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Agromafie, sequestrate dal tribunale di Trapani numerose aziende agricole in diversi settori (oleario, viticolo, caseario, ortofrutticolo) riconducibili al boss Matteo Messina Denaro. Sigilli a beni per un valore complessivo oltre 20 milioni di euro

Le infiltrazioni della criminalità organizzata nel business agroalimentare sono, ormai, purtroppo, una realtà consolidata. Lo racconta al cronaca, che in queste ore riporta del sequestro di diverse aziende agricole, oltre che dell’edilizia e di altri settori, riconducibili al boss mafioso Matteo Messina Denaro e ai suoi uomini, da parte del tribunale di Trapani, per un valore complessivo dei beni di oltre 20 milioni di euro. Secondo il “Corriere del Mezzogiorno”, a Mario Messina Denaro, cugino del boss, è stato sequestrato un caseificio formalmente di proprietà della moglie (“Impresa Forte Anna Maria”) ed un’azienda che si occupa della coltivazione delle olive. Ma ci sono anche cinque aziende sequestrate in Campania legate a Vincenzo Torino, anche se formalmente intestate ai suoi familiari, impegnate nelle produzione di ortaggi.
È il caso della “Tagca Sas”, sede a San Marzano sul Sarno (Salerno), di cui Torino è socio insieme con il figlio. Come della ditta individuale “Torino Vincenzo” che si occupa del commercio ambulante di generi alimentari, che gestisce un deposito a Campobello di Mazara e che è attiva anche nella raccolta e nella lavorazione delle olive. Stesso settore, quest’ultimo, della “Torino olive Sas di Califano Silvana”, moglie di Vincenzo Torino e con sede a San Marzano sul Sarno. Di ortaggi si occupa invece la “Torino Gaetano”, intestata a uno dei tre figli di Vincenzo. Ultima in elenco la “Torino Ciro”, formalmente di proprietà di un altro figlio di Vincenzo, che ha affittato l’attività di un’altra azienda, la “Fontane d’oro Sas”, operante nel settore olivicolo.
Su quest’ultimo passaggio gli investigatori della Finanza e dei Carabinieri non hanno dubbi: Torino fungeva da prestanome della “Fontane d’oro Sas”, ritenuta “impresa di importanza cruciale nel territorio campobellese” e realmente nelle mani di Francesco Luppino, attualmente in carcere. Alla “Fontane d’oro Sas” è legato anche il nome di Aldo Di Stefano di Campobello di Mazara, cui il Tribunale ha sequestrato due ditte: la prima formalmente intestata alla moglie, che si occupa di colture miste vitivinicole, e la seconda al figlio, Antonino Di Stefano, attiva nel commercio al dettaglio ambulante di prodotti. Anche in questo caso le indagini degli inquirenti svelano legami tra i Di Stefano e la “Fontane d’oro Sas”.

Focus - Coldiretti: “l’agromafia ha un volume d’affari di 14 miliardi di euro”
Il volume d’affari complessivo dell’agromafia è salito a 14 miliardi di euro, in netta controtendenza rispetto alla fase recessiva del Paese perché la criminalità organizzata trova terreno fertile proprio nel tessuto economico indebolito dalla crisi. Lo afferma la Coldiretti nel commentare il blitz dei Carabinieri e della Guardia di Finanza contro il patrimonio della “famiglia” mafiosa del boss latitante Matteo Messina Denaro con il sequestro di attività anche nell’olio di oliva.
Secondo l’analisi dell’Osservatorio sulla criminalità nell’agroalimentare promosso dalla Coldiretti con il comitato scientifico presieduto da Gian Carlo Caselli, le mafie stanno approfittando della crisi per penetrare anche nell’imprenditoria legale poiché è peculiarità del moderno crimine organizzato estendere, con approccio imprenditoriale, il proprio controllo dell’economia invadendo i settori che si dimostrano strategici ed emergenti, come è quello agroalimentare.
“Si tratta di aree prioritarie di investimento della malavita che ne comprende la strategicità in tempo di crisi perché - precisa la Coldiretti - consente di infiltrarsi in modo capillare nella società civile e condizionare la via quotidiana della persone in termini economici e salutistici. Mettendo le mani sul comparto alimentare le mafie hanno infatti la possibilità di affermare il proprio controllo sul territorio, dalla intermediazione nel commercio della frutta alla produzione di olio di oliva. Potendo contare costantemente su una larghissima e immediata disponibilità di capitale e sulla possibilità di condizionare parte degli organi preposti alle autorizzazioni e ai controlli, si muovono con maggiore facilità rispetto all’imprenditoria legale. Per raggiungere l’obiettivo i clan ricorrono a tutte le tipologie di reato tradizionali: usura, racket estorsivo e abusivismo edilizio, ma anche a furti di attrezzature e mezzi agricoli, abigeato, macellazioni clandestine o danneggiamento delle colture con il taglio di intere piantagioni.
Con i classici strumenti dell’estorsione e dell’intimidazione impongono la vendita di determinate marche e determinati prodotti agli esercizi commerciali, che a volte, approfittando della crisi economica, arrivano a rilevare direttamente. Non solo si appropriano di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza ed il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta, ma - conclude Coldiretti - compromettono in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani ed il valore del marchio Made in Italy”.

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