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DA UN PIATTO COMUNE A TUTTO IL MONDO ALLA “CALZA A KM 0”, ANCHE I SAPORI DELL’EPIFANIA CAMBIANO CON IL MONDO. SE “LA TORTA DEI RE” È PRONTA A INVADERE LE TAVOLE DEL GLOBO, IN ITALIA LA CALZA È SEMPRE PIÙ SPESSO RIEMPITA CON I PRODOTTI DI TERRITORIO

Non Solo Vino
La Torta dei Re

Da un piatto comune a tutto il mondo alla “calza a km 0”, anche i sapori dell’epifania cambiano con il mondo. E così, in tutto il pianeta, che si parli dell’ispanico roscon de los tres reyes, del portoghese bolo dos reis, della francese galette des rois, del king cake di New Orleans o della greca vassilopita, il protagonista è sempre il “dolce dei re”. Melchiorre, Baldassarre e Gaspare naturalmente.
“Una ciambella a forma di corona reale che simboleggia la circolarità dell’anno - come spiega Marino Niola, professore di Antropologia all’Università Benincasa di Napoli - farcita di frutta secca e canditi, con dentro nascosta una fava, l’antico strumento per scrutinare i voti e predire la sorte. E talvolta una bambolina o una statuetta, proprio come nelle Sigillaria dei romani. E spesso anche un poco gradito aglio di porcellana. Chi trova la sorpresa - conclude Niola - avrà fortuna, ma dovrà pagare pegno offrendo la torta o la festa l’anno successivo. Chi invece incappa nell’aglio riceve dalla befana un attestato di cattiva condotta. Come dire che anche la fortuna, come ogni altro premio, va meritata”.
Ma se la “torta dei re” ha un respiro globale, in Italia si fa strada la “calza a km 0”: come le 6.000 donate alle parrocchie di Roma dal Comune di Roma, insieme a Coldiretti, con generi alimentari destinati a chi ha difficoltà economiche. Le calze contengono una confezione di olio d’oliva Dop da mezzo litro, del formaggio vaccino, un pacco di pacco di pasta di grano duro, una confezione di biscotti, nocciole romane e mandarini. Ogni dono ha il valore 10 euro visto che tutte le aziende della campagna romana hanno fornito i prodotti a costi di produzione.
Anche la Consulta Nazionale Agricoltura di Napoli ha preso un’iniziativa simile proponendo ai consumatori una calza con i prodotti “made in Campania”che contiene una confezione di olio d’oliva Dop della Penisola Sorrentina 0,5 L, una confezione di formaggio (fiordilatte di Agerola o Provolone del Monaco) da 0,3 Kg, una confezione di pasta di grano duro Gragnano da 1 Kg, una confezione di biscotti tradizionali dell’Associazione Libera Panificatori di Napoli, una confezione di nocciole tonde del vesuviano e un sacchetto di mandarini dell’area Giulianese, qualche cioccolatino e carbone artigianale dell’Associazione Pasticcieri Napoletani,possono prendere il posto dei classici dolciumi della festa.

Focus - La curiosità: “è la befana a fare la calza o è la calza a fare la befana?”La risposta nelle parole del professor Marino Niola, professore di Antropologia all’Università Benincasa di Napoli
È la befana a fare la calza o è la calza a fare la befana? È vera la seconda. In realtà è questo magico accessorio a trasformare una comune vecchia svolazzante in un tipo simbolicamente intrigante. Un po’ strega un po’ fata, generosa e inquietante, ninfa attempata e sibilla decrepita. La buona megera che celebriamo il sei gennaio è tutto questo insieme. E soprattutto è la sintesi cristiana delle numerose divinità pagane di inizio anno. Come la ninfa Egeria, divina consigliera di Numa Pompilio, il secondo dei sette re di Roma, che alle calende di gennaio appendeva una calza nella grotta della dea per ritrovarla l’indomani piena di regali, ma anche di ammonimenti e profezie. E come la dea Strenia, da cui deriva il nostro termine strenna. Che in origine era il dono a base di fave, frutta secca e dolci a forma di bamboline e animaletti che i Romani regalavano ai bambini nei primi giorni dell’anno nella festa delle statuette, la cosiddetta Sigillaria.
Regali, più profezie, più calze. Queste dee avevano quasi tutto della befana tranne il nome. Che è un’invenzione del cristianesimo popolare e nasce dalla volgarizzazione di Epifania, ovvero la manifestazione della doppia natura di Cristo ai re Magi venuti da Oriente per portare doni al dio incarnato.
Ecco perché la notte della befana conserva quel carattere di attesa magica del nuovo anno e al tempo stesso di resa dei conti con quello vecchio. Premi e castighi. Previsioni e sanzioni. Cose buone da mangiare e cose assolutamente immangiabili come cenere e carbone. Quel carbone una volta tanto temuto e che le befane buoniste di oggi hanno trasformato in cristalli di zucchero nero. Una dolce punizione, una lezione a salve fatta apposta per una società dove la bocciatura non è più contemplata. Eppure quella della befana è sempre stata una pagella, uno scrutinio di fine anno.
Non a caso si chiamano proprio con questo nome le sorprese che si mettono nei dolci tradizionali di questa festa. Come l’ispanico roscon de los tres reyes, il catalano tortel de reyes, il portoghese bolo dos reis, la francese galette des rois, il king cake di New Orleans, la greca vassilopita. Tanti nomi per un solo significato: torta dei tre re. Melchiorre, Baldassarre e Gaspare naturalmente. Una ciambella a forma di corona reale che simboleggia la circolarità dell’anno, farcita di frutta secca e canditi, con dentro nascosta una fava, l’antico strumento per scrutinare i voti e predire la sorte. E talvolta una bambolina o una statuetta, proprio come durante le Sigillaria dei romani.
Oggi qualcuno arriva a metterci Superman, Batman e altre divinità dell’infanzia contemporanea come le Winxs, fatine volanti, piccole befane glamour. Spesso però in questi oracoli da mangiare si nasconde anche un poco gradito aglio di porcellana. Chi trova la sorpresa avrà fortuna, ma dovrà pagare pegno offrendo la torta o la festa l’anno successivo. Chi invece incappa nell’aglio riceve dalla befana un attestato di cattiva condotta. Come dire che anche la fortuna, come ogni altro premio, va meritata.

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