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Per il successo di un territorio del vino sono più determinanti le competenze “umane” ed imprenditoriali di alto livello, che la bontà di “madre natura”: lo sostiene Valéry Michaux, direttrice della ricerca alla Neoma Business School di Rouen

Italia
La professoressa Valéry Michaux, direttrice della ricerca alla Neoma Business School di Rouen

Non sono tanto il suolo e il clima, due elementi ovviamente fondamentali ma da soli insufficienti, a determinare di un territorio viticolo, ma la concentrazione di competenze di vario tipo (agronomiche, viticole, enologiche, di marketing e così via), in quello che è stato già ribattezzato l’effetto “cluster”. Una piccola provocazione, visto la predominanza data spesso, almeno a livello narrativo, a terreno e microclimi vari per affermare il successo di un vino o di una zona enoica, lanciata dalla professoressa Valéry Michaux, direttrice della ricerca alla Neoma Business School di Rouen (nata dalla fusione tra la Rouen Business School e la Reims Management School, istituto che trovare le sue radici proprio nella “capitale” di uno dei territori più importanti del mondo, la Champange), il cui parere sta facendo il giro delle testate più importanti del vino.
Secondo Michaux, come sostiene nel volume “Strategies of Wine-Making Territories, Clusters, Governance & Territorial Brand”, a determinare la qualità di un vino e la sua affermazione sui mercati, più che la chimica del terreno e i microclimi, è la concentrazione di competenze umane di alto livello che pian piano si concentra in un determinato territorio, l’aspetto più importante.
A fare la differenza, dunque, più che l’aspetto bucolico, o la bontà di “madre natura”, come si sostiene spesso, forse con un pò di superficialità, è la coesistenza, la messa a sistema ma anche la concorrenza di aziende che attirano professionalità di alto livello in ogni campo di interesse, dall’agronomia all’enologia, dalla ricerca scientifica alla comunicazione, e che con l’affermazione dei loro brand portano piano piano all’affermazione del territorio stesso.
Qualcuno sostiene che sia una sorta di attacco al “mito” del terroir che, come da definizione approvata dall’Oiv, “l’Onu del vino”, nel 2010, “è un concetto che si riferisce a uno spazio nel quale si sviluppa una cultura collettiva delle interazioni tra un ambiente fisico e biologico identificabile, e le pratiche vitivinicole che vi sono applicate, che conferiscono caratteristiche distintive ai prodotti originari di questo spazio”.
Forse, più semplicemente, la riaffermazione della prevalenza della competenza dell’uomo per la realizzazione di un produtto in cui la natura è, ovviamente, importantissima, ma non “autosufficiente" per dare vita ad un grande vino e ad un grande territorio.
Info: www.neoma-bs.com/en/

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