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I PRINCIPALI ATTORI PROTAGONISTI DEL SUCCESSO DEL MADE IN ITALY DEVONO ENTRARE NEL GOVERNO DEI PROPRI TERRITORI: LE CITTA’ DEL VINO DI TUTTA ITALIA, IN CONVENTION IN PIEMONTE, LANCIANO IL GRIDO D’ALLARME CONTRO IL “CRACK” DEI COMUNI ITALIANI

Italia
Territorio ad alta vocazione enogastronomica

Se la qualità dei territori rurali rappresenta un modello di riferimento per chi desidera vivere meglio, lo scenario futuro per i comuni “virtuosi” del vino, custodi di quell’immagine italiana riconosciuta in tutto il mondo, non sembra essere così roseo: la loro capacità di essere gestori e fornitori di servizi funzionali e di qualità per i cittadini, non va di pari passo con lo sviluppo dell’agricoltura “d’autore”, protagonista del successo degli stessi territori, vere e proprie “vetrine” agli occhi della comunità internazionale. Le Città del Vino di tutta Italia, riunite in Convention in Piemonte (fino al 19 ottobre, Comunità delle Colline tra Langa e Monferrato), lanciano il grido d’allarme contro il “crack” dei comuni italiani, alla luce delle importanti modifiche previste dal disegno di legge sul federalismo fiscale, approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 3 ottobre, all’interno del quale il concetto di “fiscalità rurale” non risulta essere sfiorato.

“Di fronte al disegno di legge sul federalismo fiscale - sottolinea il Presidente Valentino Valentini - le Città del Vino chiedono al Governo una maggiore attenzione verso la fiscalità rurale, affinché i territori rurali possano mantenere l’alta qualità della vita che li contraddistingue, continuando ad essere il simbolo e la vetrina dell’agricoltura d’autore nel mondo. La riforma sembra soffrire ancora di un eccessivo policentrismo, dove la parte del leone viene recitata dai grandi centri urbani e dalle città metropolitane.” Nella riforma manca, quindi, il riconoscimento della funzione che hanno oggi i comuni rurali - la maggioranza in Italia, di piccola e media entità e dove l’agricoltura riveste un ruolo fondamentale - per la promozione e lo sviluppo dell’economia legata alle produzioni tipiche e al turismo enogastronomico, che andrebbe invece riconosciuta e incrementata anche da adeguate risorse.

Secondo il disegno di riforma (Capo III "La Finanza degli Enti Locali") nella loro autonomia i Comuni possono introdurre tasse di scopo (art. 10, punto c) sui flussi turistici e la mobilità, o agevolazioni (art. 10, punto h), ma il principio sostanziale della fiscalità si basa ancora sul solo concetto di persona fisica/densità demografica e sugli immobili, così come anche nel prefissare le modalità di perequazione: il comune rurale, di fatto, non è presente nella riforma, né tantomeno viene specificata la sua funzione, custode dell’eccellenza made in Italy e parte importante nel PIL. Grazie all’alta qualità della vita, i territori del vino attraggono nuova popolazione residente (+10% rispetto ai centri urbani) e sono artefici di un diffuso recupero edilizio rurale (+27%), sostenendo inevitabilmente maggiori costi (dalla cura dell’arredo urbano alla tutela del paesaggio, dalla fornitura di adeguati servizi di accoglienza e di informazione turistica al recupero di beni artistici e alla cura dei centri storici e dei borghi antichi), proprio perché impegnati nel mantenimento del livello qualitativo raggiunto. E’ dimostrato, tra l’altro, che l’integrazione sociale è più dinamica e sostenibile in questi comuni che non nei grandi centri urbani. Tuttavia l’80% del territorio rurale non è coperto da reti per la connessione con internet e con difficoltà riesce a mantenere attivi sportelli postali o bancari, negozi di prima necessità, presidi socio sanitari, scuole di primo grado; il problema del disagio abitativo inizia ad allargarsi anche ai comuni sopra i 5.000 abitanti (indagine Confesercenti/Legambiente) e su 75 Città del Vino prese in esame, ovvero i comuni a più alta vocazione vitivinicola d’Italia, solo 24 hanno un reddito superiore alla media nazionale (indagine Centro Studi Sintesi/Il Sole 24 Ore), un enorme squilibrio nonostante l’alto valore aggiunto espresso dal territorio. La riforma, quindi, dovrebbe premiare e/o ridistribuire anche per certi meriti, non solo per abitanti, le risorse necessarie per mantenere e far funzionare le comunità locali. Per ottenere queste risorse, occorre pensare a nuove forme di prelievo sul reddito delle imprese agricole, o sull’Iva prodotta (volume d’affari delle aziende), oltre che alla tassa di scopo che comunque, se applicata, non sarà in grado di produrre il fabbisogno finanziario dei comuni più piccoli. Occorrerà, oltre all’addizionale Irpef, pensare a nuove forme di perequazione che valorizzino il concetto di sussidiarietà, pur in presenza di una riforma prettamente di stampo federalista.

Con l’abolizione dell’Ici sui fabbricati rurali, e sulla prima casa, restano di fatto ancora da individuare le risorse alternative per gli enti locali. In questo contesto, potrebbe essere valorizzato e applicato il Decreto Legislativo n.228/2001 "Legge di orientamento per l’agricoltura", che definisce la multifunzionalità dell’impresa agricola, che può essere coinvolta nella realizzazione di interventi utili alla tutela e al mantenimento della qualità complessiva dei territori (manutenzione di strade, tutela del paesaggio, salvaguardia dell’ambiente), consentendo ai comuni notevoli risparmi.

L’alternativa a tutto questo è soltanto una: cementificazione dei borghi e delle città rurali. Perché le poche entrate possibili per le casse comunali potranno essere quasi esclusivamente i proventi delle opere di urbanizzazione.

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