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Roséxpo, kermesse rosè del Salento - Trend in crescita per i rosati nel mondo, e anche in Italia, ma più lentamente. Ci sono margini di sviluppo interessanti, ma aziende ed istituzioni devono fare di più. Così nel convegno “Il valore del vino rosato”

Italia
Vini rosati in crescita nel mondo, e in Italia, ma più lentamente, ma grandi prospettive dalla kermesse salentina Roséxpo

“Oggi la Puglia vinifica il 60% della sua produzione viticola mentre il resto continua ad andare fuori regione come sfuso. Passi avanti decisivi che pongono questa Regione nel circuito delle realtà viticole più importanti d’Italia. A questo si aggiunge il fatto che la Puglia produce il 45% dei rosati italiani” (la Regione più produttiva in Italia, davanti ad Abruzzo e Veneto, ndr). È cominciato da questi dati, raccontati dal senatore ed ex Assessore all’Agricoltura della Regione Puglia, Dario Stefàno, il convegno “Il valore del vino rosato” di “Roséxpo” 2016 (www.rosexpo.it) by deGusto, edizione n. 3, il salone internazionale dei vini rosati, la kermesse leccese che, per tre giorni (3-5 giugno), ha trasformato il Salento nella terra d’elezione universale di questa tipologia in decisa crescita, a livello mondiale, e con un trend positivo, ma più lento, anche in Italia (oggi, nel mondo, si producono in media 24 milioni di ettolitri di vino rosato all’anno, dati Oiv 2014, per una quota del 9% sulla produzione complessiva. La Francia è al primo posto sia per produzione (7,6 milioni di ettolitri) che per consumi (8,1 milioni di ettolitri), seguita da Spagna, Usa e Italia, che produce sui 2,5 milioni di ettolitri di rosato ogni anno).
“I rosati italiani sono rappresentati principalmente da due Regioni - ha spiegato Andrea Terraneo, presidente Vinarius, l’associazione che, dal 1981, riunisce oltre 120 enoteche del Belpaese - e nel recente passato hanno ricevuto un’ulteriore spinta dal trend positivo delle bollicine. Tuttavia, il picco di vendite dei rosati si è registrato fra 2014 e 2013 ed attualmente la curva di crescita sembra stabilizzarsi. Nelle enoteche le referenze “in rosa” vanno da 3 a 6, con un prezzo medio oscillante fra i 4 e gli 8 euro, e possiamo considerare questa tipologia ancora una nicchia che comunque ha buonissime possibilità di sviluppo”. I rosati, infatti, rappresentano in Italia il 6% del totale vino consumato (1,5 milioni di ettolitri su 24), con le Dop, guardando alle tendenze, in crescita di valore costante, mentre le Igp sono cresciute fino al biennio 2013-2014 e poi si sono fermate. E, complessivamente il consumo dei rosati è cresciuto tra il 2002 ed 2014, del 3%.

Cosa fare allora per migliorare ulteriormente il valore dei rosati? Dal lato produttivo sembra che la soluzione unanimemente accettata sia quella di “garantire a questa tipologia - ha sottolineato Laura Minoia (Assoenologi) - una durata nel tempo più lunga”.


Ma, insomma, i rosati si vendono o no? “Il trend di crescita è lento in Italia - ha commentato Barbara Toschi dell’agenzia marketing Kippis - la qualità è certamente cresciuta, come anche il numero delle etichette, visto che i rosati garantiscono non solo un completamento di gamma ma anche un ritorno economico pressoché immediato, tuttavia la domanda stenta. In Francia 1 bottiglia stappata su 3 è di vino rosato, una situazione decisamente diversa da quella italiana, che deve far riflettere.
Tuttavia, si prevede, nei prossimi cinque anni, una richiesta in aumento anche in Italia, perché questa tipologia combina elementi, come leggerezza alcolica, freschezza e bevibilità, che sembrano essere quelli più ricercati in ogni fascia di consumatori. Il consumo resta, per ora, stagionale da noi - ha proseguito Toschi - e in questo senso c’è ancora molto da fare. Interessante - ha concluso - che i rosati siano consumati principalmente nei ristoranti. La ristorazione potrebbe quindi fare da volano per la crescita di questa tipologia”.

Ma in Italia esiste una particolare sensibilità verso i rosati, istituzionale e anche da parte delle aziende? “In Francia siamo passati da 60 a 200 milioni di bottiglie di rosato in 30 anni - ha sottolineato Mattia Vezzola, enologo della franciacortina Bellavista, ma anche produttore con l’azienda Costaripa e vice-presidente del Consorzio della Doc bresciana Valtènesi - e, in Provenza, ogni anno sono destinati ai vari centri di ricerca enologici 600 milioni di euro. Cose impensabili qui da noi. A questo si aggiunge il fatto che noi italiani in fatto di vino siamo ormai troppo abituati ad inseguire il mercato e le sue richieste, senza sapere chi siamo davvero”.

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