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Per sfruttamento e caporalato, il pomodoro è una delle filiere “più calde”. “Ma quando un cliente come Coop privilegia solo aziende sane e pulite, fa da spinta a tutto il territorio a mettersi in regola”. A WineNews le storie sul campo delle aziende

Quando si parla di sfruttamento della manodopera e caporalato, quella del pomodoro è una delle filiere “più calde”. Per mantenersi competitivi sul mercato, di fronte ad aziende che usano mezzi illeciti, “bisogna fare i salti mortali, ed è molto importante per tutta l’economia del territorio che il lavoro dei produttori sia emerso. La realtà vera è che c’è parecchio lavoro sommerso, in nero e grigio. Lavorando solo con aziende che non hanno questi problemi o di caporalato, Coop aiuta ad emergere tutto il settore. È un aiuto concreto ma anche indiretto, con un cliente molto importante (il 50% del nostro fatturato è legato al leader della gdo) che privilegia aziende sane e pulite, e fa da spinta a tutto il territorio le cui aziende per poter fornire alla gdo cercano di mettersi in regola”. Quella raccontata a WineNews da Salvatore Giardina, alla guida della Fratelli Giardina, l’azienda di famiglia fondata nel 1939 a Siracusa, che commercializza prodotti ortofrutticoli di qualità, controllando direttamente tutto il processo produttivo, dalla semina alla vendita, e che fa parte dei Consorzi Arancia Rossa di Sicilia Igp, del Limone di Siracusa e del Pomodoro di Pachino Igp, è una storia vera di legalità, tra quelle che la Coop ha deciso di sostenere nella sua campagna “Buoni e Giusti Coop” per un maggiore presidio sulle filiere ortofrutticole a rischio, e garantire ai consumatori prodotti etici e garantiti. Il perché, accanto alla stretta attualità, lo dicono i numeri dell’Osservatorio Placido Rizzotto di Flai-Cgil: dall’ultimo Rapporto, presentato a maggio 2016, emerge che, seppur con diversa intensità, ma indistintamente dal Nord al Sud d’Italia, sono circa 80 i distretti agricoli in cui è possibile registrare grave sfruttamento e caporalato, le cui vittime altrettanto indistintamente sono italiani e stranieri, 430.000 persone, 30-50.000 in più sul Rapporto precedente. Motivo per cui non se ne può più parlare solo quando è tempo di raccolta.

“La realtà con cui ci confrontiamo presenta diverse problematicità. Se non possiamo risolverle in generale, per cui si devono muovere le istituzioni, possiamo costruire un sistema di selezione e rapporti solidi con aziende serie che adottino sistemi di gestione del personale che non prevedano caporali e sfruttamento dei lavoratori - spiega Fabio Grimaldi, dell’azienda Cav. Uff. Pietro Grimaldi, che da oltre 40 anni produce conserve di pomodoro in provincia di Salerno, da pomodori come i San Marzano, coltivati anche a Foggia, nella Piana del Sele e nell’agro Nocerino Sarnese (70% del fatturato legato a Coop) - chi mette in pratica questo tipo di concorrenza sleale ottiene sì dei risparmi, ma non tali da esser rilevanti. Trovare sul mercato un’azienda della gdo o della distribuzione media che dà valore al nostro impegno è un vantaggio, che ci permette di selezionare le aziende più virtuose ed andare incontro ad un aumento del prezzo della materia prima. Se il mercato guarda solo al prezzo, senza preoccuparsi di ciò che c’è dietro e chiudendo gli occhi, noi saremmo fuori. Per fortuna c’è chi guarda oltre e ci esorta a credere che l’unica strada possibile sia quella della regolarità sotto tutti i punti di vista”.

Mentre il Governo ha già avviato un lavoro congiunto tra i Ministeri dell’Agricoltura, del Lavoro e della Giustizia con il Ddl di contrasto al caporalato (in discussione al Senato, “nonostante il contesto di grave allarme sociale”, sottolineano Flai-Cgil, ndr), i dati dell’ultimo Rapporto “Agromafie e caporalato”, il Terzo, dell’Osservatorio Placido Rizzotto ci consegnano una fotografia dell’Italia nel quale il fenomeno rappresenta un sistema organizzato che colpisce i lavoratori e affossa l’economia sana: insieme i due business muovono un’economia illegale e sommersa tra i 14 e i 17,5 miliardi di euro, di cui 1 miliardo riguarda la contraffazione di prodotti agroalimentari, dal pane al vino, dalla macellazione alla pesca, all’ortofrutta, per citare le filiere che, a tutti i livelli, più interessano alle mafie, e con il fenomeno dell’Italian sounding che attraversa l’Italia da Nord a Sud; quasi il 50% dei beni sequestrati o confiscati alle mafie sono terreni agricoli (30.526 su 68.194), ma ad avanzare è anche la “mafia imprenditrice”, il riciclaggio dei proventi dalle attività illecite reinvestite nell’economia legale e nelle aziende in difficoltà che faticano ad accedere al credito legale. Nel rapporto sono riportati anche i dati sulle ispezioni, cresciute del 59% nell’ultimo anno, ma con esiti inquietanti: più del 56% dei lavoratori trovati nelle aziende sono parzialmente o totalmente irregolari, con 713 fenomeni di caporalato registrati dalle autorità ispettive.

Ai fornitori di prodotti a marchio Coop richiede la sottoscrizione di un codice di comportamento etico basato sullo standard SA8000, e in caso di non conformità, chiede un immediato piano di miglioramento, ma può anche decidere di escludere i fornitori, a seconda della gravità. “Buoni e Giusti Coop” ha esteso l’impegno a tutti gli 832 fornitori di ortofrutta (nazionali e locali) che operano con oltre 70.000 aziende, invitando le 7.200 aziende all’origine delle filiere dei prodotti a marchio ad aderire anche alla Rete del Lavoro Agricolo di Qualità. Storie come quelle dei Grimaldi e dei Giardina ci dicono che c’è un’Italia che, altrettanto senza scrupoli, lotta, e dimostra come si possano fare le cose nel rispetto della legge e, soprattutto, delle persone: “l’illegalità non ci appartiene, la cultura del lavoro sì”.

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