Nel 1617 Galileo abitava a Firenze in una signorile villa a Bellosguardo. Spesso, il padre della scienza moderna, si recava con la mula a far la spesa in San Frediano, e prima di partire, come tutti, faceva la nota della spesa: sul retro di una lettera a lui inviata dal segretario dell’Accademia dei Lincei, conservata alla Biblioteca Nazionale di Firenze, si legge: “pesci d’Arno, granchi, anguille e lucci. Funghi, raviggiuolo, zatte ... pesche, uova, acciughe ... fichi, azeruole, vino tre fiaschi, pane, limoni, uva ... erbe da trapiantare”. E chissà se, anche per il suo menù, il grande genio italiano non si lasciasse consigliare dalle stelle, visto che, ad occuparsi da tempo dell’argomento, è il prof. Alberto Righini del Dipartimento di Astronomia e Scienza dello Spazio dell’Università di Firenze dell’Osservatorio di Arcetri, il “luogo delle stelle per eccellenza”. “Il vino citato nella lista della spesa - spiega Righini a WineNews - non è indicato per tipo ma solo per quantità”. Tuttavia, secondo Righini, Galileo era davvero un buongustaio: in viaggio per l’Italia, non si faceva mai mancare sulla tavola le prelibatezze locali. A Venezia si faceva portare il Greco e il prosecco direttamente dal trevigiano, mentre a Pisa beveva il Chianti dei colli pisani alle Bertucce, al Porco o al Chiassolino. In esilio, nella sua villa ad Arcetri, ordinava del vino di Murlo, vicino a Siena, a un suo corrispondente, beveva il Chianti di Lucolena, e, soprattutto, alternava i suoi studi, coltivando la Verdea: un antico vitigno, diffuso in Toscana, ricordato fin dal 1400, dal quale si ricava un vino poco alcolico e dal sapore neutro.
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