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La ristorazione italiana è ripartita e crea occupazione: +96.000 addetti tra il 2008 ed il 2015. Eppure, non è semplice trovare chef, pasticceri e personale di sala preparato. A dirlo l’indagine Fipe-Confcommercio a “Food & Wine in Progress”

I punti critici non mancano, ma la ristorazione italiana ha ripreso a crescere. E crea anche maggiore occupazione. Eppure, anche nonostante il successo di tante trasmissioni di cucina che hanno elevato gli chef al rango di vere e proprie superstar, con il conseguente effetto emulazione da parte di molti, trovare cuochi, pasticceri, gelatai, ma anche personale di sala e bar preparato, non sembra essere così facile. A dirlo l’indagine di Fipe (Federazione Italiana Pubblici Esercizi) by Confcommercio, di scena a “Food & Wine in Progress”, l’evento dedicato alle eccellenze della produzione agroalimentare e della ristorazione, che si chiude oggi a Firenze(http://foodandwineinprogress.it). Dove si è discusso di “Occupazione nella ristorazione. Quali competenze, quali prospettive”, nel convegno, moderato dal direttore di “Italia a Tavola” Alberto Lupini, con il presidente della Federazione Italiana Cuochi, Rocco Pozzulo, il presidente dell’Associazione Italiana Sommelier, Antonello Maietta e il vicepresidente Fipe-Confcommercio, Aldo Cursano.
Il dato di fatto è che la ristorazione in Italia riparte e fa largo ai giovani. Mentre i consumi alimentari delle famiglie italiane per i pasti in casa continuano a scendere -12% dal 2007 al 2015), dal 2013 la spesa per il “fuori casa” ha ripreso a salire in maniera via via più marcata. E con essa è cresciuta anche l’occupazione nel settore: +1,5% dal 2008 al 2015, con una variazione positiva di 96.000 nuovi addetti che non ha riscontri in nessun altro comparto economico, fatto salvo quello dei servizi. Non solo: con il 72% di dipendenti “under 40”, la ristorazione si dimostra un settore ideale per i giovani. E lo potrebbe essere ancora di più, visto che ora le imprese fanno fatica a trovare personale qualificato per alcuni profili professionali necessari invece alla loro attività.
Dall’indagine Fipe-Confcommercio è emerso che i lavoratori dipendenti dei pubblici esercizi, ai quali si applica il contratto collettivo nazionale del turismo, sono oggi in Italia quasi 700.000, con picchi occupazionali più alti legati alla stagionalità (da metà giugno a metà settembre si arriva quasi ai 750.000).Più della metà sono donne (54%), uno su quattro è straniero. In quanto all’età, il 17% degli occupati ha meno di venti anni, il 31% ha tra i venti e i trenta anni, il 24% fra i 30 e i 40, il resto è over 50. L’occupazione è attualmente in crescita soprattutto nei ristoranti (+2,2% nel confronto tra 2008 e 2015) e nella fornitura di pasti preparati (+4,9%), mentre scende nelle mense (-1,3%) e nelle discoteche (-11,4%). In generale, la ristorazione garantisce oggi un lavoro “sicuro” (per quanto possa esserlo un qualsiasi lavoro di questi tempi): quasi otto lavoratori su dieci (76%) hanno un contratto a tempo indeterminato, il 18% a tempo determinato e il resto è stagionale. E sono 63.000 le aziende italiane che nel 2015 hanno utilizzato lo strumento dei voucher per ampliare l’organico in maniera temporanea. E tra le figure professionali più richieste dalle aziende ci sono cuochi, aiuti cuochi, camerieri, baristi, pasticcerie e gelatai. Che, in alcuni casi, però, come detto, sono figure difficili da reperire. Segno forse che le scuole, emerge dal convegno, dovrebbero dialogare di più con le imprese per predisporre percorsi formativi adeguati alle esigenze effettive del mercato.


“Per i giovani sarebbe garanzia di una lavoro certo e per le nostre aziende uno strumento in più per crescere, perché non si raggiunge l’eccellenza con personale poco preparato”, sottolinea Aldo Cursano, che aggiunge, “la ristorazione ha bisogno dei giovani e non solo negli ambiti classici della cucina e dalla sala. C’è per esempio da fare un passo avanti nella digitalizzazione delle imprese e nello story telling. I giovani sanno dialogare con il web, con il mondo delle recensioni, sono in grado di far passare all’esterno quei valori e quella qualità che le nostre aziende coltivano al loro interno. È con il linguaggio della contemporaneità che si comunicano i valori della tradizione”.

Ma non tutto oro quello che luccica, nemmeno nel settore della ristorazione: dal 2010 al 2015, l’Italia ha perso 13.656 ristoranti e 13.121 bar. C’è poi un problema legato alla concorrenza: in Italia esistono ben 440 imprese della ristorazione ogni 100.000 residenti. Più di noi ne hanno solo Portogallo (749 per 100.000 abitanti), Grecia (649), Cipro (546), Spagna (541), Repubblica Ceca (478), Lussemburgo (470) e Malta (463). Tutti gli altri paesi europei, a cominciare da Germania (198) e Francia (329) hanno una minore densità di locali. “Ma chi punta sulla qualità non teme concorrenza”, hanno sottolineato il presidente Federazione Italiana Cuochi, Rocco Pozzulo ed il presidente dell’Associazione Italiana Sommelier, Antonello Maietta.

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