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La decisione Ue di far entrare senza dazi più olio tunisino in Italia fa pensare ai frantoiani ad una class action. Da Pitti Taste, a Firenze, lo chef Gianfranco Vissani: “per Orazio e Plinio l’olio del Nordafrica era buono solo per le lampade ...”

La decisione europea di consentire l’arrivo in Italia, senza dazi, di 35.000 tonnellate di olio extravergine d’oliva dalla Tunisia in più, “è un danno per tutti i produttori perché più si abbassa il prezzo del prodotto di primo prezzo e più trascina verso il basso tutti gli oli”. È categorico il giudizio di produttori di olio, associazioni di categoria, operatori ed esperti del settore, chef e giornalisti in merito alla scelta della Ue. Dal ring di Pitti Taste a Firenze, alla Stazione Leopolda, si è parlato, ieri, di “Come difendere l’olio extra vergine italiano da truffe, adulterazioni e campagne denigratorie all’estero”, con la regia del Gastronauta Davide Paolini. “Orazio e Plinio dicevano che l’olio del Nordafrica bisognava usarlo solo per far bruciare le lampade - ha detto lo chef Gianfranco Vissani - l’Ue ha rotto, con i difetti e i pregi noi saremo sempre italiani”.
L’arrivo dell’olio tunisino, ha spiegato Piero Gonnelli, presidente di Aifo-Associazione Italiana Frantoiani Oleari, “comprimerà il prezzo generale e noi chiediamo che ci siano i controlli e che sia fatto tutto quello che serve perché i consumatori non siano truffati. Ho la sensazione che il ministro Martina abbia svenduto la politica olivicola italiana all’estero. Nessuno del ministero si è battuto per avere nomi che contano nel Coi”, il Consiglio olivicolo internazionale ovvero il più importante organismo internazionale per l’olio di oliva che dal 1956 che si occupa politica mondiale dell’olio. Rispetto all’importazione di olio di oliva tunisino, ha annunciato, “stiamo studiando se esiste il modo di fare tutti insieme una class action. È una tegola che butta giù il prezzo all’improvviso, una bellissima fregatura che ci hanno propinato ed è vergognoso. Capisco i problemi della Tunisia ma non devono essere gli olivicoltori italiani a caricarseli sulle spalle”.
Secondo Gonnelli “per quanto riguarda le frodi alimentari in campo olivicolo, il problema è che l’olio consente margini pazzeschi per chi fa le frodi. Ma così facendo si distrugge la produzione nazionale e poi ci manca il prodotto e si va a comprare olio all’estero. Contro le frodi servono sanzioni penali e pecuniarie adatte. Dobbiamo far chiudere le aziende che frodano e non solo multarle. O almeno le multe siano proporzionate alla frode”. In generale, ha concluso, “occorre dare un buon prodotto al prezzo giusto e senza frodi. Sono convinto che i frantoi artigiani italiani, sapranno fare la loro parte per far capire alla gente quale è il vero e buono olio italiano”. Per Gonnelli “il fatto che il pubblico sia disposto ad acquistare il prodotto anche a prezzi più alti è dimostrato dalla campagna passata, quando di olio non ce n’era, in molti casi è praticamente raddoppiato di prezzo, e i consumatori lo hanno acquistato. La corsa a distruggere il valore del prodotto è una cosa senza senso, messa in atto da chi si vuole accaparrare il 100% del mercato senza lasciare spazio alle eccellenze italiane”.
Dello stesso avviso Michele Bungaro, responsabile relazioni istituzionali di Unaprol, “le frodi continuano perché il made in italy è terzo marchio più conosciuto al mondo. Se metto made in Italy, in un’etichetta il prezzo di quel prodotto è già aumento del 20% di prezzo”. In Italia, ha detto, “siamo in realtà carenti di olio. Mediamente produciamo fino a 350.000 tonnellate, però ne esportiamo 400.000 come Made in Italy e ne importiamo 600.000. Il valore alla pianta è di 1,4 miliardi di euro, ma una volta trasformate le olive, questo valore raddoppia e si passa a 3 miliardi di euro. Questo spiega il grande interesse intorno all’olio. Nell’Expo di Milano abbiamo fatto un sondaggio intervistando 1.300 consumatori - ha poi spiegato Bungaro - l’immagine che è venuta fuori sulla percezione dei consumatori per l’olio italiano è che l’86% sa che c’è l’extravergine, il 72 lo vuole italiano, il 92% considera che un olio spacciato per italiano, ma che non lo è, rappresenti una frode”. Sul mercato, ha spiegato, “esistono 4 tipi di etichette per l’olio: il 100% italiano, poi scendendo di qualità ci sono la miscela di oli comunitari, la miscela di oli extracomunitari, poi un mix dei mix. Tutto questo è naturalmente valido solo in Europa perché nel resto del mondo c’è il Far West e valgono regole Wto, dove c’è di tutto”. Bungaro ha poi messo in guardia dal tentativo di “smontare” la legge Mongello, la cosiddetta “Salva olio”. “Stanno cercando di togliere la data di scadenza per dare olio delle annate precedenti, conservato magari sotto azoto”, ha spiegato. Sul fronte dei consumi “la Spagna ci ha superato arrivando a 13,6 litri pro capite mentre noi siamo a 10,8. C’è un problema anche di abitudine alimentari che stanno cambiando in Italia. Nel nostro paese stiamo perdendo la cultura del fast good per quella del fast food. Tira più un cibo precotto che una bella mozzarella italiana condita con del buon extravergine nostrano”. Non va poi dimenticato, ha osservato ancora, che in Italia “siamo la banca mondiale del patrimonio genetico con oltre 500 varietà di olive di cui 350 sono le più diffuse. Noi non siamo fatti per produrre per la gdo, non abbiamo i numeri, ma possiamo produrre per i buongustai, i ristoranti”.
Per il colonnello Amedeo De Franceschi, comandante del Nucleo Agroalimentare Forestale - Naf, “sicuramente la domanda di made in Italy è forte e in crescita, ciò significa che aumenteremo ancora di più i controlli, stringeremo le maglie per contrastare i fenomeni fraudolenti. Ormai sono anni che ci occupiamo di questo settore - ha spiegato - nelle ultime indagini che abbiamo portato avanti sia a Bari con la Direzione distrettuale antimafia, sia qui con la Procura della Repubblica di Grosseto, noi abbiamo messo in campo nuovi sistemi di indagine: utilizziamo il Dna per riconoscere le varietà. Rispetto a 6-7 anni fa siamo molto più forti dal punto di vista dell’indagine e del contrasto alla contraffazione”.
Secondo De Franceschi, anche per questo il pericolo di frodi legate al maggiore afflusso di olio tunisino non è eclatante perché “il problema è più commerciale da questo punto di vista. Se l’olio tunisino entra, viene tracciato, e venduto come tunisino, altro problema non c’è”. Quanto alle ipotesi di depenalizzazione delle frodi nel settore dell’olio, De Franceschi ha rassicurato che a livello normativo “non è stato depenalizzato nulla. Il decreto presentato dal Governo è passato al vaglio delle commissioni che hanno formulato pareri ripristinando la prevalenza del codice penale con l’inserimento in materia di illeciti in etichettatura. I contraffattori non se la caveranno con una sanzione amministrativa”.
Nel complesso, ha osservato, il “codice penale italiano è anacronistico e antiquato perché non tiene conto dei limiti geografici che non ci sono più con la globalizzazione”. In Italia, “siamo stati degli antesignani con lo scandalo del metanolo per il vino ma se la frode non causa un danno alla sicurezza alimentare. anche il codice penale no ha un effetto deterrente. Grazie alla legge salva olio - ha ribadito - possiamo usare le intercettazioni altrimenti non avremmo potuto scoprire molte situazioni. Frode in commercio sono 3 mesi di reclusione ma con il sistema spesso poi vanno in prescrizione senza che nessuno sia andato in carcere. Ma dieci anni fa certe indagini non le avremmo potute fare. Solo dal 2009, con la legge Ue sull’etichettatura, c’è l’obbligo di mettere in etichetta l’origine dei prodotti”. Adesso, ha raccontato, “il Ministro Orlando ha istituito la Commissione per la riforma dei reati agroalimentari e c’è un disegno legge che istituisce il reato di criminalità organizzata. Del resto le truffe colossali che tolgono la vita a imprese e frodano i consumatori, sono ben organizzate e non le può fare il piccolo produttore”.

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