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AGROALIMENTARE: L’ANTITRUST AVVIA UN’INDAGINE SUL RUOLO DELLA GDO. LE REAZIONI DI COLDIRETTI

L’Antitrust ha avviato un’indagine sul ruolo della grande distribuzione organizzata nella filiera agroalimentare: l’Autorità, spiega una nota, ha deciso “di approfondire le dinamiche competitive del settore, anche alla luce della loro importanza sulla formazione dei prezzi finali”. L’analisi riguarderà l’effettivo grado di concorrenza esistente tra i vari gruppi della gdo, le dinamiche contrattuali con le quali si determinano le condizioni di acquisto e di vendita dei prodotti agroalimentari, i comportamenti tenuti dagli operatori della grande distribuzione nella contrattazione delle condizioni di acquisto con i fornitori.

Secondo l’Antitrust, “il processo di modernizzazione del settore distributivo ha portato non solo a un aumento del grado di concentrazione ma anche alla messa in comune, da parte delle imprese, di alcune funzioni aziendali (rapporti di affiliazione, consorzi, centrali e supercentrali di acquisto, ecc.): si tratta, si legge nel comunicato, “di un fenomeno in grado di avere effetti sulle dinamiche competitive, soprattutto con l’aumento del peso delle centrali di acquisto che ha prodotto un considerevole rafforzamento del potere contrattuale delle imprese della gdo nei confronti delle piccole e medie imprese produttrici”.

Tra i fenomeni segnalati all’Antitrust anche forme di contribuzione all’attività espositiva, promozionale e distributiva, sganciate dalle quantità e dai prezzi di acquisto, richieste dalla gdo ai produttori. Parallelamente, afferma l’Authority, si è intensificata la concorrenza diretta effettuata dai distributori nei confronti dei propri fornitori attraverso le marche private (c.d. private label).

Per ogni euro speso dai consumatori per l’acquisto di alimenti oltre la metà (il 60%) va alla distribuzione commerciale, il 23% all’industria di trasformazione e solo il 17% per remunerare il prodotto agricolo. Lo afferma in una nota il presidente della Coldiretti Sergio Marini nell’esprimere apprezzamento per l’avvio dell’indagine da parte dell’autorità della concorrenza e del mercato nei confronti della grande distribuzione che “è il nuovo potere forte della filiera agroalimentare nei confronti dei consumatori e degli agricoltori”. “Non si deve naturalmente generalizzare ma - sottolinea Marini - non sfugge a nessuno che in molti casi la grande distribuzione commerciale impone il suo potere contrattuale per concludere contratti che danneggiano gravemente gli agricoltori. Compensi inadeguati, termini di pagamento eccessivi, vendite sottocosto a carico dei fornitori, contributi ingiustificati alle spese pubblicitarie e insistenza sulla fornitura esclusiva non consente in molti casi agli agricoltori di coprire i costi di produzione ed è quindi necessario secondo Coldiretti un intervento nei confronti di un comportamento commerciale lesivo della concorrenza lungo la catena di approvvigionamento alimentare”.

“L’iniziativa dell’antitrust - prosegue Marini - è coerente con quella attuata dal Parlamento Europeo che lo scorso settembre ha denunciato comportamenti oligopolisti e sostenuto la necessità di combattere i ‘comportamenti collusivi e di cartello’ con la proposta di introdurre l’obbligo per i maggiori commercianti, trasformatori, grossisti e distributori europei di presentare una relazione annuale sulle loro quote di mercato (comprensive di informazioni sui marchi privati), con dati sull’evoluzione dei volumi di vendita mensili”.

“La situazione riguarda direttamente l’ Italia con i primi dieci gruppi che - sostiene la Coldiretti - detengono il 72% del mercato. Occorre intervenire per cambiare le regole del gioco a cominciare dalle due grandi ingiustizie di cui è vittima il settore agricolo: da una parte il furto di identità e di immagine che vede sfacciatamente immesso in commercio come italiano cibo proveniente da chissà quale parte del mondo in forma ingannevole per i consumatori e dall’altra parte, il furto di valore che - sottolinea la Coldiretti - vede sottopagati i prodotti agricoli”.

“Gli inganni del finto Made in Italy sugli scaffali riguardano - riferisce la Coldiretti - due prosciutti su tre venduti come italiani, ma provenienti da maiali allevati all’estero, ma anche tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro che sono stranieri senza indicazione in etichetta, oltre un terzo della pasta ottenuta da grano che non è stato coltivato in Italia all’insaputa dei consumatori, e la metà delle mozzarelle non a denominazione di origine che sono fatte con latte o addirittura cagliate straniere”. “Garantire una maggiore presenza di prodotti veramente italiani non è solo un contributo alla libertà di scelta dei consumatori ma - sottolinea la Coldiretti - rappresenta anche un contributo all’integrazione delle aree commerciali con il tessuto economico, produttivo e culturale”. “Le inefficienze della grande distribuzione si rivelano anche nella perdita di valore lungo la filiera lungo la quale il prezzo di un prodotto - sostiene la Coldiretti - aumenta più di cinque volte dal campo alla tavola per colpa delle distorsioni e delle speculazioni. Il risultato è che la spesa in Italia è più cara rispetto alla media europea secondo lo studio dell’Eurostat dal quale emerge che riempire il paniere della spesa in Italia costa l’8% in più di quello che spendono in media i consumatori nell’Ue nel 2009”.

“Allo strapotere contrattuale dei nuovi forti dell’agroalimentare - conclude la nota - la Coldiretti è, però, impegnata a reagire direttamente con il progetto operativo per una “Filiera agricola tutta italiana” che ha come obiettivo di sostenere il reddito degli agricoltori eliminando le distorsioni e tagliando le intermediazioni con l’offerta attraverso la rete di consorzi agrari, cooperative, farmers market, agriturismi e imprese agricole di prodotti alimentari al cento per cento italiani firmati dagli agricoltori al giusto prezzo”.

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