E se tra i due litiganti (più uno, l’Unione Europea, spettatore interessato) a godere fosse il terzo (in questo caso il quarto)? Lo scontro, epico quanto pericoloso, tra Cina ed Usa, si è trasformato in una vera e propria spirale, destinata a chiudersi solo quando Washington, o meglio Trump, riterrà di aver raggiunto il proprio scopo, quello di riequilibrare, per quanto possibile, la bilancia commerciale tra i due Paesi. Eppure, la storia recente, anche del commercio enoico, racconta dinamiche diverse, volte all’apertura delle frontiere (almeno per le merci), e non alla chiusura, arrivando in certi casi all’abbattimento totale dei dazi. È andata così tra Cile e Cina, che nel 2006 hanno firmato un “Free Trade Agreement”, ossia un accordo di libero scambio, che nel lungo periodo ha portato vantaggi ad entrambi. Specie al vino cileno che, come raccontano i dati dell’American Association of Wine Economists, in undici anni è passato dalla marginalità al protagonismo. Se nel 2006 le esportazioni verso Pechino di vino cileno ammontavano ad appena 21 milioni di dollari, nel 2017 hanno toccato i 323 milioni di dollari. Una crescita graduale ma inarrestabile, che potrebbe vivere un altro capitolo proprio sull’onda delle tensioni tra Cina e Usa, che nel 2017 ha spedito verso Pechino 75,6 milioni di dollari di vino, il suo record storico: l’ultima mossa dell’Amministrazione Usa, che introdurrà dazi al 10% per tutti i prodotti dell’agroalimentare cinese (per un valore di 200 miliardi di dollari), porterà di sicuro ad una risposta di Pechino, aprendo un’autostrada al vino cileno, che così andrebbe a sostituire, sul mercato cinese, quello a stelle e strisce, specie sul segmento dei vini premium.
Copyright © 2000/2024
Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit
Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024