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DI ORIGINE, GRANDEZZE ED ALTRE STORIE: RIFLESSIONI SU UN MADE IN ITALY AGROALIMENTARE CHE, DOPO LE PROTESTE DEGLI ULTIMI GIORNI, È DIVISO TRA INDUSTRIALI E ARTIGIANI, SU COSA È O NON È ITALIANO. E I PAESI COMPETITOR FANNO (LECITAMENTE) PIÙ BUSINESS

L’origine di un prodotto è sempre sinonimo di alta qualità? L’artigiano è sempre meglio della grande industria? Sono solo alcune delle domande di fondo che, diminuito il fragore delle proteste sui presunti falsi prodotti italiani messe in piedi da Coldiretti, rimangono sullo sfondo di un made in Italy che fa i conti con la globalizzazione. E che forse deve fare un po’ di chiarezza al suo interno, per non scoprire che, mentre qui si discute su cosa sia o non sia made in Italy, in maniera più o meno integralista, altri fanno business e conquistano i mercati battendo altre (lecite) strade, come la Germania, una delle grandi accusate da Coldiretti ma che, alla luce del sole e nel rispetto delle regole, giuste o sbagliate che siano, esporta 55 miliardi di euro di prodotti agroalimentari, contro i 26 dell’Italia, come ha ricordato Nomisma.
La prima riflessione, come hanno sottolineato in tanti, è che per molti prodotti simbolo del Belpaese, che per fortuna esportano tanto, un made in Italy 100% nella materia prima è sostanzialmente impossibile. È il caso della pasta, per esempio. Che, però, nel mondo, ovunque viene associata all’Italia, per via di un “know how” nella produzione e nel consumo affermato a livello globale, e che nessuno pensa di mettere in discussione. Quindi, su prodotti di grande consumo, è forse più l’origine “del know how e del sapere” a fare la differenza (e a creare valore aggiunto), più che la materia prima.
Un conto poi, e qui si apre un altro capitolo, sono le Dop, che nel legame con il territorio, anche per la materia prima, devono avere un pilastro fondante e distintivo nel mondo, e sul quale occorre essere rigidi. Dop che, però sono diverse tra loro, e che possono essere prodotte tanto da grandi industrie che da piccoli artigiani. Che, ovviamente, hanno ruoli diversi, potenzialità diverse, ricadute sui territori diverse (in termini economici, occupazionali, d’immagine), ma che devono dialogare non in un ottica di contrasto, ma di collaborazione e sostegno le une degli altri. In maniera chiara, ovviamente: l’industria senza giocare a fare il piccolo produttore di nicchia, l’artigiano senza pensarsi impresa da grandi numeri. Guardando al mondo, perché quello è, ormai, l’orizzonte.

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