La Commissione propone tagli sostanziosi alla Pac, ma il Parlamento Europeo non ci sta. E non è un aspetto da poco, perchè sebbene la risoluzione votata ieri a maggioranza dell’Europarlamento non è vincolante, è un segnale chiaro al documento della Commissione, che potrà influenzare la proposta legislativa sulla Politica Agricola Comunitaria Post 2020, che dovrebbe essere presentata domani, e per diventare operativa dovrà essere approvata da Parlamento e Consiglio tramite la procedura di co-decisione. Un passaggio fondamentale per l’agricoltura dell’Unione, che nell’ultimo bilancio aveva messo a budget oltre 400 miliardi di euro che, secondo la Commissione, subiranno un taglio del 5%, mentre secondo i calcoli di organizzazioni agricole e non solo, il taglio reale sarà ben più sostanzioso, nell’ordine del 18%. Ma al di là della fondamentale questione delle risorse, il Parlamento Ue è fermo su tre aspetti: ok ad una maggiore flessibilità per Stati membri, ma nessuna “ri-nazionalizzazione” della politica agricola comune; finanziamenti distribuiti più equamente all’interno degli Stati membri; più opzioni per attrarre nuovi operatori e aiutare gli agricoltori ad affrontare le crisi.
Nel dettaglio, il Parlamento Ue ha chiesto che “i pagamenti diretti continuino a essere interamente finanziati dal bilancio Ue (e non integrati dalle risorse nazionali, come proposto dalla Commissione), che sia prevista l’esclusione dei settori più sensibili dai negoziati commerciali, un maggiore sostegno ai giovani e ai nuovi agricoltori, nonché a quelli colpiti dalla volatilità di redditi e prezzi, una distribuzione più equa dei fondi UE tra gli Stati membri, tenendo conto degli importi ricevuti e delle differenze, ad esempio, di costi di produzione o di potere d’acquisto, un nuovo metodo europeo per calcolare i pagamenti diretti al fine di eliminare gradualmente i “criteri storici”, metodi più efficaci per garantire che il sostegno finanziario sia destinato davvero agli agricoltori, meno denaro per le aziende più grandi, con un massimale di pagamento obbligatorio a livello Ue, e la riduzione della burocrazia per le misure obbligatorie di rinverdita per renderle più orientate ai risultati, insieme alla semplificazione delle misure volontarie”.
“Sono necessari obiettivi ambiziosi per il futuro della politica agricola dell’Ue. Dobbiamo garantire la sicurezza dell’approvvigionamento di cibo di qualità per i cittadini europei, un migliore sostegno ai giovani, ai nuovi agricoltori e alle loro famiglie, per aumentare la competitività degli agricoltori, anche rendendo l’agricoltura più intelligente e innovativa e preparandola meglio alle fluttuazioni del mercato. Tuttavia, questo obiettivo potrà essere raggiunto solo se in futuro la Pac resterà veramente comune e ben finanziata. Questo è ciò per cui lotteremo nella prossima riforma della Pac” ha dichiarato il relatore italiano Herbert Dorfmann, del Partito Popolare Europeo.
“La politica agricola dopo il 2020 deve essere più intelligente, semplice, giusta e sostenibile, ma anche ben finanziata e davvero “comune”, si legge in una nota del Parlamento Ue.
“Il voto espresso dal Parlamento europeo sulla futura riforma della Pac invia un messaggio chiaro: l’Assemblea - afferma Paolo De Castro, primo vicepresidente della Commissione agricoltura e sviluppo rurale - è favorevole alla semplificazione, ma non accetterà mai una ri-nazionalizzazione della Politica Agricola Comune. La relazione votata a grande maggioranza sostiene - prosegue De Castro - che il futuro della nostra agricoltura deve rimanere “comune”, garantendo crescita, produttività, sostenibilità e competitività a tutti i nostri agricoltori, senza rischi di distorsioni di concorrenza tra Stati o addirittura tra Regioni differenti. Purtroppo, questa presa di posizione - si rammarica De Castro - non è stata recepita nella proposta di riforma della PAC post-2020, ormai pubblica, e che la Commissione europea presenterà ufficialmente il primo giugno. Nel testo infatti, si è preferito imprimere una forte accelerazione all’iter decisionale scavalcando le prerogative del normale dialogo inter-istituzionale che rischia di liquidare con troppa facilità la più grande esperienza di politica sovranazionale della storia dell’Ue. Caro Commissario - ha concluso De Castro rivolgendosi a Hogan, il responsabile agricolo Ue - la sola responsabilità dei controlli all’Unione europea non basta per definire la Pac una politica davvero comune. Serve invece un messaggio forte di ancora maggiore integrazione: lo dobbiamo agli 11 milioni di agricoltori e agli oltre 500 milioni di cittadini europei”.
Insomma, quello della Politica Agricola Comunitaria post 2020 è un futuro ancora da scrivere, nella speranza che vengano confermate anche le specificità che, da rumor si WineNews, dovrebbero essere nella proposta sul settore del vino. Che dovrebbe vedere mantenuta l’indipendenza e la struttura della sua Ocm (ultimo rimasto ad avere una ad hoc), il cui strumento attuativo principale dovrebbe rimanere il Piano Nazionale di Sostegno (Pns), e con un orizzonte temporale di 5 anni. Qualche novità, nell’ordine della flessibilità, dovrebbe arrivare anche sul tema delle autorizzazioni dei impianto per i nuovi vigneti, senza però toccare il limite massimo attuale, dell’1% all’anno sul totale della superficie vitata di ogni Paese. Su questo fronte, però, la prospettiva è quella di una Ocm che accompagnerà anche il settore del vino verso una sostanziale liberalizzazione, in passato rinviata (e una delle conseguenze è stata il regime attuale sulle autorizzazioni di impianto, che ha scontentato molti anche tra coloro che ne avversavano la liberalizzazione, ndr), ma che, secondo le indiscrezioni che filtrano dalla Commissione, sarà inesorabile, come già successo per tutti gli altri settori, dal latte allo zucchero. In ogni caso, per avviare una discussione più concreta, si dovrà aspettare che tutto sia nero su bianco. Tra le altre novità che potrebbero riguardare il settore del vino e delle bevande alcoliche, la revisione dei regolamenti, nel senso di una maggiore chiarezza, che disciplinano la produzione e commercio di bevande alcoliche a basso grado, e anche i cosiddetti “ibridi”, cioè dei prodotti ottenuti da uve con “caratteristiche rinforzate”, ma non Ogm, sul fronte della resistenza alle malattie, per esempio.
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