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ANGELO GAJA DISEGNA IL SUO FUTURO PROSSIMO: "INVESTIRO' ANCORA A MONTALCINO ED A BOLGHERI, MA IL MIO CORE BUSINESS RESTANO LE LANGHE"

Italia
Angelo Gaja

"Non faremo pazzie, ma entro qualche anno cercheremo di passare da 16 a 25 ettari a Montalcino, potenziando ancor più la cantina e le strutture di produzione della Pieve di Santa Restituta (acquistata definitivamente nel '97, dopo aver detenuto il 45% del capitale sociale, più opzione; il 55% era di proprietà di Roberto Bellini, ndr) ed andremo ad ultimare, entro 8 mesi, la costruzione della cantina di Bolgheri (che dovrà vinificare le uve dei 60 ettari di proprietà nel territorio della Costa degli Etruschi, ndr). Comunque, sia Montalcino sia Bolgheri, pur essendo dei grandi territori di vino e luoghi dove sto investendo con grande soddisfazione e convinzione, non rappresenteranno mai il mio core business, che rimane il Piemonte". Queste, in sintesi, le linee d'azione, nel futuro prossimo, di Angelo Gaja, uno dei personaggi del vino italiano più famosi ed autorevoli al mondo. "L'anima della famiglia Gaja è nelle Langhe: qui ho cercato e cercherò - conferma Angelo Gaja - ancora di più, grazie anche all'"operazione cru" decisa nei mesi scorsi, di innalzare l'immagine del Barbaresco". "Cru (Sorì Tildin, Sorì San Lorenzo, Costa Russi) che, per il momento, non cambieranno di una virgola. Anche se, in futuro, vedremo. Del resto, già mio padre aggiungeva uve Barbera e qualche "internazionale", in poca parte, negli anni Sessanta (Angelo Gaja ha preso parte all'azienda a partire dal 1961, ndr). Dunque, mai dire mai".

Ma l'"operazione cru" non potrebbe portare ad un disorientamento nei consumatori e collezionisti, si chiedono molti "analisti" del vino? "Negli ultimi anni c'è stata un'autentica esplosione - spiega ancora Angelo Gaja - di nomi di vigneto sulle etichette del Barbaresco e del Barolo, accompagnata da una qualità sempre più elevata. Ed è stato sicuramente un bene per la docg, anche se nella mente del consumatore, è nato però un pregiudizio: il Barbaresco ed il Barolo, senza indicazione di vigneto, erano visti come sinonimo di qualità onesta, ma senza particolari aggettivi. Abbiamo cercato di far crescere sempre la qualità del Barbaresco Gaja, ma, nonostante questo, gli aggettivi più autorevoli mancavano. Il Barbaresco Gaja, invece, è di gran lunga per noi il vino più importante, per la nostra storia, per ragioni sentimentali, per numero di bottiglie prodotte. La sofferta scelta di toglierli di torno i cru, era, secondo noi, la strada più percorribile per farne crescere qualità e reputazione. Il Barbaresco Gaja è, insomma, il solo vino docg tra i nostri prodotti di pregio e su questo vino riserveremo cure ed attenzioni, per ritornare a farlo diventare la nostra bandiera, così come in passato lo era già stato per mio padre, per mio nonno, per mio bisnonno".

Per il resto, nessun cambiamento di filosofia di produzione: "Angelo Gaia continuerà a produrre esclusivamente dai vigneti di proprietà; il numero delle bottiglie non aumenterà; il nostro impegno per fare bene non muterà di una virgola". Gaja ha assunto, inoltre, di recente un giovane manager, Willi Klinger, con il chiaro ruolo "di elevare sempre più il livello della clientela e di assicurare ai top wines la migliore presenza e presentazione possibile nelle enoteche e nei ristoranti".

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