“Le parole del vocabolario del cibo si sono modificate, sono evolute insieme alla nostra storia, a quella dei consumi & costumi, e anche degli eventi, perché legate non solo ad atteggiamenti, ma anche a ciò che succede. Poi c’è un altro motore di cambiamento che è l’uso delle parole da parte della normativa. Il risultato è che ci sono parole che 50 anni fa non si usavano nemmeno, come Biodiversità che è una new entry, o come Diritti e Legalità. Ma ci sono anche parole che hanno cambiato segno, da positive a negative e viceversa, come Grasso e Magro, Sicuro e Pulito. Altre invece dovremmo usarle di più, come Semi, per chiederci non solo come un cibo è coltivato e prodotto, ma anche quale sia la sua Origine, e quali scelte economiche e sociali ci sono dietro. Le parole che fanno ben sperare? L’attenzione alla Salute, non più in modo prescrittivo, e alla Qualità a tutto tondo, del cibo ma anche del lavoro e del rispetto dell’ambiente per produrlo”. Parole analizzate per WineNews da Cinzia Scaffidi, docente di “Interdisciplinarità della Gastronomia” all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, autrice, tra gli altri, di “Mangia come parli: come è cambiato il vocabolario del cibo” (Slow Food Editore, 2014, con prefazione di Tullio De Mauro; www.slowfoodeditore.it), 100 parole per raccontare il mondo del cibo (“una selezione durissima, in mezzo secolo di storia italiana”, ndr) e i suoi mutamenti più recenti, dalla A di Agricoltura alla Z di Zappare, in mezzo Fame, Bellezza, Innovazione, parole che vale la pena seguire nella loro evoluzione di significato. Il paradosso? Siamo passati dalla F di Fame alla O di Ortoressia, nuovo disturbo alimentare legato alla paura di assumere cibi non sani, con la loro ricerca ossessiva, l’analisi scrupolosa delle etichette e una spesa economica non indifferente.
Di cibo oggi tutti ne parlano e molto, e di conseguenza le parole sono tante: “una volta ne sapevamo molto e mangiavamo abbastanza bene, ma di cibo ne parlavamo poco - dice Scaffidi - oggi invece sappiamo un sacco di cose, abbiamo una serie di competenze o sappiamo dove andarle a cercare, se solo si pensa al web. Certo, i rischi ci sono, a partire dal non capire quale sia la graduatoria di affidabilità, visto che tutti possiamo recensire un ristorante, per quanto ne sappiamo ma anche per come ci svegliamo la mattina. Ma, in generale, stiamo andando verso un linguaggio più di sostanza, passando dalla confezione delle parole al loro contenuto, dall’uso-abuso di Accattivante a spiegare che vuol dire un sapore così. Tuttavia resta il fatto che quando mangiamo facciamo scelte che non sono esattamente in linea con quanto abbiamo detto poco prima”.
In mezzo secolo, “siamo passati dal proverbio “parla come mangi”, invito all’autenticità, immaginando che nel modo in cui si mangiava c’era davvero la nostra identità e non bisognava fare finta di essere qualcun altro parlando in modo colto e incomprensibile rispetto al grado di educazione che c’era sul cibo - spiega la scrittrice - ad oggi che nessuno mangia per come è, ma per come può, e dovremmo piuttosto “mangiare come si parla””.
“Non riusciamo più ad avere un po’ di indulgenza con noi stessi e con gli altri, a tavola come nella vita - secondo la docente dell'Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo - il passaggio dalla Fame all’Ortoressia è una mancanza di cultura alimentare necessaria a capire fin dove possiamo spingerci, che ci porta ad essere estremisti pensando che non c’è niente di giusto se non quello che è giustissimo, inseguendo le mode per essere perfetti e non sbagliare. È un elemento di debolezza, non un progresso: sbagliare è diventato inammissibile, dovremmo invece riconciliarci con l’idea che possiamo anche mangiare un cibo imperfetto, perché perfetti non lo siamo e non possiamo avere il 100% di informazioni su tutto ciò che portiamo in tavola. Deve essere una linea guida, non farci arrivare al punto che piuttosto che non mangiare un’insalata confezionata non mangiamo. Mangiare in modo perfetto è un lusso che pochissimi si possono permettere, non solo per denaro - conclude la professoressa – ma anche per disponibilità, accesso e tempo per farlo”.
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