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ECCO LE REGOLE “AUREEE” PER IL SUCCESSO FUTURO DELL’ENOLOGIA DI SICILIA SECONDO ATTILIO SCIENZA (UNIVERSITÀ DI MILANO): VALORIZZAZIONE DELL’INCREDIBILE PATRIMONIO AMPELOGRAFICO E MAGGIORE FOCALIZZAZIONE SULLA RICONOSCIBILITÀ DEI DIVERSI TERRITORI

Italia
Attilio Scienza

Dopo il successo planetario dei vini “made in Sicily”, che è esploso senza preoccuparsi più di tanto delle diversità e dell’immenso patrimonio ampelografico dell’isola è giunto il momento, specialmente in una fase delicata come quella attuale, di cambiare passo. È un po’ il monito del professor Attilio Scienza, ordinario di viticoltura all’Università di Milano, che arriva dall’evento internazionale “Sicilia en primeur”.
A rendere la Trinachia terra d’elezione per la vite sono principalmente le condizioni climatiche, tali, per esempio, da permettere una forbice nel periodo vendemmiale di 90 giorni (dal 15 agosto al 15 novenbre). A questo va aggiunta la ricca varietà di terreni dove è coltivata la vite e la presenza di un panorama di vitigni fra regionali e locali davvero eccezionale. Al primo gruppo appartengono Catarratto, Frappato, Grecanico, Grillo, Inzolia, Nerello Mascalese e Nero d’Avola che insieme ai locali Perricone e Zibibbo costituiscono l’80% del patrimonio viticolo regionale. A questo si aggiungono anche i vitigni locali come l’Albanello, l’Alicante, il Carricante, il Damaschino, la Malvasia di Lipari, la Minella Bianca, il Moscato di Noto, la Nocera e il Nerello Cappuccio. Esiste poi una trentina di antiche varietà prodotte in pochi ceppi e in particolari areali, che costituiscono una ulteriore ricchezza.
Un tale giacimento vitivinicolo non può altro che invitare a scoprire le origini dei vitigni siciliani, i nessi parentali con le altre varietà e i luoghi di proliferazione; valutare il contributo della Sicilia nella circolazione antica delle varietà; comprendere i rapporti genetici tra i vitigni coltivati nella Magna Grecia e in Sicilia; ed infine, promuovere il vino siciliano attraverso i risultati di queste scoperte.
Tutto questo ricercando sì una enologia cosiddetta “di espressione”, capace, appunto di esprimere nel vino l’eccellenza e la diversità della materia prima e del territorio, ma anche una enologia “varietale” capace di valorizzare al meglio un patrimonio ampelografico così grande e suscettibile di ulteriori differenziazioni attraverso, per esempio, la coltivazione di una stessa varietà in terreni differenti. Anche in vista delle tendenze di mercato che sempre di più ricercano caratteri di tipicità percepibili accanto all’eccellenza qualitativa.
In questo senso la Sicilia enoica ha davanti a sé un complesso lavoro di riassestamento che va dal recupero di un’identità precisa attraverso la definizione di uno stile personale e che abbandoni i caratteri internazionali, puntando a valorizzare le diverse potenzialità dei diversi territori; una valorizzazione delle diversità ambientali attraverso una immagine unitaria; una riconsegna del giusto valore e significato alla parola tipicità che viri di più verso la riconoscibilità; uno spostamento dell’attenzione del cliente finale più sul territorio/territori che sul vitigno.
La Sicilia ha una superficie vitata pari a quella dell’Australia, ed è due volte più ampia di quella del Piemonte e della Toscana. I suoi quasi 120.000 ettari coltivati a vigneto (più altri 21.000 in portafoglio) producono uve bianche per il 65% e per il restante 35% rosse. Le varietà di antica coltivazione sono l’85%; quelle cosiddette internazionali il 15%. Il vino imbottigliato incide, però, soltanto per il 17% a fronte di 650 aziende che imbottigliano (55 sono cooperative).

Focus - Attilio Scienza a WineNews: “Dalla diversità nell’unita, alla Doc Sicilia”
“Sicilia, diversità nell’unità”: è il suo slogan a “Sicilia en Primeur”. Ma cosa vuol dire, in concreto?
“Vuol dire che la Sicilia, che ha sempre avuto un’immagine unitaria perché faceva vini anonimi, spesso diretti alla distillazione, o all’imbottigliamento a basso prezzo, deve cominciare a pensare - spiega Scienza a WineNews - che se non distingue al suo interno le varie origini e tipologie, rischia di annullare un grande vantaggio. In questo momento i vitigni internazionali e le zone del Nuovo Mondo fanno molta fatica a sorprendere il consumatore, perché ci sono 4-5 varietà internazionali, le zone sono sempre quelle, lo stile di vinificazione è sempre quello, molto banale, ed il consumatore è molto curioso, vuole cose diverse: questa è l’occasione buona per offrire vini diversi, da provenienze diverse, o magari lo stesso vitigno, come il Nero d’Avola, coltivato in 10 zone diverse. Sarebbe come dire che Bordeaux fa un unico vino rosso che si chiama Bordeaux e basta, e levare tutte le indicazioni come St. Emilion, Pomerol, Medoc: le varietà di uva sono sempre le stesse, ma in luoghi diversi, prodotte in modo diverso e così via. Ecco perché bisogna che noi incuriosiamo il consumatore, è l’unica strada. È chiaro che ora la struttura produttiva dell’intera Sicilia deve cambiare. E non tanto le cantine riunite in Assovini, che sono ormai cantine famose e con una connotazione internazionale, ma le 50-60 cantine sociali, che devono darsi obiettivi diversi dal passato. Non si possono fare vini anonimi ovunque, bisogna che ogni cantina comincia a “zonare” i propri territori, a dire: “ho un territorio di 10.000 ettari, vediamo quali sono quelli più vocati per il Nero d’Avola, per l’Inzolia, per il Catarratto, lo Chardonnay. Poi bisogna fare partite di vino differenziate, anche a secondo della provenienza, vinificarle in maniera diversa e cambiare l’offerta, ci siano anche 10 neri d’Avola, 10 Catarratti … Poi è chiaro che non saranno imbottigliati tutti da quella cantina, ma ci sarà sicuramente qualche imbottigliatore siciliano che andrà a comprare le partite di qualità differenziata sulla quale investirà, ma bisogna fare questa articolazione, bisogna fare vini diversi”.
Cambiare la struttura produttiva della Sicilia, dunque. Ma come? La “Doc Sicilia”, che ormai sembra cosa fatta, è la risposta?
“La Doc Sicilia ci voleva, perché altrimenti il Nero d’Avola aveva un destino infausto. La Igt non garantiva quei controlli e quella tracciabilità che garantisce la Doc. E quando arriva un Nero d’Avola sul mercato di Amburgo a 0,90 centesimi di euro, chi parte dalla Sicilia a 2-3 euro non ha vita facile”.
Bene, dunque. Ma visto il variegato panorama produttivo siciliano, come organizzarla?
“Bisogna evitare di perdere le diversità, queste 20 denominazione - spiega Scienza - che si sono con fatica costituite possono essere rivitalizzate dall’aggiunta “Sicilia”. Bisognerebbe fare 2 Docg, oltre al Cerasuolo di Vittoria: la Docg Pantelleria e la Docg Etna, che hanno bisogno di una visibilità diversa. Quindi mettere le tre Docg al vertice della piramide del vino siciliano, in mezzo due Doc Sicilia, una delle denominazioni (per esempio “Menfi Sicilia”) e poi una de vitigni (“Catarratto di Sicilia”), e infine un’Igt che richiami il nome di Sicilia, ma non in modo esplicito, per esempio “Igt Terre Sicane”. Così tutti avrebbero la possibilità di esprimersi”.

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