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ARTE ED ENOGASTRONOMIA, IN ITALIA, NON VANNO D’ACCORDO. RISTORANTI GOURMET IN MUSEI E PALAZZI D’EPOCA SONO RARE ECCEZIONI ALLA REGOLA, MENTRE NEI TEMPLI DELL’ARTE MONDIALE SONO UN BUSINESS, DAL POMPIDOU DI PARIGI AL MOMA DI NEW YORK

L’Italia deve la sua fama essenzialmente a due cose, i capolavori dell’arte, che narrano una storia gloriosa e antica, e l’enogastronomia, che ha regalato al mondo sapori e piaceri unici. Il problema, però, è che non riusciamo a far incontrare queste due diverse declinazioni della cultura del Belpaese, a differenza di quanto succede, ormai da anni, all’estero, dove un pranzo gourmet tra le opere d’arte è una piacevole consuetudine. Certo, anche in Italia pranzare o cenare in un museo comincia a essere possibile, ma caffetterie e ristoranti non si trovano ovunque e, quando si trovano, spesso, non esprimono niente di più di un livello da tavola calda. Così, l’esperienza visiva resta l’unica fattibile nei luoghi dell’arte, spesso affascinanti, ma refrattari a reinventarsi, sulle orme di “templi” come il Pompidou di Parigi, o il MoMa di New York, il cui ristorante interno, il “The Modern” ha addirittura una stella Michelin.
“All’estero - racconta a “La Repubblica” il direttore di Artribune, Massimiliano Tonelli - ogni museo che ci viene in mente racconta una storia di grande successo per i ristoranti interni. I ristoranti sono strategici perché portano pubblico nuovo e ulteriore ai musei, generano introiti importanti, danno visibilità e ruolo al museo indipendentemente e in addizione alla programmazione culturale. In Italia la situazione della ristorazione da museo è disperata. Per quanto riguarda gli spazi pubblici, dipendenti dal ministero, un grande bando è stato pubblicato anni fa. Avrebbe dato una nuova gestione a ristoranti di luoghi come gli Uffizi e nuova ristorazione dove assurdamente non c’è, ad esempio a Palazzo Barberini a Roma. Tutto però è bloccato a causa dei mille contenziosi, e anche se si andrà avanti lo si farà con un bando mal realizzato, che non può riuscire a esprimere la qualità. Non sono da meno gli spazi comunali o quelli gestiti da Fondazioni: si pensi alla Fondazione Maxxi la cui ristorazione è finita nelle mani di una società che eccelle per relazioni politiche, ma non per adeguatezza dell’offerta gastronomica. Basti pensare che al Maxxi non si può andare a cena, il ristorante è chiuso nonostante la splendida piazza del museo”.
Il Palazzo delle Esposizioni di Roma, invece, è famoso anche per il ristorante situato all’ultimo piano, “OpenColonna” durante il giorno che diventa ristorante gourmet “AntonelloColonna” la sera, dal nome del suo chef. I suoi numeri si aggirano sulle 40.000 presenze tra eventi e coperti. La fama del museo fa accorrere altro target di persone al ristorante e viceversa, cosa che in generale, quando ci si affida a chef professionisti che operano in luoghi d’eccezione è sempre foriera di guadagni economici. Ma se in altri Paesi i servizi di ristorazione dei luoghi museali è curata quasi al pari della programmazione artistica dei luoghi espositivi, in Italia questo aspetto continua ancora ad essere messo da parte, da Nord a Sud, limitando possibili sinergie positive. Siamo ben lontani dai canoni di ristoranti di qualità, dunque, e non solo a Roma - come si legge ancora sulle pagine di Repubblica, ma anche in Piemonte. A Rivoli, in provincia di Torino, in realtà un’eccellenza in questo senso c’è stata ed è quella rappresentata dal ristorante Combal Zero dello chef due stelle Michelin Davide Scabin, unito al Castello di Rivoli, molto che prima (IX-X secolo), di diventare museo di arte contemporanea dal 1984, è stata una residenza sabauda ed è tutt’ora un bene protetto dall’Unesco.Ma recentemente si sono incrinati i rapporti che legano il museo al ristorante, iniziati nel 2002 con un contratto non di vero e proprio affitto ma che prevede da parte del ristorante la restituzione di un forfait annuale che ripaghi le spese di gestione e utenze del locale, che, a detta del presidente del Rivoli, Minoli, non sono state più così costanti tanto da intimare lo chef a chiedergli di pagare i debiti. Così vacilla anche uno dei casi rari di esempi italiani positivi a livelli internazionali.

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