuro della più importante cantina cooperativa lombarda mette a rischio una delle aree più produttive del Paese: a ieri solo 3mila i quintali di uve conferiti contro una capacità di circa 400mila. Sotto accusa la gestione d’impresa … Non solo i dazi di Donald Trump, ma anche decine di milioni di debiti che pesano forse più della complessità dei mercati e delle bizze del clima. Sono giorni davvero difficili quelli che sta attraversando Terre d’Oltrepò, la più importante cantina cooperativa dell’Oltrepò Pavese e della Lombardia, adesso commissariata, con i soci che pare voltino la schiena e un orizzonte tutto da capire. In bilico però non è solo una cooperativa, ma l’equilibrio economico e sociale di una delle più importanti aree vitivinicole italiane. Mentre c’è chi parla di “malagestione” ma anche di vendemmia più triste della storia. Per ora un solo dato è chiaro: non basta la qualità del vino serve anche quella della gestione d’impresa. Proprio per porre rimedio ad una gestione che non ha dato i risultati sperati, qualche giorno fa il governo è intervenuto nella crisi con la nomina a commissario di Luigi Zingone, 49 anni, commercialista e curatore fallimentare. Un passo importante nei confronti della cooperativa nata nel 2008 dalla fusione tra la Cantina Sociale Intercomunale di Broni e la Cantina di Casteggio, ma ormai ineludibile. Per capire meglio occorre tornare indietro nel tempo. I guai della cooperativa, infatti, arrivano da lontano e hanno diverse cause che il Collegio dei sindaci, in uno dei documenti che hanno dato il via al commissariamento, ha sintetizzato parlando di una capacità di produzione diminuita per «gli effetti negativi derivanti dalla contrazione del mercato interno» ma anche a causa “del rilevante aumento del costo delle materie prime e dell’energia”. A pesare, anche le rese più basse per la diffusione della peronospora ma soprattutto la diminuzione dei conferimenti da parte dei soci. Il segno della crisi è forse proprio questo: gli agricoltori che normalmente conferivano le loro uve a Terre d’Oltrepò si stanno rivolgendo ad altre cantine. A ieri, in piena vendemmia, sarebbero solo 3mila i quintali conferiti contro una capacità di circa 400mila. A conti fatti, viene poi spiegato nella nota dei sindaci, si è “passati da una media storica compresa tra i 380mila - 400mila quintali di uva, ad un valore di 160mila durante l’ultima vendemmia del 2024”. Da tutto questo sono derivati i debiti (c’è chi dice 40 chi 30 milioni), l’aggravamento delle condizioni di gestione nella prima metà del 2025 e, nelle ultime settimane, la dimissione degli amministratori. Una situazione più che preoccupante per il ruolo e l’importanza della cooperativa. Terre d’Oltrepò raccoglie circa 5.000 ettari di vigneti, circa 450 soci (erano 650 qualche anno fa), marchi prestigiosi come La Versa e 65 dipendenti che da inizio di agosto sono in stato di agitazione. Adesso tutto è in mano ad un commercialista, insediatosi ieri, che dovrà capire che cosa in realtà ha determinato il disastro, salvaguardare l’occupazione, ridare fiducia ai soci e quindi una prospettiva di sviluppo alla cantina. Il Mimit è stato chiaro: Zingone ha pieni poteri per «garantire la prosecuzione delle attività vitivinicole» ma solo se ci saranno i presupposti, e “procedere al risanamento dell’impresa”. Questione delicata, dunque. Che sconta anche recriminazioni e accuse un po’ di tutti i protagonisti della vicenda. Con gli ex-amministratori (come il ceo Umberto Callegari) che si difendono, se la prendono con la Regione Lombardia e ipotizzano la presenza di un compratore pronto a rilevare tutto. Mentre il vicepresidente del Senato, Gian Marco Centinaio, fortemente radicato nel territorio, che ha seguito la vicenda e perorato l’intervento del governo, dialogando con l’agenzia specializzata Winenews parla della necessità di una “operazione verità per capire se, alla luce delle attuali condizioni provocate dalla malagestione degli ultimi tempi, sarà possibile andare avanti o saranno necessari ulteriori interventi an cora più incisivi”. Mentre i sindacati puntano all’occupazione. Alessandro Cerioli di Fai Cisl dice: “Per noi, non è il tempo delle rivendicazioni sul passato ma quello di lavorare per dare all’azienda un futuro che purtroppo non si presenta certo semplice. Il grado di indebitamento della struttura e la disaffezione dei soci, legittima visto il mancato pagamento delle uve dello scorso anno, sono un fardello che il nuovo commissario deve affrontare da subito”. Ad inizio del mese di agosto, nel pieno dell’incertezza, Francesca Seralvo, presidente del Consorzio Vini dell’Oltrepò, era intervenuta parlando della necessità di “reagire uniti guardando al futuro, e anche al presente, di un territorio che di vitivinicoltura vive e per il quale è necessario fare ogni sforzo possibile”. Il rischio di vedere scomparire una realtà importante dell’Oltrepò pare quindi essere alto. Con tutte le conseguenze del caso.
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