“L'Italia non ha vini con un prestigio consolidato per la vendita “en primeur” (in Francia, lo fanno del resto soltanto 20/25 chateaux - tra i quali né Petrus né d'Yquem - e da 100/150 anni). Sono la rarità e domanda consolidata che creano la voglia dell'en primeur, oltre che il buon lavoro dei negociants. Le operazioni “en primeur" fatte in Italia sono state operazione promozionali e di marketing di grandi aziende. I piccoli produttori non devono prestare troppa attenzione ai grandi e non devono necessariamente seguire i loro esempi. In Italia, il successo ed il fenomeno del vino lo hanno creato le enoteche ed i ristoranti: sono loro che hanno costruito il nome e il prestigio del vino ed hanno accresciuto la voglia di qualità del consumatore … I supermercati e le banche faranno bene, forse, ma in futuro ! Anche per Internet, vedremo … Gaja, comunque, non ha bisogno di “en primeur”, perchè ha tutto collocato. Le nuove aziende che vogliono crearsi un mercato possono essere interessare … ma, al momento, non vedo il tessuto commerciale assolutamente pronto: infatti, ammesso che si possa avviare un fidanzamento tra vino e finanza, ci vogliono momenti di leggibilità dell'annata e di classificazione delle aziende, altrimenti sulla vendita "en primeur" qualcuno si brucerà …". Questa la testimonianza di Angelo Gaja, raccolta da WineNews, di recente ad un convegno nazionale ”Il vino toscano in anteprima: “negoce” bordolese o “futures” ?”, organizzato a Castagneto Carducci (Livorno) dal Comune e dal Consorzio di tutela dei vini di Bolgheri, a due passi dal mitico vigneto dove nasce il Sassicaia di Niccolò Incisa della Rocchetta, è stata poi arricchita anche da una serie di personali esperienze dell’imprenditore piemontese (ma con tenimenti in Toscana, a Bolgheri ed a Montalcino) tra i miti dell'Italia nel mondo: "la mia esperienza sull'en primeur - racconta Angelo Gaja - risale agli anni Settanta ed a Peppino Cantarelli, il mitico oste di Samboseto (Parma), che ha segnato l’evoluzione della ristorazione italiana”. “Allora - ha spiegato Gaja - occupandomi direttamente della vendita e, non riuscendo mai a vendere una bottiglia a Cantarelli, fui attratto dalla proposta di questo grande ristoratore, dalla sensibilità gastronomica immensa (Peppino e Mirella Cantarelli chiusero poi, con una cena d’addio, nel 1983, ndr): e, così, nel '72, con una bottiglia di Barbaresco Gaja che costava sulle 1450 lire, il buon Cantarelli uscì con il dire "voglio il 1971 !”. E io dissi … ma è pronto tra 4 anni ! E Cantarelli “lo compro subito, ma a prezzo inferiore”. E così ho venduto 4 barriques del 1971 ed ho riscosso con assegno a 1600 lire a bottiglia; la stessa bottiglia che poi, nel 1974, sul mercato, decidemmo di far pagare sulle 3600 lire … Non fu, dunque, un bell'affare ! Seguì ancora un'altra vendita “en primeur”, ad un particolare commercialista, nell’ottobre 1974, Guareschi, figlio dello scrittore, che terminò, grosso modo, alla stessa maniera … Scottature insomma che mi hanno fatto capire, negli anni Settanta e primi anni Ottanta, che non era il caso di insistere …”.
Ma, al convegno di Castagneto Carducci, sulla scia di Angelo Gaja, anche molti altri imprenditori ed esperti hanno ribadito che in Itali non c’è grande spazio per una finanzializzazione del vino (“e comunque prima di avventurarsi - hanno convenuto imprenditori ed esperti - occorre definire l'organizzazione della commercializzazione del vino”).
“Quella realizzata da aziende a Montalcino (Castello Banfi, Antinori, Frescobaldi …) e nel Barolo (Tenimenti Fontanfredda, Rosso …) sono dei semplici "buoni di acquisto" di operazioni non finanziarie ma di marketing. Da non dimenticare - hanno poi aggiunto gli esperti - che c'è il rischio di spersonalizzazione del vino: il vino non può essere ridotto a mera merce di scambio!”. La comunicazione di Giovanni Longo, a capo delle migliori enoteche italiane (l'associazione è Vinarius, l'organismo associativo del settore, che associa 95 enoteche, con 400 dipendenti, 700/900 referenze in enoteca, 120 miliardi di fatturato, con un valore di magazzino di oltre 50 miliardi, per 40.000 bottiglie per enoteca), ha invece ribadito che “la prima formula messa a punto dalla Castello Banfi non ha infastidito le enoteche, che erano anzi al centro dell'operazione. Quello che invece non ho affatto condiviso è venuto dopo, da parte di altre aziende (Fattoria dei Barbi e Castellare di Castellare), ovvero l'intromissione nel mercato del vino della banca, che in certo senso, si faceva garante del vino, bypassando le enoteche". Giovanni Longo ha quindi spiegato che "l’en primeur è impercorribile come strumento di investimento: il vino è emozione non è strumento di finanza, ed è grazie alle enoteche ed ai ristoratori che è arrivato all'attuale buon momento per il vino italiano. Ma non montiamoci la testa !”. Giovanni Minetti (direttore generale dei Tenimenti Fontanafredda e, di recente, presidente del Consorzio del Barolo e del Barbaresco) ha invece spiegato che “l’azienda piemontese, pur essendo di proprietà del Monte dei Paschi di Siena (e quindi poteva, in qualche modo, far entrare in campo la banca sulla vendita dei “futures”, ndr), non lo ha fatto. La sottrazione dal mercato può infatti creare dei gravi problemi commerciali ! Oggi, poi, il mercato delle vendite “en primeur” o “futures” è un po’ freddino: quindi, non sappiamo, ancora, se ripeteremo con il Barolo 2000, l'esperienza fatta con il Barolo '97 (in scadenza a luglio 2001) e con il Barolo '98 (a luglio 2002)”. Per Enzo Vizzari, giornalista e direttore de “Le Guide de L’Espresso”, “in Italia, la vendita en primeur non ha senso, almeno in tempi brevi, non perché siamo meno bravi ed intelligenti dei cugini francesi (peraltro, il sistema in Francia non è certo perfetto, limpido e trasparente; c’è, ad esempio, anche una sorta di cartello tra i migliori chateaux e la qualità non sempre corrisponde necessariamente ai prezzi), ma semplicemente perchè non c’è una classificazione, che è invece necessaria, per questo tipo di vendita. L’en primeur è poi un atto di fede, non conta la tecnicalità bancaria. Prima di applicarla nel nostro Paese, si deve dare identità e visibilità, fare una classificazione, che sia riconoscibile e convalidata dai mercati. Quindi, organizzare assaggi dei primeur e promuovere la cultura del vino e del territorio. Ma, ripeto, per il momento, non siamo nemmeno vicino all’inizio: Bordeaux non si vede neppure”.
Ernesto Gentili, giornalista del “Gambero Rosso” nonché uno dei più importanti curatori della guida “Vini d’Italia”, ha invece spiegato che “devono essere le enoteche a trasformarsi in negociants: questo, chiaramente, non dall’oggi al domani. Per far nascere, in futuro, in Italia, un mercato en primeur, è questo il primo passo da fare. Quindi, l’assaggio en primeur, che peraltro presuppone anche uno sforzo culturale. Ma, ancora, è troppo presto per avventurarsi in questo mercato”. Del tutto contrario a “futures” e “vendite in anteprima”, Paolo De Marchi (proprietario dell’azienda chiantigiana Isole e Olena di Barberino Val d’Elsa, Firenze): “la mia azienda vende tutto senza en primeur. Come lavoro ? Decido i prezzi e decido a chi vendere il vino (e le quantità). Sono il negociant di me stesso. Nel 1982, secondo anno d’attività, ho provato, a vendere tutto in anteprima, ma gli anni dopo mi sono trovato sul mercato, il vino a prezzi non congrui, che mi hanno ostacolato, e nemmeno poco. Il mio vino cerco di non venderlo a chi fa speculazione finanziaria ! E poi non perdiamo la giusta dimensione: il vino è fatto per essere bevuto”.
Insomma, se il vino ha di fatto conquistato un ruolo primario ed un interesse nei piani alti della finanza, questo non vuol dire che possa diventare un vero e proprio prodotto finanziario alla pari degli altri derivati di Borsa. Il fidanzamento tra bottiglia e finanza - secondo le testimonianze di famosi e autorevoli produttori e secondo i commenti di prestigiosi giornalisti, che hanno partecipato al convegno di Castegneto Carducci - è insomma ancora lontano: mancanza di cultura finanziaria, per alcuni, e due mondi (quello finanziario ed agroalimentare) troppo distanti, secondo altri.
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