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QUEI VINI NATURALI, QUASI ESOTERICI, CARICHI DI UNA SIMBOLOGIA CHE VIENE DA LONTANO. PERCHÉ IL NETTARE DI BACCO È RADICATO NELLA NOSTRA CULTURA PRIMORDIALE: LO DICE, A WINENEWS, IL PROFESSOR ATTILIO SCIENZA, DELL’UNIVERSITÀ DI MILANO

Italia
Il professor Attilio Scienza

Si fa un gran parlare, negli ultimi anni, di vini biologici e biodinamici. Vini fatti con metodi naturali, senza interventi chimici in vigna ed in cantina. Ma il significato, a volte, sfugge e queste produzioni si ammantano - in un certo immaginario collettivo - di un che di esoterico, di misterioso. Una produzione fatta con metodi segreti riservati agli adepti, depositari della verità nascosta del vino. Già, ma qual’è questa “verità”? E perché la “verità” sarebbe custodita dai vini cosiddetti naturali?
“Perché la storia del vino è talmente antica (ci sono testimonianze del 6000 a.C.) da fare del nettare di Bacco un tassello-base della nostra cultura più ancestrale”, dice, a WineNews, il professor Attilio Scienza, docente di viticoltura ed enologia all’Università di Milano. “È lì che si veste del mito e del simbolismo. E, ancora oggi, il simbolismo è fondante nella nostra cultura, noi siamo “formati” dai simboli”. Che il vino sia un veicolo potente della simbologia è cosa ben chiara, d’altronde: dalla simbologia cristiana del sangue a quella - andando indietro nel tempo - di “strumento di verità” per raggiungere lo stato mistico (si pensi alla “divina follia” dell’ebbrezza per i greci, o alla formula “in vino veritas” dei romani).
La condizione base del vino-simbolo è, da sempre, la sua purezza: ecco ciò che evocano i vini naturali. “In una testimonianza simbolica - dice ancora Scienza - ciò che ha rilevanza è dimostrare che quella bevanda è una bevanda incorrotta, naturale, che nasce quasi spontaneamente: l’uomo non è il demiurgo che interviene con la chimica o con la fisica, ma è solo un interprete che scopre la verità. Dove “verità” significa rendere visibile ciò che è invisibile. Di qui nasce l’esigenza umana di fare una produzione di viti e di vino che sia spontanea, naturale”. Ora, c’è una domanda che deve essere posta: la viticoltura “bio” risponde al 100% a questa esigenza culturale? “Non proprio”, continua Scienza. “L’allevamento della vite senza interventi umani era possibile 200 anni fa, quando non c’erano la peronospora, la fillossera, l’oidio e gli insetti che noi conosciamo. Oggi dobbiamo fare i conti con queste malattie di origine americana ,che ci costringono ad interventi per poter fare un vino di qualità.
La vera “viticoltura naturale”, oggi, dovrebbe essere quella che cerca di tornare ad un equilibrio della vite - ipersfruttata, in colture sempre più intensive ed estensive - con la natura, cercando di non usare troppa acqua, concimi o altri componenti che la fanno diventare solo una pianta che fa dello zucchero o del colore. Cercando di nuovo l’anima ed il sentimento che deve avere il vino”.

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