Per misurare davvero correttamente le performance delle Regioni del vino italiano in tema di export bisogna cambiare sistema, affinché si prenda come riferimento statistico non la Regione di sdoganamento, ma quella reale di produzione, come invece avviene adesso, con un metodo che penalizza soprattutto il Sud Italia, che nel vino negli ultimi anni ha investito tanto, e ha visto la sua immagine e le sue esportazioni crescere in maniera importante negli ultimi anni, dalla Sicilia alla Puglia, ma non solo.
Va in questo senso la riflessione e a la proposta di “un tavolo tecnico da realizzare al Ministero delle Politiche Agricole, insieme a Ismea, Agenzia delle Dogane e Istat, affinché vengano redatti, per le Regioni mancanti, i codici di nomenclatura combinata con i quali sarà possibile ricostruire il vero dato circa la propensione all’export delle regioni nonché contribuire a migliorare il sistema di informazioni su tali scambi”. A lanciarla il senatore Dario Stefàno, ex assessore all’Agricoltura della Regione Puglia ed ex coordinatore degli assessori all’Agricoltura delle Regioni, per “sanare un’ingiustizia” come quella che, spiega Stefano insieme al giornalista Andrea Gabbrielli, vede crescere troppo l’export di vino di alcune regioni, e troppo poco quello di altre, a livello statistico, per via di un sistema di calcolo legittimo, ma non preciso e corretto.
Al netto della differenza, del valore economico e del prestigio dei vini di ogni Regione, se si pensa ai volumi di produzione, la differenza è enorme, per esempio, tra gli 1,8 miliardi di euro (elaborazione WineMonitor e Nomisma su dati Istat) esportati dal solo Veneto nel 2015 (che ha prodotto più di 9 milioni di ettolitri di vino e mosti, dati Ismea) e i 101 milioni di euro esportati da Sicilia e Puglia (che hanno prodotto rispettivamente oltre 5,4 e 6,4 milioni di ettolitri) nello stesso anno. Differenza che si fa ancora più evidente se si guarda al dato del Trentino Alto Adige: 1,1 milioni di ettolitri di vino prodotti (decisamente meno di Puglia e Sicilia), per un export in valore di 500,3 milioni di euro (cinque volte tanto quello delle due Regioni).
“Dall’importante lavoro svolto da Ismea e di Wine Monitor - Nomisma sull’export vinicolo delle regioni italiane - ha detto Stefano - emerge quella che a mio avviso è un’evidente ingiustizia, tutta a scapito del Sud e soprattutto a svantaggio di regioni come la Puglia o la Sicilia. I codici di nomenclatura possono aiutare a “tracciare” gli scambi e ricostruire dati più aderenti al vero”.
“Siamo in presenza - afferma Gabbrielli - di un paradosso: più cresce l’export di vino del Sud, più cresce la propensione all’export delle regioni del nord dalla logistica più sviluppata. Infatti l’attuale sistema di rilevazione dei dati export fa riferimento al luogo di sdoganamento e di fatto non tiene conto dell’origine del prodotto. Tutto ciò risulta particolarmente penalizzante per tutte le regioni meridionali e in particolare Puglia e Sicilia, che in questi anni hanno fatto grandi sforzi per l’internazionalizzazione. Si tratta di riconoscere, anche dal punto di vista statistico, questa realtà dei fatti. Il vino italiano è competitivo perché tutti contribuiscono al suo successo nello stesso modo”.
La questione, così come appare, può sembrare marginale, ma non lo è, perché dalla propensione all’export delle Regioni derivano molte decisioni strategiche, come la ripartizione dei fondi per l’Ocm Vino.
“Non mettiamo in discussione il prezioso e puntuale lavoro di Ismea - precisa Stefàno - puntiamo invece i riflettori su quella che appare come una “pigrizia burocratica” che va a pregiudicare le performance di alcune ragioni tra le quali la Puglia. Basta osservare dal punto di vista statistico, l’incremento della propensione all’export della regione dove avviene lo sdoganamento, a scapito appunto di quella di origine. È il caso palese di regioni come il Piemonte e il Trentino, dove tale propensione è a 3 cifre percentuali (rispettivamente 141% e 173%). Quindi - continua Stefàno - se è logico che una Regione non possa esportare più del 100% di quanto produce, come opportunamente segnalato nello stesso report di Ismea, tuttavia da questa percentuale “dopata” scaturiscono e si determinano ricadute penalizzanti e pesanti per interi territori. Una su tutte, la ripartizione dei fondi Ocm vino, che costruisce le sue determinazioni avvalendosi anche dei dati Istat (come quelli in questione) fino ad arrivare a possibili interessi di appeal commerciali o per investimenti che i privati potrebbero realizzare e che le attuali evidenze statistiche, per alcuni casi, potrebbero addirittura scoraggiare. La mia è un’iniziativa che ribadisce la centralità e l’importanza dell’origine dei prodotti, sulla quale l’Italia non può permettersi alcun tentennamento”.
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