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Nuovo allarme per il climate change da “Ghiaccio Bollente”, report Wwf sugli effetti dello scioglimento dei ghiacciai nel mondo. Con gravi conseguenze sull’agricoltura, dall’Himalaya all’Italia, dove già si producono avocado e banane dice Coldiretti

Dall’Artide all’Antartide ed ai ghiacciai alpini come Himalaya, Alpi, Patagonia, Alaska e altri, che il 40% del pianeta coperto da ghiacci e manti nevosi, e che funziona come un sistema di raffreddamento, si stia rompendo a causa del riscaldamento globale è ormai più che noto. Ora, a lanciare un nuovo allarme per gli effetti del cambiamento climatico è “Ghiaccio Bollente”, nuovo report del Wwf con una visione planetaria sulla riduzione dei ghiacci del Pianeta ed i suoi effetti su specie e uomo basata sulle più recenti evidenze scientifiche, che segnala la preoccupante riduzione dei ghiacci delle zone polari, dove l’aumento della temperatura media è il doppio di quella registrata nel resto del globo. I ghiacciai alpini, ad esempio, sono il serbatoio di acqua dolce durante le stagioni estive e secche, dunque fondamentali per agricoltura e industria, dall’Himalaya all’Italia dove la superficie dei ghiacciai sulle Alpi si è ridotta del 40% in poco più di 50 anni, passando dai 519 km quadrati del 1962 agli attuali 368 km, e dove la Coldiretti mette in fila le case history delle produzioni che cambiano a causa del mutamento climatico, dall’ulivo alla vite, mentre in Sicilia, già si producono avocado e banane.
Il problema non è così remoto come sembra: dal ghiaccio del pianeta dipendono risorse idriche, mitigazione del clima, equilibrio degli Oceani, emissioni di gas serra. Lo scenario peggiore per l’Ipcc al 2100, il Comitato intergovernativo sui cambiamenti climatici dell’Onu, prevede un innalzamento del livello dei mari da 52 a 98 centimetri. Le ripercussioni sulle società umane, oltre che su molte specie animali, sarebbero enormi, secondo il report del Wwf. Attualmente il 60% della popolazione si trova concentrato sulle zone costiere del mondo entro i 100 km dalla costa. Senza dimenticare le ripercussioni sul clima dei Paesi europei che si affacciano sull’Atlantico, dalla Gran Bretagna all’Irlanda, dalla Francia ai Paesi scandinavi che finora hanno goduto di un clima mite nonostante la latitudine, e le moltissime città che potrebbero essere sommerse per l’innalzamento dei mari e gli eventi estremi, in particolare quelle costiere.
Per effetto dei cambiamenti climatici, sottolinea la Coldiretti, la coltivazione dell’ulivo in Italia è arrivata a ridosso delle Alpi dove la presenza della vite è a quasi 1.200 metri di altezza come nel Comune di Morgex e La Salle in Valle D’Aosta, dove dai vitigni più alti d’Europa si producono le uve per il Blanc de Morgex et de La Salle Dop. Negli ultimi dieci anni a coltivazione dell’ulivo sui costoni più soleggiati della montagna valtellinese è passata da zero a circa 10.000 piante, su quasi 30.000 metri quadrati di terreno. La nuova frontiera alpina dell’olio, oltre il 46esimo parallelo, è monitorata dai tecnici della Coldiretti, che sempre più spesso si sentono chiedere dagli agricoltori di inserire nel proprio fascicolo aziendale i terreni a uliveto.
Ma il cambiamento climatico si fa sentire sulla distribuzione delle coltivazioni in tutta la Penisola. Nella Pianura Padana si coltiva oggi circa la metà della produzione nazionale di pomodoro destinato a conserva e di grano duro per la pasta, colture tipicamente mediterranee. Una situazione che ha avuto effetti straordinari in Sicilia, secondo la Coldiretti, dove si coltivano i primi avocado made in Italy, frutto tipicamente tropicale, a Giarre ai piedi dell’Etna, mentre a Palermo si riescono addirittura a produrre le prime banane nostrane.
Gli effetti si estendono però anche ai prodotti tipici. Il riscaldamento provoca infatti anche il cambiamento delle condizioni ambientali tradizionali per la stagionatura dei salumi, per l’affinamento dei formaggi o l’invecchiamento dei vini. Una situazione che di fatto, per Coldiretti, mette a rischio di estinzione il patrimonio di prodotti tipici made in Italy che devono le proprie specifiche caratteristiche essenzialmente o esclusivamente all’ambiente geografico comprensivo dei fattori umani e proprio alla combinazione di fattori naturali e umani. Una sfida che mette alla prova la capacità dell’agricoltura di trovare l’innovazione nella tradizione, cercando di ottenere il meglio dai mutamenti economici e climatici.

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