Con l’innovazione, anche un Paese non proprio “vocato” all’agricoltura può raggiungere risultati incredibili. È il caso dell’Olanda, tra i primi produttori mondiali di pomodoro fresco del mondo, realizzato pressoché completamente da piante in serre “hi-tech”, dove non c’è praticamente terra, ma supporti artificiali dove viene fatta circolare acqua che contiene le sostanze nutrienti (la cosiddetta coltura idroponica). Un caso limite, che ha fatto e fa discutere, ma che è stato preso come esempio per parlare di innovazione e agroalimentare al “Festival dell’Economia di Trento - I luoghi della Crescita” (http://2016.festivaleconomia.eu), dove si è discusso anche di temi generali come la tracciabilità e il “consumo critico”, che coinvolgono, in primis, proprio l’agricoltura e il wine & food. E dove è emerso che “nell’agroalimentare l’innovazione di prodotto e di processo ha caratteristiche peculiari. La crescita è il risultato di uno scambio aperto, vero motore della crescita del settore alimentare: nessuna azienda innova da sola ma lo fa all’interno della filiera, anche assieme ai competitor”.
A sostegno di questa tesi Alberto Nucciarelli (Economia all’Università di Trento), che ha citato proprio il caso del settore agri-food olandese: “nei Paesi Bassi i produttori di pomodoro mettono in rete l’innovazione di prodotto e di processo e questo modo di agire funziona: è così che sono riusciti ad essere il secondo esportatore di prodotti agricoli al mondo, pur essendo duecento volte più piccoli degli Stati Uniti”. Ma, ha aggiunto Matteo Vittuari, docente di Politiche di Sviluppo Rurale all’Università di Bologna, “quando si studia il settore agro-alimentare non si può guardare solo ai singoli agenti, bensì a come essi interagiscono, pur nella loro profonda diversità”, che hanno spinto a fare i progetti della Commissione Europa “Fusions” (“Food use for social innovation by optimising waste prevention strategies”), incentrato sugli sprechi alimentari, e “Refresh”, che mira al controllo e al monitoraggio dei suoli agricoli, con il coinvolgimento di diversi stakeholder della filiera alimentare, a tutti i livelli.
Innovazione tecnologica, dunque, mirata a produrre di più e a sprecare di meno. Ma questo ultimo aspetto, hanno ricordato gli studiosi, passa anche dall’“innovazione sociale”, creata da individui o da comunità, che si possono combattere gli sprechi nella filiera. Un problema che ha forti risvolti economici. Basti pensare che, a livello di Unione Europea, nel 2012, 88 milioni di tonnellate di cibo sono andate sprecate, 46 delle quali a livello di consumatore, per un corrispettivo di 173 chili di cibo gettato a testa.
Ma la ricerca e l’innovazione, nell’agroalimentare, per le quali è fondamentale il sostegno delle istituzioni, sono sempre più mirate anche la tema della tracciabilità. Lo ha sottolineato il presidente della Fondazione Mach di San Michele all’Adige (e storico fondatore di “Last Minute Market” dell’Università di Bologna), Andrea Segrè: “alla Fondazione, si lavora, tra le altre cose, sulla tracciabilità dei prodotti, utilizzando il metodo degli isotopi, per combattere il fenomeno dell’Italian sounding. Con questo approccio si riesce a risalire in maniera inequivocabile all’origine degli alimenti, garantendone la qualità, tutelando così contemporaneamente produttore e consumatore”.
Ma a influire su tematiche come lo spreco, la tracciabilità, la sostenibilità delle produzioni, e, in qualche modo, ha far decidere decidere a politica e industria su quali aspetti investire in ricerca è anche, sempre di più, il cosiddetto “consumo critico”, ovvero quel tipo di acquisto che premia chi vende e produce nel rispetto dell’ambiente, dei diritti dei lavoratori, della legalità, che rappresenta oltre alla scelta dell’individuo di “consumare in maniera giusta”, anche un modo semplice e poco costoso con cui i cittadini possono dimostrare quotidianamente la loro forma di cittadinanza attiva e di presa di coscienza.
“Se mediato da attori collettivi radicati nella società, il consumo critico, può certamente innescare una modalità nuova e differente di fare “economia” - ha detto Francesca Forno, docente di sociologia all’Università di Bergamo, a autrice del libro “Il consumo critico”, edito da “Il Mulino” e scritto a quattro mani con Paolo Graziano, docente di sociologia politica all’Università di Padova) - ed anche un modo diverso di fare politica attiva”.
In un certo senso, spiega la Forno, la presenza di intermediari etici e politici, e di movimenti sociali dedicati, è centrale perché la politica del quotidiano, il consumo, quindi, diventa una forma di azione, e non è più visto solo come un fine ma come un mezzo, ed in questo senso può dar luogo a processi di mutamento economico e politico. “Si tratta infatti di una politica che avvicina la dimensione culturale a quella economica. I cittadini con la dovuta informazione sono in grado di compiere scelte, e gli stessi gruppi, associazioni, e organizzazioni li stanno sensibilizzando sul significato politico dei propri consumi. Un po’ come chiedere loro di far uso del “potere della busta della spesa” per favorire e sostenere pratiche produttive o commerciali virtuose attente all’ambiente, ai diritti dei lavoratori, alla legalità”.
E tante, negli ultimi anni, sono le esperienze di consumo critico organizzato e di commercio equo e solidale che sono nate, così come varie forme di risparmio e di finanza etica: “Gruppi d’Acquisto Solidali” (Gas), delle Banche del Tempo, ma anche la “politicizzazione” di organizzazioni come “Slow Food”, sono esperienze nate a cavallo del vecchio e nuovo secolo che si stanno rafforzando e rappresentano esempi di come si possano creare “circuiti economici nuovi” mettendo in contatto chi produce e chi acquista, tessendo reti di “economia solidale” che tra l’altro si stanno dimostrando importanti anche nel riattivare la partecipazione e l’interesse dei cittadini per il bene comune.
“Certamente il consumo critico non può rappresentare l’unica e ultima soluzione - commenta Paolo Graziano - ma è un dato di fatto che, partendo dal consumo, questi movimenti stiano oggi riconnettendo l’individuo alla collettività, ponendo un freno alla crescente apatia politica e riattivando la partecipazione anche e soprattutto dei giovani. Il consumo critico, l’acquisto consapevole, si sta dimostrando capace prima di tutto di sensibilizzare e promuovere nei cittadini una nuova “assunzione di responsabilità”, anzi di “co-responsablità”. Una rivoluzione degli stili di vita, che può trasformare i processi decisionali promuovendo la capacità di creare nuovi legami di Tramite un ripensamento dei nostri stili di vita e di consumo possiamo scegliere quale tipo di economia sostenere, intervenendo concretamente nei processi di cambiamento sociale. Solidarietà dentro e fuori il mondo del lavoro. Fair trade, ecovillaggi, transition towns, banche del tempo, slow fashion: sono le parole che sentiamo circolare e che appartengono al vocabolario del consumo critico, in cui contano non solo il prezzo e la qualità dei prodotti ma anche il comportamento dei produttori e la sostenibilità ambientale e sociale della filiera produttiva. Emerge che i cittadini non vogliono partecipare alla politica e alla gestione del proprio territorio, ma semmai che i canali convenzionali della partecipazione (i partiti, i sindacati e anche alcuni settori dell’associazionismo) non riescono più a farsi portatori degli interessi della società. La voglia di legalità e giustizia sociale che questi movimenti esprimono è tanta e coinvolge un numero crescente di persone. Un fenomeno che non viene e non può essere sottovalutato dalle amministrazioni locali. Non trascurabile è anche il contesto economico in cui si è diffuso il fenomeno, ad esempio i gruppi di acquisto solidale, hanno ricevuto una maggiore attenzione quanto più era pressante il periodo di crisi”.
“E ora siamo in una fase dove il consumo critico sta ritornando ad una dimensione sovranazionale e di istituzionalizzazione - ha spiegato Flaviano Zandonai, ricercatore in Euricse (Istituto Europeo di Ricerca sull’Impresa Cooperativa e Sociale - sia da un punto di vista di articolazione interna, sia di definizione di linee guida. La spinta oggi è verso un consumo critico non più solo di nicchia, ma che va incontro alla grande distribuzione. Economia sociale ed economia solidale non sono la stessa cosa, ma in futuro potrebbero forse convergere. La questione importante, sui cui discutere oggi è, fino a che punto si può creare un contatto con un’economia capitalistica?”.
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