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Dietro la crescita del biologico, dal campo allo scaffale, c’è un sistema di certificazioni ed un rapporto con il mondo produttivo che fa acqua da tutte le parti, come ha raccontato il servizio di “Report” “Bio Illogico” firmato da Bernardo Iovine

La crescita del biologico, negli ultimi anni, è stata esponenziale, in Italia come nel resto del mondo, sintomo di un rapporto con il cibo sempre più attento. Che, ovviamente, ha portato con sé una vera e propria rivoluzione produttiva, dal campo allo scaffale, con conseguenti aumenti di prezzo, sia delle materie prime che, conseguentemente, del prodotto finito. Nel Belpaese, leader in Europa nelle produzioni bio, esistono 60.000 aziende certificate bio, con i consumi cresciuti, nei primi sei mesi 2016, del 21%. Dietro ad un successo del genere, però, c’è un intreccio pericoloso, quello tra produttori ed enti certificatori, svelato da inchieste giudiziarie e giornalistiche, come quella firmata da “Report”, in onda ieri sera su Rai Tre, in cui Bernardo Iovine, nel servizio “Bio Illogico”, ha portato alla luce un sistema che rischia di gettare più di un’ombra sul sistema produttivo “green” (www.report.rai.it).
Abbiamo dato spesso notizia di mega sequestri portati a termine dalla Guardia di Finanza, dalla Polizia di Frontiera, dall’Icqrf - Ispettorato Centrale Qualità e Repressione Frodi del Ministero delle Politiche Agricole, o dal Nucleo Antifrodi dei Carabinieri, di interi carichi di falso bio arrivato da ogni parte del mondo, dall’Ucraina alla Moldavia, a volte migliaia di tonnellate di grano, mais o altre produzioni agricole. Quello che è rimasto in secondo piano, invece, è il coinvolgimento diretto di produttori ed organismi di controllo italianissimi. Per abbattere i costi, infatti, nonostante le decine di migliaia di ettari incolti nel Belpaese, sono migliaia gli imprenditori agricoli che scelgono di spostare le proprie produzioni all’estero, specie in Romania, dove, come racconta il reportage di “Report”, il meccanismo di certificazione si fa, spesso e volentieri, a dir poco nebuloso. Campi di centinaia di ettari, coltivati in maniera convenzionale, diventano bio grazie a certificazioni di enti, italiani o rumeni, letteralmente in mano alle aziende che dovrebbero controllare. Migliaia di tonnellate di grano, ad esempio, prendono così la via dell’Italia, della Germania, dell’Austria finendo a produttori che pagano per biologico (e, ricorda Milena Gabanelli, storica conduttrice di “Report”, una tonnellata di grano tenero costa 154 euro, se è bio 390) un prodotto che biologico non è, con il risultato che sugli scaffali finiscono prodotti tutt’altro che green.

Inutile fare nomi e cognomi di imprenditori ed enti coinvolti, a vario titolo, non solo in Romania, ma anche in Italia, dove le inefficienze di una burocrazia disorganizzata e, ripetiamo, autoreferenziale, in cui i controllori sono in mano ai controllati, hanno permesso, ad esempio, l’immissione sui mercati europei di 10.500 tonnellate di falso grano bio importato da un imprenditore foggiano nell’ottobre 2015 che, attraverso un sistema di false certificazioni scoperto solo sei mesi dopo, nel marzo 2016, quando il grano era diventato farina e poi pasta, quasi interamente venduta e consumata. Con evidenti ripercussioni per i consumatori, traditi da un sistema che dovrebbe garantire la qualità di ciò che comprano. A vigilare sugli enti di certificazione è il Ministero delle Politiche Agricole, ma è chiaro che ognuno dovrà assumersi le proprie responsabilità dal mondo imprenditoriale ai certificatori, passando ovviamente per la politica, con un leitmotiv ben chiaro, quello della tracciabilità.

Chi ha fatto già un passo avanti, in questo senso, è FederBio, forse la più rigorosa tra le associazioni di categoria, come emerge anche dalla puntata di “Report”, capace di denunciare situazioni poco chiare e di mettere in black list produttori ritenuti poco credibili, con un progetto al momento unico in Europa, che consente, per l’appunto, la verifica in tempo reale della regolarità degli acquisti e delle vendite dei prodotti bio con la tracciabilità fino al campo di produzione. Realizzato con Accredia, l’ente nazionale di accreditamento per laboratori e organismi di certificazione, questo strumento, potrebbe fare da apripista nella riforma del sistema di certificazione in Europa. Secondo Federbio è necessario ripartire dalla tracciabilità e dal coordinamento efficace fra gli attori del sistema su un settore tra i più controllati di tutto l’agroalimentare italiano.

Gli organismi di controllo e di certificazione soci FederBio, come ricorda in una nota la stessa associazione, controllano 51.830 dei quasi 60.000 operatori biologici italiani, hanno effettuato nel 2015 un totale di 68.669 verifiche ispettive pari a 1,32 visite/operatore/anno, con una frequenza più che tripla rispetto al settore dei prodotti a denominazione di origine. Paolo Carnemolla, presidente di FederBio sottolinea inoltre “l’assenza di coordinamento del sistema di certificazione da parte del Ministero, contestato anche dalla Ue, come di una vigilanza efficace non meramente burocratica. Gli organismi di certificazione devono essere sgravati da inutili adempimenti formali per concentrare sempre più la loro attività sui controlli in azienda. Da qui la necessità di prevedere nel Piano strategico nazionale il riconoscimento di un organismo interprofessionale chiamato a elaborare regole per mantenere l’integrità del settore e per delineare strategie per il suo sviluppo. Tutto questo considerato e per ridare efficacia e autorevolezza alla delega sul biologico - conclude Carnemolla - chiediamo un incontro al Ministro delle Politiche Agricole, Maurizio Martina”.

Chi si fosse perso la puntata, può rivederla qui: http://bit.ly/2d9oamm

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