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“La messa in commercio di frutta all’aperto ed esposta agli agenti inquinanti costituisce una violazione dell’obbligo di assicurare l’idonea conservazione delle sostanze alimentari”. Dalla Cassazione arriva lo stop alla vendita di frutta sulle strade

Quante volte, durante l’estate, tornando dal mare, vi è capitato di accostare e fermarvi in un qualsiasi spiazzo a comprare una cassette di ciliegie, o un bel cocomero, da uno qualsiasi dei camioncini che affollano i bordo strada? Ecco, quest’estate andrà diversamente. O meglio, dovrebbe andare diversamente, perché la Cassazione, in una sentenza piuttosto articolata, in cui ha confermato la condanna inflitta ad un fruttivendolo dal Tribunale di Nola per aver detenuto per la vendita “tre cassette di verdura esposte all’aperto e, pertanto, a contatto con agenti atmosferici e gas di scarico dei veicoli in transito”, ha stabilito che “la messa in commercio di frutta all’aperto ed esposta agli agenti inquinanti costituisce una violazione dell’obbligo di assicurare l’idonea conservazione delle sostanze alimentari e rispettare l’osservanza di disposizioni specifiche integrative del precetto”.
La legge richiamata dal supremo Collegio è quella alimenti (n. 283/1962) il cui art. 5, lett. b), punisce, con l’arresto o con l’ammenda, l’impiego nella produzione, la vendita, la detenzione per la vendita, la somministrazione, o comunque la distribuzione per il consumo, di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione.
Il punto di partenza, come spiega “Il Fatto Quotidiano” (www.ilfattoquotidiano.it) è costituito da una lontana sentenza della Cassazione a sezioni unite (n. 443 del 2002) che aveva chiarito che questa disposizione tende a perseguire un autonomo fine di benessere, assicurando una protezione immediata all’interesse del consumatore affinché il prodotto giunga al consumo con le cure igieniche imposte dalla sua natura; aggiungendo che, ai fini della configurabilità del reato, non vi è la necessità di un cattivo stato di conservazione riferito alle caratteristiche intrinseche delle sostanze alimentari, essendo sufficiente che esso concerna le modalità estrinseche con cui si realizza, che devono uniformarsi alle prescrizioni normative, se sussistenti, ovvero, in caso contrario, a regole di comune esperienza.
La giurisprudenza successiva aveva precisato che l’interesse protetto dalla norma è quello del rispetto del cd. ordine alimentare, volto ad assicurare al consumatore che la sostanza alimentare giunga al consumo con le garanzie igieniche imposte per la sua natura; e pertanto, non è necessaria la prova di un danno alla salute ma è sufficiente accertare che le modalità di conservazione siano in concreto idonee a determinare il pericolo di un danno o deterioramento delle sostanze o che vi sia detenzione in condizioni igieniche precarie; escludendo, in proposito la necessità di analisi di laboratorio o perizie, ben potendo il giudice di merito considerare altri elementi di prova, come le testimonianze di soggetti addetti alla vigilanza, quando lo stato di cattiva conservazione sia palese e, pertanto, rilevabile da una semplice ispezione.

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