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State of Industry Wine Report 2016: il mercato Usa sarà caratterizzato da due macro tendenze, la crescita dei vini premium, a discapito del segmento degli entry level, e l’impatto dei Millenials, tutt’altro che positivo, sui consumi enoici

Italia
Silicon Valley Wine 2016

Il 2016 del mercato enoico Usa sarà caratterizzato da due macro tendenze: la crescita del segmento dei vini premium, a discapito del settore degli entry level, e l’impatto dei Millenials, tutt’altro che positivo, sui consumi: generazione attesa al varco da tempo, quella dei nati negli anni ’80 e ’90 al vino preferisce decisamente birra e spirits, tanto che oggi pesa sui consumi enoici totali solo per il 16%, contro il 32% della Generazione X, il 41% dei Boomers e l’11% degli over 68. Secondo lo “State of Industry Wine Report 2016” della Silicon Valley Bank (www.svb.com), bisognerà aspettare il 2026 per vedere il mercato in mano ai Millenials, che avranno una quota del 45%, mentre già nel 2021 la Generazione X surclasserà i Boomers (con una quota del 37%), protagonisti assoluti della crescita dei consumi in Usa negli ultimi 20 anni. Anche se non da protagonisti, comunque, i figli degli anni ’80 sono a tutti gli effetti dei market driver di cui l’industria del vino deve tenere conto, rispondendo ad una richiesta piuttosto specifica, che premia la categoria dei rossi prodotti da blend di vitigni internazionali, specie nella fascia di prezzo 8-11 dollari, la più rappresentativa.
Da sottolineare, poi, c’è la crescita, nel segmento 11-15 dollari dei vini monovarietali prodotti da uve Chardonnay, Cabernet Sauvignon e Sauvignon Blanc, senza dubbio i tre vitigni protagonisti del mercato Usa. È da qui che prende le mosse il trend economico più importante, ossia la crescita prevista, nel 2016, in un +9-13% del segmento premium, in continuità con quanto registrato negli ultimi anni, comunque in calo sul +14-18% del 2015, specie a causa del calo dei consumi al ristorante. In linea con l’aumento delle vendite, crescerà del 4-8% anche il prezzo medio delle bottiglie che oggi arrivano allo scaffale ad un prezzo di 10 dollari, mentre le etichette sotto gli 8 dollari, subiranno un calo sia dei volumi venduti che del prezzo medio. Sul fronte del commercio estero, il dollaro forte premierà le importazioni, specie dopo la vendemmia 2015 in California, in calo dell’8% sul 2014: diminuiranno, però, le spedizioni di vino sfuso verso gli Usa, in virtù del crollo della fascia 3-6 dollari (di gran lunga la più importante nel 2015, con un valore di 4 miliardi di euro), con le etichette europee in piena competizione con quelle a stelle e strisce sul macro segmento 10-20 dollari.
Una peculiarità del mercato Usa, prendendo in considerazione esclusivamente la produzione nazionale, è il peso enorme dei 3 gruppi maggiori (Gallo al 21%, Wine Group al 14% e Constellation all’11%), che insieme rappresentano il 46% dei consumi domestici, che non guardano più alla sola California in cerca di qualità, ma premiano, e continueranno a premiare, i vini di Washington, Oregon e Virginia, che nel 2016 vedranno crescere sensibilmente le spedizioni. A frenare le vendite delle piccole aziende, però, oltre a canali commerciali decisamente meno efficienti di quelli dei big (solo il 13% della produzione di una piccola azienda, ad esempio, arriva sulla carta di un ristorante, contro il 30% di una cantina da 100.000 bottiglie l’anno), ci sono una miriade di leggi che, in molti Stati, limitano la vendita diretta, frenando la crescita dell’enoturismo. Le attese per il 2016, comunque, sono tendenzialmente positive, con il 62% dei produttori Usa che si aspetta un aumento dei prezzi, la percentuale di gran lunga più alta degli ultimi 5 anni (nel 2011 erano appena il 38%), segno di una grande fiducia nella tenuta dell’economia, non solo interna.

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