E così, alla fine, è fallito anche un progetto strategico come quello di Piazza Italia a Pechino, inaugurato poco più di un anno fa. Pare infatti che la chiusura della vetrina dell’eccellenza enogastronomica made in Italy sia da ricercare - al di là della motivazione molto “politically correct” della ristrutturazione - nei prezzi esorbitanti praticati. Prezzi che trovavano apparente giustificazione negli elevatissimi standard di qualità, ma che non calamitavano certo la clientela. Risultato: scarse le vendite, scarsissimi gli introiti, addirittura difficoltà a pagare stipendi, affitti e fornitori. Le molte aziende e gruppi che avevano investito nel progetto - da Cavit a Conserve Italia, dal Consorzio del Prosciutto di San Daniele a quello del Grana Padano - si sono ritrovati tra le mani un’installazione faraonica di 3.600 metri quadri su tre piani, con gastronomia, ristorante, self-service, cantina, caffè e scuola di cucina, ma i cui ricavi erano di gran lunga inferiori alle spese di gestione. Peccato. Di gola.
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