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IL PROFESSOR ATTILIO SCIENZA, UNO DEI MASSIMI STUDIOSI DI VITICOLTURA DEL MONDO, A WINENEWS: “CENSIRE I PATRIARCHI, CREARE LA MAPPA PER LA LORO CONSERVAZIONE E CREARE DEI BREEDING GARDEN DOVE CONSERVARE LE VITI MOLTIPLICATE DELLE VITI CENTENARIE”

Italia
Attilio Scienza

“Una vecchia vite non solo dà buon vino, ma può aiutare la viticoltura del futuro”. Il professor Attilio Scienza, ordinario di viticoltura all’Università di Milano ed uno dei massimi studiosi del mondo, è sicuro e determinato nell’affermare che “i Patriarchi (il significato etimologico della parola greca patridrhes è “sono a capo di una stirpe”, e quindi indica la rotta, ndr), o viti centenarie, custodi di patrimoni genetici ancora in parte inesplorati, disseminati in tanti territori del vino, sono una forza unica per il futuro dell’Italia e dovranno necessariamente solcare il cammino del nostro Paese. Insomma, “questi individui sono davvero dei tesori, perché possono permettere alla aziende di essere davvero innovatrici, cioè recuperare, con il contributo fondamentale delle tecniche sperimentali moderne, la grande ricchezza della tradizione di questo contesto viticolo ed enologico”.
Il professor Scienza, passa, quindi, a sintetizzare, per WineNews, i quattro punti salienti di questa importante idea per il futuro della viticoltura italiana:
- scongiurare il rischio della loro rapida scomparsa dei “Patriarchi” (il significato etimologico della parola greca patridrhes è “sono a capo di una stirpe”, e quindi indica la rotta; nell’immaginario laico appaiono invece come uomini soli, un po’ selvatici, reietti dalla storia, dimenticati dalle leggi economiche, come erano Noè e Polifemo, una sorta di Pan sovrannaturali, che insegnano agli uomini i segreti della viticultura e della caseificazione) dalla viticoltura italiana;
- censire i “Patriarchi” e creare una mappa per la loro conservazione;
- informare sul valore estetico e scientifico della conservazione dei “Patriarchi” (ruolo nel miglioramento genetico e nella ricostruzione dell’origine di molte varietà coltivate);
- creare delle “breeding garden” dove conservare le viti moltiplicate dai “Patriarchi”.
Ma la dialettica del professor Scienza è davvero vasta e intrigante: “la vigna è un campo estetico, che dà senso al bello e quindi il viticoltore è un mestiere da artista, che si oppone ad un’estetica moderna, ordinata, pulita, asettica. I “Patriarchi” nel loro disordine formale sono la metafora di quell’estetica che diventa etica: fare cioè dei gesti giusti, nei momenti giusti ma soprattutto per degli obiettivi giusti ed interrompere così quel senso di discontinuità che pervade oggi la nostra viticultura. Quali sono le discontinuità? Tra chi produce l’uva e chi fa il vino, tra la comunità civile della città e l’attività del viticoltore in campagna, tra la produzione e il consumo (due mondi completamente diversi), tra la vita quotidiana del viticoltore e gli eventi nazionali e mondiali”.
“La viticoltura italiana, soprattutto quella di qualche lustro fa, era ricca di “Patriarchi”, ma le esigenze economiche connesse alla gestione dei vigneti ed il rapido mutamento dei gusti dei consumatori hanno accelerato - spiega ancora a WineNews, Attilio Scienza - la loro scomparsa per cui rimangono solo in alcune viticolture marginali, molto tradizionali. Le forme d’allevamento e le tecniche di potatura che hanno tutelato ed in un certo senso consentito la conservazione di queste piante sono quelle più arcaiche (alberelli, pergole espanse, alberate …) che non hanno limitato la vite nella sua naturale espressione vegetativa di liana o che con una potatura a sperone hanno preservato la pianta dai danni irreparabile dei tagli sul legno vecchio”.
Ma, professor Scienza, cosa fare dei Patriarchi che rimangono? “In primis sollevare il problema della loro scomparsa dimostrando che questa rappresenta una perdita grave per la nostra viticultura, non solo per i valori estetici che queste piante offrono, ma soprattutto per le informazioni che possiamo trarre dal loro genoma, non solo per i segreti della loro vitalità ma perché nascondono come nel caso di alcune piante di vite conservate in un vecchio vigneto di Heidelberg, il mistero della formazione dei vitigni nella viticultura europea. E, come per la Syrica (a Feudi di San Gregorio, in Campania, ndr), per la quale si è giunti alla scoperta dei suoi genitori solo attraverso il Dna di alcune di queste vecchie viti, chissà di quanti altri vitigni, oggi in coltivazione, si potrebbe scoprirne le antiche origini”.
Scienza torna poi nella conversazione con WineNews a spiegare che “per evitare una rapida erosione degli esemplari sopravvissuti, oltre ad intraprendere iniziative di conservazione in situ, bisognerebbe creare delle collezioni ex situ dove raccogliere le piante derivate dai Patriarchi. Gli alberi sono degli esseri viventi più alti, più imponenti e più antichi del mondo, ma la vite non detiene nessuno di questi record. Ma cosa ha allora di così speciale la vite? Basta guardare una mappa della distribuzione europea della vite. La vite è presente nei luoghi delle grandi civiltà del Mediterraneo. Esiste una sorta di empatia di fondo tra la vite e l’uomo: tutti i luoghi dove l’uomo si è stabilito, la vite è diventata un essenziale accompagnatore della sua vita quotidiana. Un motivo in più per continuare questo sodalizio anche ai nostri giorni con i Patriarchi”.
Insomma, una vecchia vite non solo dà buon vino, ma può aiutare la viticoltura del futuro. Cosa chiedere di più?

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