Ricerca in vigna ed in cantina, tra sostenibilità e qualità, ricerca dell’eleganza e della massima espressione del “terroir” in bottiglia, ancora più promozione nei mercati del mondo, ma anche accoglienza sul territorio, con l’obiettivo principale di mantenere l’immagine dell’Amarone come vino icona, come prodotto d’elite e non di massa: passa da qui il futuro del vino principe della Valpolicella, e tra i vini più importanti d’Italia, secondo alcuni dei suoi produttori più celebri, pionieri del territorio, e oggi riuniti dell’associazione delle Famiglie Storiche (Allegrini, Begali, Brigaldara, Guerrieri Rizzardi, Masi, Musella, Speri, Tedeschi, Tenuta Sant’Antonio, Tommasi, Torre D’Orti, Venturini e Zenato che insieme muovono 2,3 milioni di bottiglie di Amarone Docg, di cui l’80% all’export, con una crescita del 18% in 10 anni, soprattuto in Usa, Canada, Paesi Scandinavi e Svizzera), riunite ieri a Milano per festeggiare il decennale dalla fondazione, e che hanno contribuito negli anni, in maniera determinante, a fare dell’Amarone della Valpolicella, un vino capace di muovere un giro d’affari di 334 milioni di euro, che finisce per il 65% dall’export, ed vertice di un territorio, la Valpolicella, dove il vino muove un business complessivo di 600 milioni di euro. Un successo, quello legato all’Amarone, che ha portato anche alla crescita dei valori fondiare, con un ettaro di vigneto nelle zone più prestigiose, ed in particolare della Valpolicella Classica, che arriva anche ai 500.000 euro ad ettaro.
“La cosa importante è continuare a lavorare per tenere alto il valore del prodotto e fare qualità - spiega a WineNews Sabrina Tedeschi, alla guida della cantina di Famiglia, e presidente delle Famiglie Storiche - e per fare qualità si deve investire nel territorio. Che vuol dire investire nella collina, selezionare i vigneti dove produrre l’Amarone, fare ricerca per capire anche quali tecnologie ci possono aiutare, anche in funzione dei cambiamenti climatici, e per essere più sostenibili. Bisogna fare tanta ricerca, continuiamo a collaborare con l’Università di Verona, come azienda e come gruppo, per migliorare in questo senso. E poi continuare con la promozione, sempre fondamentale: si deve far crescere la conoscenza del prodotto, informare sempre di più il consumatore, e far conoscere sempre di più il prodotto di qualità, perchè l’Amarone sia sempre più identificato come icona del vino italiano. Come abbiamo fatto dal 1960-1970, dobbiamo continuare a viaggiare per farlo conoscere. E poi, fondamentale, accogliere il consumatore nel territorio, perchè deve conoscere dove è prodotto il vino”.
Una visione in linea con quella di Marilisa Allegrini, alla guida di uno dei nomi più celebri del territorio. “Dobbiamo continuare a lavorare con serietà e stimoli diversi, secondo me una delle cose importanti che ha la Valpolicella dalla sua parte è la possibilità di promuovere il prodotto insieme ad una terra meravigliosa, con tanti percorsi esperienzali che si possono fare tra storia, cultura e prodotto. Nella qualità, l’Amarone è cambiato molto. Abbiamo acquisito conoscenze e competenze, imparato a fare un vino che si abbina alle grandi cucine del mondo, che è un plus importante, e poi siamo andati verso l’eleganza, quindi non più solo struttura e residui zuccherini, ma verso la ricerca di un grande equilibrio, grazie alla Corvina e alle tecniche dell’appassimento che si sono evolute. Poi, visto che siamo in un territorio magico, dobbiamo pensare sempre più alla sua tutela, quindi andare in una direzione se non proprio di agricoltura biologica, quanto meno sostenibile”.
Territorio che è l’ancora per navigare verso il futuro anche secondo Giampaolo Speri, alla guida della storica cantina Speri.
“La qualità per noi è sempre stata la ricerca della massima espressione di un terroir. Il Monte Sant’Urbano in particolare esprime eleganza e finezza di questo vino. È cambiata, negli anni, la ricerca su come esprimere al massimo il territorio, non solo attraverso la tecnica, ma attraverso la selezione delle uve che nascono su questa terra e vanno in cantina. E il futuro passerà sempre più dalla valorizzazione della zona classica, dalla ricerca di terroir particolari che esprimano al massimo i vitigni”.
“A cambiare è stata soprattutto la viticoltura, negli ultimi 20 si è puntato sulla qualità, pensando che il vino buono si fa prima in campagna e poi in cantina - aggiunte Pierangelo Tommasi, alla guida di uno dei gruppi più importanti del vino italiano, con il cuore e la storia in Valpolicella - e il mercato ha risposto bene, ha trovato un Amarone che piace, si sono aperti mercati nuovi che hanno fatto cambiare marcia al territorio. E aperto però, anche delle problematiche: il territorio si è allargato, siamo a più di 8.000 ettari di vigna in Valpolicella, ed è cresciuta anche molto la produzione. E dobbiamo controllare questo aspetto, affinchè l’Amarone continui ad essere visto come un prodotto elitario, e non di massa”.
Impossibile, però, non fare qualche considerazione sulla querelle che, da anni, vede contrapporsi, su diversi aspetti, le Famiglie Storiche ed il Consorzio della Valpolicella. Una divisione che da tempo si prova a ricomporre, e che non può che danneggiare tutto il territorio. “È assolutamente dannosa, e in fondo non aveva motivo di nascere, e tutti auspichiamo che vada a finire presto, magari senza né vincitori né vinti”, commenta Sandro Boscaini, decano della Valpolicella e dell’Amarone, alla guida di Masi Agricola. “Noi come Famiglie, da parte nostra, abbiamo dei passi, abbiamo tolto “Amarone” dal nostro marchio, come da sentenza, ma non possiamo toglierci di mezzo noi. Però dobbiamo riflettere: non si deve tirare la corda, non si può rischiare la pelle dell’Amarone, dei produttori e del prestigio di questo prodotto. Dobbiamo guardare al futuro, siamo qui per l’Amarone, per promuovere l’Amarone, a beneficio di chiunque altro lo faccia e a qualunque prezzo lo venda. Noi siamo un gruppo di produttori storici che, credendo nell’Amarone, lavoriamo assieme. Ci sono diversità tra di noi, ma ci unisce il modo di pensare, crediamo che l’Amarone sia un grande vino, e possa essere anche un grande business: dobbiamo mostrarne il meglio, e lavorare per il futuro delle nostre famiglie e della nostra terra”.
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