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A guardar ananas e mele di zucchero raffigurate nelle tavole imbandite affrescate a Pompei, mosaici, statue e bassorilievi, i romani erano già andati in America: lo sostiene il volume “Quando i Romani andavano in America” del giornalista Elio Cadelo

Arance, limoni, nocciole, ananas, mango, mandorli, cedri, noci, castagne, pesche, albicocche, melograni e tante altre varietà di frutta e verdure che oggi troviamo in Italia furono importate dagli antichi romani, che trasformarono l’Italia “da una terra boscosa e povera nel giardino dell’Europa”. Lo si legge nella nuova edizione del volume del giornalista Elio Cadelo “Quando i Romani andavano in America - Scoperte geografiche e conoscenze scientifiche degli antichi navigatori” (Palombi Editori). Il volume, uscito in libreria e la cui prefazione è affidata a Giovanni Bignami, presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, offre spunti di riflessione “sulla superpotenza del Mediterraneo” che divenne Roma, tanto che “le sue navi raggiunsero ogni angolo del mondo, anche l’America, da dove portarono indietro gli ananas e la mela di zucchero” raffigurati “sulle tavole imbandite affrescate a Pompei e in mosaici, statue e bassorilievi romani”. Ed è documentata anche la presenza del girasole, come di altre piante di provenienza centro e sud-americana.

È allora che ai contadini dell’antica Roma, viene spiegato, si deve l’invenzione dell’agricoltura moderna, la differenziazione e la capacità di acclimatare piante alimentari e ornamentali. I romani costruirono “navi commerciali e militari foderate di piombo, attrezzate proprio per la navigazione trans-oceanica. Le loro flotte giunsero fino all’oceano Pacifico ed attraversarono l’Atlantico per attraccare in America”. Ed è questa, forse, la tesi più suggestiva con la quale l’autore “per la prima volta dimostra che tra le due sponde dell’Atlantico ci furono contatti e scambi”, e lo fa portando a evidenza nell’ultimo edizione del libro “numerose prove grazie a ricerche di paleo-botanica e paleo-astronomia, alle nuove scoperte archeologiche e ad una attenta rilettura dei testi di Plinio, Plutarco, Virgilio, Sallustio, Diodoro Siculo e molti altri autori greci e latini. Il libro - spiega ancora Cadelo - è anche al centro di un intenso dibattito tra gli archeologi e all’interno del mondo della ricerca”.

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