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QUANDO PER MANGIARE CI SI AFFIDAVA ALLA FANTASIA E IL SOLO IMMAGINARE UN ODORE POTEVA SFAMARE: E’ LO SPIRITO DELLA “SAGRA DELLA MISERIA” (CAMPOLI APPENNINO, 18 SETTEMBRE), DOVE LA TAVOLA E’ UN RITUALE DA CONSUMARE TUTTI INSIEME E SENZA LAMENTELE ...

Quando per mangiare ci si affidava alla fantasia e anche il solo immaginare un odore poteva sfamare, perché mangiare, seduti a tavola ogni giorno tutti insieme per il più semplice dei rituali, significava mangiare per sopravvivere, senza lamentarsi del poco che c’era: è per non dimenticare i tempi che furono, tempi di stenti, tempi di magra, tempi in cui bisognava inventarsi ogni escamotage per poter mangiare, che il 18 settembre a Campoli Appennino (Frosinone) è di scena la “Sagra della Miseria”, appuntamento fra i più particolari dell’enogastronomia “povera” italiana, con i piatti antichi, semplici ma gustosi, preparati da chi, quei tempi, li ha vissuti e mai dimenticati (info: www.comune.campoliappennino.fr.it).
Simbolo e richiamo del tempo che fu, al visitatore saranno consegnate due fette di pane che dovrà strofinare, senza esagerare, perché anche altri devono mangiare, sulle aringhe appese a testa in giù, cibo dei poveri, ma ricchi di ingegno, prova che l’odore, unito alla fantasia, può persino sfamare in tempi di crisi. E’, con questo gesto, che ci si avvicina allo spirito della “Sagra della Miseria”, all’edizione n. 4, animata da un “neorealismo” enogastronomico che si declina passo dopo passo lungo i vicoli del paese allestiti con i cibi più poveri, ma anche più veri, della tradizione locale. E allora via alle minestre e alle zuppe più semplici e saporite, ai piatti che abbiamo sempre sentito raccontare ma non abbiamo mai potuto assaggiare, sapori antichi e straordinari. Si parte con il pane fatto con la farina di ghiande e quello, invece, preparato con il mais. E ancora la “simm’la cotta” meglio conosciuta come crusca, la “fr’ cuttata” frittata con cipolla, zucchine e patate, polenta e spuntature, pecora della Transumanza, tacconelle e fagioli, le gustose polpette di melanzane e le più “ruvide” cotiche e facioli, perché del maiale, come si sa, non si buttava via nulla. E ad accompagnare il tutto “Cr’spèll ch’l’mèl’ e ficura se’” crespelle con il miele e i fichi secchi.

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