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Bene il contrasto al caporalato, ma attenzione, con la nuova legge, a non punire ugualmente chi sfrutta i lavoratori e chi commette violazioni lievi della normativa. Un rischio che esiste, secondo Confagricoltura, che lo scrive al Ministro Martina

Il “caporalato” è una piaga dell’agricoltura italiana, un grande male che purtroppo si manifesta ancora troppo spesso, in un settore che, però, va sottolineato, è in larga parte sano. É un bene, dunque, che il disegno di legge contro il “caporalato” (C. 4008, recante “Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo”) già approvato al Senato, proceda spedito anche alla Camera (dove è in calendario da ieri e in ogni seduta di questa settimana, ndr). Ma senza cadere nel rischio che, per accelerare ora, ci si trovi con una norma la cui portata potrebbe andare al di là delle intenzioni, e punire in maniera troppo severe anche quelle imprese agricole che, pur potendo qualche irregolarità di carattere per lo più amministrativo, di certo non possono essere equiparate a chi agisce sfruttando i lavoratori.
Perchè è questo il rischio che, tra le pieghe della legge, hanno visto alcune organizzazioni di categoria, come la Confagricoltura, dopo che in Senato, all’ultimo tuffo, nel testo approvato sono stati inseriti gli “indici di sfruttamento”, che contengono anche voci giudicate troppo generiche.
In particolare, spiega Confagricoltura in una lettera inviata al Ministro delle Politiche Agricole, Maurizio Martina, nei giorni scorsi, la preoccupazione deriva “dall’art. 1 del provvedimento, che modifica l’art. 603-bis del codice penale, nella parte in cui - scrive l’Organizzazione presieduta da Mario Guidi individua la fattispecie criminosa dello sfruttamento del lavoro in modo del tutto indipendente rispetto all’intermediazione illecita, e individua degli indici di sfruttamento non sempre idonei a definire correttamente l’ipotesi di reato (sfruttamento del lavoro)”. Dove, in sostanza, sono previste anche “violazioni lievi e meramente formali di normative legali e contrattuali in materia di igiene e sicurezza, orario di lavoro e retribuzione”, che, però, con la nuova legge, ricadrebbero formalmente sotto il reato di “caporalato”, e quindi anche sotto lo stesso regime punitivo e sanzionatorio che viene condivisibilmente inasprito se si pensa ai reati più gravi, e arriva non solo alla carcerazione, ma anche alla confisca dell’azienda stessa.
“Insomma - scrive Guidi - si rischia di trattare con lo stesso rigore punitivo chi, con violenza e minaccia, sfrutta i lavoratori e li sottopone a trattamenti degradanti e disumani, e i datori di lavoro che assumono e assicurano regolarmente i propri dipendenti ed occasionalmente incorrono in violazioni lievi e meramente formali della normativa legale e contrattuale”. Ovviamente, tutto questo potrebbe essere corretto e rivisto anche dopo l’approvazione del ddl ma, dice chi vede in questo la possibile complicazione della vita quotidiana delle aziende, tanto vale porvi rimedio da subito.
Anche perché, spiega Confagricoltura, l’intento perseguito dal disegno di legge è pienamente condivisibile, “e Confagricoltura da sempre denuncia tali deprecabili fenomeni anche a tutela delle tante imprese che operano nel rispetto della legalità. La nostra Associazione non si è mai sottratta al confronto su questi temi scottanti (caporalato, lavoro nero, lavoro fittizio, sfruttamento del lavoro), anche quando pochi ne parlavano. Abbiamo anche sottoscritto avvisi comuni con i rappresentanti dei lavoratori e contribuito alle politiche e alle procedure per il controllo dell’immigrazione.
Recentemente abbiamo sottoscritto il “Protocollo sperimentale contro il caporalato e lo sfruttamento del lavoro agricolo” e stiamo sostenendo la sua concreta attuazione nei territori individuati per la sperimentazione. Abbiamo altresì introdotto, all’interno delle singole organizzazioni, codici etici che impongono agli associati il rispetto delle norme sul lavoro a pena dell’esclusione dalla base associativa”.
Ma da qui a “fare di tutta l’erba un fascio”, e rischiare di equiparare a livello legale chi sfrutta le persone con chi commette qualche atto irregolare decisamente più lieve, e ovviamente anche questo da perseguire nei modi corretti e concreti, ce ne passa. “In definitiva, pur comprendendo e riconoscendo le ragioni ispiratrici e l’effetto deterrente di un aggravio delle pene per il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro - conclude Confagricoltura - è necessario che le norme penali ipotizzate siano equilibrate e vadano a colpire i veri criminali, ossia coloro che organizzano l’attività di intermediazione illecita e se ne avvantaggiano economicamente, e non anche i datori di lavoro che occupano regolarmente i propri dipendenti ed incorrono in violazioni lievi e meramente formali”.

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