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ASSOENOLOGI: VINO NEL LEGNO O LEGNO NEL VINO, LO SCONTRO TRA DUE MONDI

Italia
Renzo Cotarella, enologo e direttore generale della Marchesi Antinori

Per gli enologi e gli enotecnici, riuniti a Milano per il congresso nazionale n. 56, discutere di chips in relazione al vino non significa scegliere il tipo di patatine o stuzzichini da accompagnare alla propria bottiglia preferita. Si tratta invece di un argomento di quelli forti, che suscitano polemiche ed opinioni contrastanti. Aggiungere il legno al vino è una pratica enologica molto diffusa nei paesi del Nuovo mondo, utilizzata in sostituzione dell’affinamento in barrique. Il legno può essere aggiunto in varie forme: chips, trucioli, segatura, cubetti, sfere, sticks e chi più ne ha più ne metta. Fatti di castagno, di rovere americano o francese, e a livelli variabili di tostatura. Le leggi parlano chiaro: in Italia e nell’Unione Europea l’uso di chips e simili è vietato. Ma poi nella realtà la situazione è diversa: in Francia regna uno stato di illegalità di fatto, e sono molti i produttori che aggiungono il legno nel vino.

Il tentativo della Assoenologi è allora innanzitutto quello di fare chiarezza, valutando alla luce del sole certe pratiche in modo da esaminarne difetti e benefici. Un dato è certo: la concorrenza è sempre più forte, e l’uso degli economici trucioli piuttosto che della barrique (che dopo 2-3 anni va cambiata) consente a paesi quali l’Australia o la California di produrre bottiglie ad un costo decisamente inferiore (da 4 a 10 volte in meno).
Il professor Aureliano Amati, docente di enologia all’Università di Bologna, ha presentato uno studio sperimentale sull’uso di chips in Italia, da lui coordinato insieme ad esperti nominati dal Ministero: il risultato emerso dalla ricerca (che ha coinvolto 22 aziende distribuite sull’intero territorio nazionale) è che l’impiego di trucioli comporta una diminuzione di alcuni componenti del vino, come i polifenoli (in particolare gli antociani); dal lato aromatico, i vini aggiunti di trucioli risultano invece più ricchi di sentori di vanigliato, tostato e speziato, ma meno fruttati.

Da un punto di vista scientifico le differenze non sono dunque sostanziali. Ma come la mettiamo con l’aspetto emotivo ? Renzo Cotarella, famoso enologo e direttore generale della Marchesi Antinori, si esprime a favore della barrique, motivando questa scelta con una strategia produttiva incentrata sulla qualità del vino. Ciò che distingue i nostri vini sono le irripetibili caratteristiche di eccellenza, la tipicità, il legame forte e indissolubile con il territorio in cui nascono, la non replicabilità, una cultura e una tradizione antichissime che conferiscono identità precise e riconoscibili. “Tutto questo - spiega Cotarella - ci differenzia dai produttori del Nuovo Mondo, che invece si basano essenzialmente sul vitigno, su produzioni massicce, su una omologazione del prodotto tale da renderlo riproducibile all’infinito. Il legno nel vino è sinonimo di una globalizzazione del gusto che è esattamente il contrario del principio di qualità perseguito in Italia. La barrique significa eccellenza, e soprattutto attenzione in ogni fase della filiera produttiva, per fare un prodotto tale da non essere prevaricato dal legno. In ogni caso, l’attenzione va puntata sul vino: ad esso spetta il ruolo da protagonista, e della barrique va fatto comunque un uso discreto.

La parte di “avvocato del diavolo” è stata affidata a Carlo Corino, enologo che ha maturato un’esperienza ventennale come direttore generale della Montrose Winery Amberton a Craigmoor (Australia), attualmente consulente per varie aziende internazionali. A lui il difficile compito, visto il consesso dei presenti, di difendere i trucioli. Una difesa che si è brillantemente basata su vari aspetti, da quello legale a quello etico, passando per le sfaccettature sanitarie e commerciali. La conclusione di Corino è, fermo restando che il legno nel vino è un ripiego rispetto al buon uso della barrique, e che i risultati nel tempo premiamo la botte, che sarebbe comunque un grave errore lasciare questa tecnologia alla concorrenza. Così facendo si dà il via ad un uso illegale dei trucioli, alimentando un clima di sospetto e di “caccia alle streghe”. Meglio valutare serenamente chips e affini, prendendo spunto dagli altri paesi dove le due tecniche convivono, si completano o addirittura si sovrappongono (non è insolito in Australia mettere trucioli dentro le barrique che hanno superato i 2 anni di vita).

A riportare la discussione alle ragioni di chi il vino poi lo compra, è intervenuto dalla platea uno spettatore d’eccezione: Luigi Veronelli, applauditissimo, ha sottolineato come, specialmente in questo periodo di G8 e contestazioni a livello planetario, sia fondamentale difendere i consumatori da ogni sorta di disinformazione o contraffazione. Allora, partendo dal principio che un vino di eccellenza non potrà mai essere prodotto con i chips, deve diventare obbligatorio indicare sull’etichetta come è stato prodotto il vino, sia per quelli provenienti dall’estero, sia se questa pratica dovesse essere introdotta anche in Italia. Così almeno i consumatori sanno cosa bevono, e la loro scelta di acquisto è consapevole. Ed in questo non si può non dare ragione al Maestro …

Eleonora Ciolfi

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