Mantenere intatto il prestigio di un nome mito del vino mondiale, vuol dire anche fare scelte difficili, che possono sembrare addirittura folli. Anche, o soprattutto, se ti trovi alla guida di una realtà come Château d’Yquem, icona n. 1 del Sauternes (oggi del gruppo Lvmh), come successo ad Alexandre de Lur Saluces, nome mito della piccola denominazione francese, punto di riferimento per i vini dolci del mondo, e “cantina di famiglia” che ha guidato dal 1968 al 2004. “Per me è stato naturale prendere in mano Château d’Yquem - racconta Alexandre de Lur Saluces a WineNews, nella presentazione dei suoi Sauternes prodotti a Château de Fargues (di proprietà della famiglia dal 1472), sulla tavola del tre stelle Michelin “da Vittorio” a Brusaporto - grazie all’anno e mezzo molto formativo che ho passato con mio zio Bertrand. Anche se non c’erano molti scambi di parole tra di noi, lui mi ha dato una importante chiave di lettura: semplicemente, i dati di raccolta di venti annate. Ho dovuto affrontare momenti molto difficili. Dapprima la successione alla guida di Yquem e in seguito annate pessime: la 1968, molto mediocre, la 1969 e la 1970, non straordinarie, poi la buona 1971, e a seguire la 1972 che ho saltato, e la 1974 che ho deciso di non mettere in vendita. Ho affrontato con naturalezza decisioni che terrificavano tutti perché sentivo di essere il filo conduttore della mia famiglia”.
Ma d’altronde, come spiega lo stesso Alexandre de Lur Saluces , il Sauternes è un vino di genio e follia. Parole di chi ne è considerato “il custode naturale”. La sua famiglia è imprescindibile dai grandi vini di Sauternes (oggi, complessivamente, con altri rami della famiglia, con tenute storiche come Malle, Filhot e Coutet, controlla 700 ettari sui 2200 della denominazione, ndr) e oggi a portare avanti la tradizione, il savoir-faire e una ricerca assoluta di qualità sono lui e suo figlio Philippe, rispettivamente 14esima e 15esima generazione.
Con Château de Fargues, di proprietà della famiglia dal 1472, che oggi rappresenta una sorta di “start up”. Chiamarla start up può sembrare un paradosso, visto che la prima annata risale al 1943, imbottigliata nel 1947, e che oggi il vino di Château de Fargues è considerato come uno dei migliori della denominazione, pur non presente nella classificazione dei grands crus del 1855 perché all’epoca non produceva Sauternes. Tuttavia la definizione ben si adatta al nuovo corso impresso allo storico Château da Alexandre per il futuro del Sauternes e delle prossime generazioni de Lur Saluces.
“A Château de Fargues, negli ultimi dieci anni, ho fatto ciò che era necessario per garantirne il futuro. Ho aumentato la superficie vitata (ndr: oggi 18 ettari che diventeranno 30 entro il 2030), ho ristrutturato la fortezza e realizzato una cantina completamente nuova. Ora ci vorranno altri dieci anni prima che tutto sia in linea. La sola cosa che manca sono gli amatori del Sauternes”. Il contesto è difficile per il Sauternes, come per tutti gli altri vini dolci. Il mercato è in flessione come pure le superfici: sui 2.200 ettari dell’appellation circa la metà è oggi destinata a vini bianchi secchi. D’altra parte “per produrre Sauternes bisogna essere davvero un po’ folli e pochi sanno quanto sia difficile” sottolinea Philippe, 44 anni, “apprendista” a Fargue accanto al padre Alexandre, che prende ancora le decisioni tra cui la più importante è la scelta di inizio della vendemmia.
“La vendemmia viene fatta a mano, acino per acino, in almeno tre momenti successivi - prosegue Philippe. Si ottiene un bicchiere di Sauternes da ogni ceppo e non una bottiglia come nel caso degli altri vini. È la “pourriture noble” (la muffa nobile) che penetra nell’acino maturo, digerisce e trasforma le sostanze nei succhi e provoca la perdita di acqua. È il processo che moltiplica ed esalta gli aromi che si ritrovano nel bicchiere. L’azione della Botrytis è positiva grazie al nostro microclima, con nebbie mattutine e vento secco, e ai terreni argillosi che trattengono l’acqua. Ci sono annate calde e secche, come per esempio la 2016 appena messa in commercio, in cui la pourriture noble non ha attaccato gli acini se non dopo il 30 settembre a seguito di un forte temporale. L’uva era matura con buccia sottile e abbiamo potuto vendemmiare in quattro passaggi a partire dal 4 ottobre, raccogliendo i 2/3 tra il 20 e il 25 ottobre. L’ampiezza della vendemmia, cioè il tempo che intercorre tra un passaggio di raccolta e un altro, si sente nel millesimo. Se la vendemmia è lunga, le uve delle singole raccolte sono molto differenti e i vini di grande complessità. Nel caso di “vendemmie ristrette” si ha maggior omogeneità che si traduce in caratteristiche spiccate. Questo è il caso della 2016 che è ricca, cremosa, con sentori di tarte tatin al limone con un tocco di verbena e in bocca estremamente elegante e persistente. Ciò che conta nel Sauternes non è solo l’equilibrio tra acidità e zuccheri, ma anche quella punta di amaro che però deve essere appena presente. Il processo di vinificazione è molto semplice, ma la nostra ambizione è quella di incantare i palati con un vino di eccezione: siamo l’ultimo Château a far maturare il vino 30 mesi in barriques e 6 mesi in bottiglia”.
La produzione media, nelle annate in cui il Sauternes di Château de Fargues viene prodotto e in cui non ci sono avversità particolari - nel 2011 i marciumi acidi diffusi dalla Drosofila hanno compromesso il 50% del raccolto - si aggira intorno alle 20.000 bottiglie. Nel 2013 monsieur Alexandre ha fissato un prezzo minimo (100 euro per la vendita ai professionali) con l’obiettivo di eliminare alcune incongruenze di posizionamento sul mercato. “Non si tratta di marketing - spiega a questo proposito Stéphane Papeil-Lalande, direttore commerciale e marketing - ma della possibilità di continuare a fare Sauternes senza cambiare il savoir faire che era di Yquem e oggi è di Château de Fargues e che garantisce l’autenticità e la massima qualità. Questo è il punto di forza della conduzione familiare in cui a decidere è una persona con l’esperienza di Alexandre de Lur Saluces. E non conosco molte altre proprietà con queste caratteristiche”.
“Sono molto stupito dalla mancanza di risposta del mercato - continua Alexandre - perché quando le persone assaggiano il Sauternes ne rimangono sedotte. A Yquem avevo visitatori che erano stupiti e manifestavano una grande vicinanza a questo vino. E se Yquem è l’icona del Sauternes, penso che Fargues stia diventando un altro prototipo. Dunque non dovrebbero esserci difficoltà se non la reticenza verso lo zucchero ritenuto nocivo per la salute e la dieta. Sono convinto che se, come abbiamo fatto qui in questa occasione, riusciremo a raccontare il nostro vino ai professionisti della distribuzione e ai media non ci saranno difficoltà. Per questo mi sto assumendo dei rischi che alcuni trovano eccessivi. L’eccezionale restauro della fortezza può essere molto utile a questo tipo di lavoro poiché possiamo ricevere studenti, professionisti, sommelier, ecc. Contiamo, dall’altra parte, su un’estensione di vigneto che ci permette di avere una quantità di vino importante. Sono certo di aver fatto un buon investimento”.
Nel Sauternais anche altre proprietà, come per esempio Château d’Arche e Château Lafaurie-Peyraguey, stanno investendo nell’hotellerie e nella ristorazione che richiamano turisti di livello. La situazione è dinamica, ma ci vorrà del tempo per consolidare un flusso enoturistico.
In passato Alexandre dice di aver valutato investimenti in Ungheria sul Tokaji, ma è stato scoraggiato dalla eterogeneità dei vini. “Il Sauternes è ben definito da una legislazione ben fatta - spiega - mentre il Tokaji mi sembra in difficoltà perché ciascuno ha la sua idea. Le teste pensanti che ho incontrato lì hanno concordato con me sulla necessità di rivedere la concezione del loro vino facendo un percorso a ritroso nel tempo per aumentarne la qualità. Ho detto loro che ci vorrà almeno una generazione e loro mi hanno risposto che ne servono almeno tre!”.
L’obiettivo principale di Château de Fargues è dunque la costruzione di un rapporto diretto e personale con distributori selezionati. “Ci stiamo muovendo in questo senso - conferma Stéphane Papeil-Lalande - in Europa, a partire dall’Italia, dove pensiamo di poterci ben inserire nell’altissima ristorazione in cui non sono presenti vini dolci promuovendo abbinamenti poco consueti. Solo successivamente agiremo sugli Stati Uniti e in Canada e poi in Giappone dove un tempo i consumi erano molto elevati”.
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