La qualità paga, l’agricoltura (ed il vino in particolare) insegna. Si può sintetizzare così il quadro che emerge dall’analisi del Piq, Prodotto Interno di Qualità 2011, l’alternativa al Pil messo a punto da Fondazione Symbola e Unioncamere. “Che nasce - spiega a WineNews il presidente di Symbola, Ermete Realacci - all’esigenza di cambiare gli occhi con cui si guarda l’economia per affrontare la crisi. E misura quanta parte dell’economia italiana è legata alla qualità, che poi è legata ai prodotti, all’innovazione, ma anche ai territori, alle comunità, cioè a un’idea di economia che proprio perché è più a dimensione umana è più competitiva”. E se l’agricoltura, in termini di meri numeri, non pesa poi così tanto (vale 10,2 miliardi di euro sui 459 complessivi del Piq), anche se ha un tasso di crescita dell’1,7% sul 2010, su una media del +0,9% complessivo, e vede la maggior “quota di qualità” che, sui risultati del settore, incide per il 55,3%, in termini di valori “morali” da immettere nella filiera produttiva, e di strada da seguire, è stata “pioniera” per tutti i settori di attività.
“Io penso che l’agricoltura, e il vino in particolare - dice Realacci - siano una grande metafora delle sfide che deve affrontare l’Italia, che partono proprio dal puntare sulla qualità, per far fronte a temi come quello ambientale, quello dei mercati globali dove ci si confronta sempre più con Paesi grandissimi come Cina e India, che hanno più di un miliardo di abitanti, e che possiamo battere solo passando dalla quantità alla qualità. E l’agricoltura, e il vino in particolare, sono i settori in cui prima di altri, e in maniera più visibile di altri, questo passaggio si è realizzato. E si è realizzato, aggiungo, proprio sull’onda di una grande crisi, perché se uno dovesse tracciare una data per la nascita del nuovo vino italiano, dovrebbe indicare quello che è accaduto dopo la crisi del metanolo del 1986. Oggi produciamo il 50% in meno del vino che facevamo nella metà degli anni ottanta, quando si è scommesso tutto sulla grande quantità e sul basso prezzo. Un pò come chi negli anni passati ha pensato che l’Italia potesse competere abbassando i diritti o inquinando di più, come i Paesi emergenti. Poi c’è stato cambio di paradigma, si passa alla qualità legata al territorio. E oggi abbiamo raggiunto il nostro record dell’export in valore, con i 4,4 miliardi del 2011, in attesa dei dati 2012. In questo, la metafora del vino e della viticoltura legate al territorio, alle comunità e alla storia, ci parla dell’Italia che, senza perdere la propria anima, può sfidare il futuro”.
Focus - L’intervista a WineNews di Ermete Realacci
“Avete messo a punto questo Prodotto Interno di Qualità, che è un modo di guardare tutta la filiera sociale italiana: in questo senso quanto pesa l’agricoltura, non solo in termini meramente economici ma anche di apporto di idee di valori e di linee guida da seguire?
“Molto. Il Piq nasce dall’esigenza di cambiare gli occhi con cui si guarda l’economia per affrontare la crisi. C’è chi pensa che la linea da adottare sia alla Eduardo De Filippo - “ha da passà ‘a nuttata” - che tutto ricomincerà come prima, e questo secondo me è sbagliato: la crisi è figlia non solo di una crisi finanziaria e dei mali antichi dell’Italia (illegalità, evasione fiscale, diseguaglianze nella distribuzione della ricchezza, eccesso di burocrazia, il sud che perde contatto), ma è figlia di un mondo che cambia. Ci sono grandi sfide, come quella ambientale, e c’è l’affacciarsi di grandi paesi - la Cina, l’India - che hanno più di un miliardo di abitanti. In quest’economia nuova, in un mondo che cambia, l’Italia deve capire la sua missione. La convinzione di Symbola, peraltro credo condivisa con WineNews, è che l’Italia deve fare l’Italia, cioè deve scommettere sulla qualità. Ma che cos’è la qualità? E’ quello che il Piq per la prima volta mette nero su bianco: misura quanta parte dell’economia italiana è legata alla qualità, che poi è legata ai prodotti, all’innovazione, ma anche ai territori, alle comunità, cioè a un’idea di economia che proprio perché è più a dimensione umana è più competitiva. Ecco, in quest’economia, aldilà del dato quantitativo - peraltro in percentuale tutto il sistema agroalimentare italiano cresce nell’ultimo Piq più della media della crescita degli altri settori - al di là del valore quantitativo assoluto, io penso che l’agricoltura, e il vino in particolare, sono una grande metafora di questa sfida dell’Italia. In fondo è uno dei settori in cui prima di altri, e in maniera più visibile di altri, questo passaggio dalla quantità alla qualità si è realizzato. E si è realizzato, aggiungo, proprio sull’onda di una grande crisi, perché se uno dovesse tracciare una data per la nascita del nuovo vino italiano, dovrebbe indicare quello che è accaduto dopo la crisi del metanolo del 1986.
La bilancia commerciale agricola per l’Italia è una delle poche in attivo, in realtà, è forse anche frutto di questo investimento in qualità del prodotto - ma anche di tutto quello che c’è intorno, del territorio, della filiera produttiva - che fra mille difficoltà e con la consapevolezza che si può sempre fare di più è stato fatto in questi ultimi venti-venticinque anni.
Non c’è alcun dubbio, e difatti anche in questa crescita del Piq dell’agricoltura conta molto questo. Il fatto che ci sia stato, negli ultimi anni, un aumento dell’occupazione, delle giovani imprese, e un rapporto sempre più intrecciato fra l’agricoltura e gli altri asset del Paese, pensiamo al paesaggio, alla multifunzionalità, ad un dialogo più aperto con la società, in cui anche esperienze come la vendita diretta dei prodotti sono state importanti per segnare anche un cambio di stile di vita e dei comportamenti nella crisi. Per non parlare del fatto che non solo sulla qualità dei prodotti, ma anche sul loro impatto ambientale, l’agricoltura ha fatto dei grossi passi in avanti. Vorrei ricordare che l’Italia è il primo produttore al mondo di ortaggi biologici, ed è avanti anche in tante altre produzioni a bassissimo impatto ambientale. Ma soprattutto l’agricoltura, e il vino in particolare - perché io penso che la storia del vino sia un po’ un tracciante anche per altre storie, non solo agricole - rappresenta questo passaggio in maniera plastica. Parlavamo prima della crisi del metanolo: produciamo il 50% in meno del vino che facevamo nella metà degli anni ottanta, quando si è scommesso tutto sulla grande quantità e sul basso prezzo. Un po’ come chi negli anni passati ha pensato che l’Italia potesse competere abbassando i diritti o inquinando di più, come i Paesi emergenti. Arriva la crisi del metanolo, che è figlia di questa ricerca spasmodica delle grandi quantità e del basso prezzo, che produce venti morti, perché si utilizza il metanolo al posto dell’etanolo, gente rimane cieca, e c’è un cambio di paradigma, si passa alla qualità legata al territorio. Il frutto di questo è che pur essendo ridotta di molto la produzione il vino italiano scala le classifiche mondiali. E’ vero, abbiamo battuto i francesi per ora solo in quantità e non in valore, ma il nostro export è passato dai 700 milioni d euro di quegli anni a 4 miliardi e mezzo l’anno scorso, e questo passaggio l’abbiamo fatto grazie al richiamo all’Italia e alla diversità dei prodotti, e c’è ancora tanto da fare per accompagnare bene le nostre produzioni, che spesso sono piccole. Ma su tanti mercati mondiali, noi abbiamo battuto i grandi paesi emergenti, Australia, Nuova Zelanda, Sudafrica, Cile, California, facendo l’Italia. Ora, quello che è accaduto nel vino, se uno non guarda la realtà con occhio attento, con simpatia per il paese, senza pigrizia, è accaduto in tantissimi altri settori, anche nelle scarpe, abbiamo dimezzato le paia prodotte ma aumentato il valore delle scarpe, e le innovazioni legate all’ambiente, alla qualità e alla bellezza sono un fattore di competitività di praticamente tutto il made in Italy, dalle ceramiche alla meccatronica, dalla concia al tessile. In questo la metafora del vino, la metafora della viticoltura legata al territorio, alle comunità e alla storia, e una metafora che ci parla dell’Italia che senza perdere la propria anima può sfidare il futuro”.
Focus - Il Piq (Prodotto Interno di Qualità) 2011
Frutto di un originale mix tra innovazione, ricerca, creatività, cultura e saperi territoriali, il Prodotto Interno Qualità calcolato per il 2011, è pari al 47,9% del Pil, per un valore che sfiora i 460 miliardi di euro. Non solo il Piq 2011 vale quasi la metà del nostro prodotto interno lordo ma, sul 2010, quando era pari al 47% del Pil per un controvalore di 445 miliardi di euro, può vantare una crescita nominale di oltre il 3%. Nella crisi più nera, dunque, il sistema Italia ha ripensato il proprio modello di sviluppo puntando su una progressiva qualificazione delle proprio produzioni. In altre parole, per battere la crisi e la concorrenza sempre più agguerrita sui prezzi al ribasso, il sistema produttivo italiano ha puntato sulla qualità e sul rilancio competitivo. Analizzando l’andamento di Pil e Piq per il biennio 2010/2011, si evidenzia, inoltre, come la qualità cresca a un tasso superiore: 3% per la crescita nominale del Piq sull’1,5% del Pil. Dunque le imprese che investono in qualità e innovazione hanno propensione alla crescita doppia rispetto a quelle che cercano di andare avanti semplicemente contenendo i costi. Si conferma, dunque, il ruolo della qualità come driver che permette di sostenere i livelli di competitività sui mercati.
Non solo, ma le imprese che puntano sulla qualità realizzano anche migliori performance nelle esportazioni, se è vero come è vero che i mercati internazionali riconoscono la crescita qualitativa italiana. Analizzando l’andamento dei Valori Medi Unitari delle esportazioni, assunti come indicatori dell’evoluzione qualitativa delle nostre produzioni, si scopre dal 2007 al 2011, in un periodo connotato da difficoltà di natura straordinaria, che le nostre imprese hanno mediamente accresciuto del 10,7% il valore delle esportazioni.
I settori. Dall’analisi della ricerca emerge che i settori macroeconomici dove è più elevata la presenza di qualità sono quello dei servizi e dell’industria in senso stretto, che contribuiscono al con 300 e 121 miliardi di euro. Seguono le costruzioni e l’agricoltura con 28 e 10 miliardi di euro. Per quanto riguarda il terziario si distinguono nel segno della qualità tre settori in particolare: i servizi finanziari, dove il Piq incide per il 59,2%, la sanità e l’assistenza dove incide per 53,4%, e l’istruzione, dove la qualità incide per il 50% del valore aggiunto. Mentre i settori industriali a maggior incidenza di qualità sono la chimica e farmaceutica (59,6%), la meccanica (53,0%), i mezzi di trasporto (51,9%), l’industria della gomma e della plastica (50,1%), l’industria cartaria e della stampa (49,6%), l’elettronica (49,1%), l’alimentare (49,0%), il tessile (48,8%) e le industrie conciarie (46,7%).
La qualità dei territori geografia del Piq. A livello di macroregioni l’area a maggiore connotazione di Piq del Paese è il Nord-Ovest, in cui la quota di prodotto interno qualità arriva al 56,2% del valore aggiunto. Buona anche la performance del Nord-Est dove la quota di Piq sul valore sfiora il 51,9%. Sotto la media nazionale, invece, il Centro e il Mezzogiorno, rispettivamente con un Piq del 45,8 e del 30,5%. Passando dalle macroregioni alla graduatoria delle regioni, la Lombardia si distingue come “locomotiva” della qualità italiana. Da questa Regione, infatti, arrivano 132 miliardi di euro, pari al 28,7% del Piq nazionale. Seguono a distanza Lazio, Veneto, Emilia Romagna, e Piemonte rispettivamente con 50, 48,6, 48,4 e 42,9 miliardi. Nella zona media della classifica troviamo Toscana (29,6 miliardi di euro), Campania (18,2 miliardi di euro), Trentino Alto Adige (12,2 miliardi di euro), Sicilia (11,8 miliardi di euro), Puglia (11,5 miliardi di euro), Liguria (10,9 miliardi di euro) e Marche 10,2 miliardi di euro). Quindi Abruzzo (5,3 miliardi di euro), Umbria (4,8), Sardegna (4,3 miliardi di euro), Calabria (3,4 miliardi di euro), Basilicata (1,4 miliardi di euro), Molise (1,1 miliardi di euro) e Valle d’Aosta (0,9 miliardi di euro).
Gli indicatori della qualità. Per definire il Piq si parte dalla stima della qualità prodotta da ciascun settore e da ciascuna attività del nostro sistema produttivo. Stima che viene realizzata valutando ogni settore in base a tre dimensioni: l’eco-efficienza, le capacità delle persone impiegate, l’innovazione. La sommatoria di queste qualità settoriali definisce il Piq. Fin qui possiamo parlare di qualità del processo produttivo. Ma siccome la qualità del processo produttivo non garantisce la qualità del prodotto finale, per calcolare il Piq bisogna prendere in considerazione anche la qualità dei prodotti immessi sul mercato. In questo ci si affida a due indicatori: il valore medio unitario dei prodotti esportati e il posizionamento competitivo di un prodotto.
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