I numeri sono impietosi: secondo i dati di Indicam - Centromarca, lo scambio di merci contraffatte, nel 2016, è stato di 460 miliardi di euro nel mondo, di 221 miliardi in Ue e di 12,4 miliardi in Italia. Ed il made in Italy agroalimentare, come noto, è assai colpito dal falsi e “Italian sounding”: a fronte di 42 miliardi di euro di export, diverse fonti parlano di un giro d’affari di cibi e vini finto italiani che è di 100 miliardi di euro. Con un’economia illecita e scorretta che è il doppio di quella virtuosa. Fondamentale, in questo senso, intervenire su più fronti: accordi bilaterali con gli Stati che aiutino a tutelare l’origine dei prodotti autentici, la stretta su un sistema normativo che si limita a punire con sanzioni amministrative chi truffa, che economicamente spesso è un rischio calcolato, ma anche, o soprattutto, sulla comunicazione e sull’educazione dei consumatori del mondo al prodotto italiano originale, “che dobbiamo portare nei mercati che possono permetterselo, perché dobbiamo spiegare che il prodotto made in Italy vale di più perché la sua filiera rispetta l’ambiente con metodi di coltivazione e produzioni sempre più sostenibili e naturali, perché rispetta la dignità di chi lavora lungo la filiera, e perché garantisce una qualità eccellenze, oltre che una indiscutibile salubrità dei prodotti”. Parole del Ministro delle Politiche Agricole Teresa Bellanova, oggi a Roma, alla Camera dei Deputati, nell’appuntamento #IoStocolMadeinItaly, percorso voluto dal presidente della Commissione Agricoltura alla Camera dei Deputati Luca Gallinella, insieme al comunicatore e massmediologo Klaus Davi.
“Stiamo chiudendo la Manovra - ha detto la Bellanova - e stiamo combattendo per affrontare il tema della valorizzazione del made in Italy, e per dare un segnale a chi ha creduto che investire su questo patrimonio fatto di qualità, tradizione e territorialità, anche negli anni di crisi, fosse importante, in attesa di tempi migliori. Il made in Italy è un asset da valorizzare: siamo esportatori importanti, ma siamo anche molto copiati. Solo nel food esportiamo 42 miliardi di euro, siamo copiati per 100 miliardi di euro, questo ci dice che siamo bravi e amati ma che siamo derubati di tanta ricchezza, che vuol dire investimento nelle nostre imprese e lavoro. Dobbiamo intervenire sulla normativa, sugli strumenti, e dobbiamo contrastare la logica dei dazi e lavorare sulla comunicazione. I dazi sono sbagliati, noi vogliamo rispondere con una grande campagna di comunicazione: io voglio portare il Ministero delle Politiche Agricole in Usa, nei Paesi che si possono permettere il costo del made in Italy, e parlare di che cosa è la bontà del made in Italy. In Usa le nostre imprese stanno pagando un prezzo ingiusto per colpe che non hanno, io voglio andare a dire agli americani consumatori che i dazi penalizzano loro e la qualità che riconoscono al made in italy, per gusto e salute. Noi dobbiamo fare alleanze con il consumatore finale, dire che i dazi penalizzano lui, la qualità a cui ha diritto di accesso, al gusto gusto e salute. E dobbiamo investire anche sulla trasparenza: il cittadino deve sapere cosa mangia e beve, e questo passa dall’etichettatura, che deve dire dove è prodotta la materia prima, come è stata trasformata, confezionata e così via. Dobbiamo educare i consumatori con la comunicazione, e questo vale anche in Italia, dove dobbiamo spingere le persone a riflettere sul fatto che se certi prodotti costano troppo poco, è perché il risparmio si scarica sul lavoratore, sull’imprenditore che chiude, sulla salute. È un lavoro importante da fare”.
Tanti gli spunti su cui riflettere: dalla revisione del sistema normativo e sanzionatorio per chi truffa, come ricordato tra gli altri da Massimo Gargano, dg Anbi e da Giuseppe Labbate, Sottosegretario alle Politiche Agricole, alla comunicazione nel mondo, come sottolineato da Anna Flavia Pascarelli, Dirigente Ufficio Agroalimentare Ice Agenzia, ma serve anche più chiarezza in etichetta, come ricordato dalla “signora della grappa” Gianola Nonino (che ha ricevuto il riconoscimento “Donne per il made in Italy” insieme a Chiara Lungarotti, alla guida del Gruppo Lungarotti, tra i leader del vino dell’Umbria, a Maura Latini, ad Coop Italia, e ancora ad Alessia Zucchi, ceo di Oleificio Zucchi, Barbara De Rigo, direttore marketing di De Rigo Vision, Rossella Liberti, cofondatrice di Picogrammo - Gruppo Liberti e Valentina Mercati, vicepresidente del Gruppo Aboca), che ha detto la sua ricetta: “in etichetta servono tre cose: il nome del produttore, l’origine della materia prima, il metodo di trasformazione, e questo vale tanto che si parli di grappa, olio, vino e tutto il resto, perché il consumatore ha il diritto di essere informato, e chi lavora sulla qualità il diritto di essere tutelato da chi fa il furbo”.
“Non c’è da inventare niente - ha aggiunto Stefano Zanette, presidente del Consorzio del Prosecco e vice presidente Federdoc - non servono altre sovrapposizioni, serve che quello che già esiste funzioni e venga attivato. Non ci servono altre etichette o immagini che ci distinguono come made in Italy. Serve una lotta efficace alla contraffazione, serve più forza ai consorzi che possono rappresentare tanto le piccole che le grande aziende. Una debolezza, per i nostro settore, è che abbiamo oltre 520 Dop del vino, una ricchezza nazionale da un lato, ma tante, anche per volumi, non sono in grado di mantenere Consorzi efficienti: serve aggregazione e razionalizzazione, perché i Consorzi hanno bisogno di farsi sentire nel mondo. Un dovere della politica è far collaborare i vari Ministeri interessati dal settore, spesso ci sono difficoltà di comunicazione diretta. Dobbiamo contrastare quasi quotidianamente la registrazione di marchi, tanto in Italia che all’estero, concesse a tutti. Forse servirebbe un registro che dica a prescindere chi può o non può registrare il nome di una denominazione, vorrebbe dire risparmiare tempi energie e costi”.
Una linea su cui si schiera anche Carlotta Gori, direttore del Consorzio del Chianti Classico: “spesso è difficile proteggere le nostre Denominazioni dal punto di vista del marchio, anche a livello nazionale. I nomi delle denominazioni sono nomi di territorio, prima che di prodotti, gli uffici marchi non hanno chiaro questo legame, serve più tutela. Dovrebbero esistere meccanismi automatici che semplifichino le cose, il dispendio di risorse, umane ed economiche, su questo aspetto, è enorme”.
“C’è un legame strettissimo tra i prodotti agroalimentari ed territorio che li produce, è un elemento fondamentale per tutto, non solo per le Dop, ed è un concetto che si fa strada anche al di fuori del nostro Paese, cosa che pochi anni fa era impensabile - ha sottolineato dal canto suo Cesare Baldrigi, alla guida di Origin Italia (e del Consorzio del Grana Padano), che riunisce oltre il 90% dei Consorzi del food italiano - e lo stesso regolamento Ue del 1991 non fa solo riferimento ai prodotti per caratteristiche organolettiche, per origine delle materie prime e così via, ma dice che la Dop è riconosciuta ai prodotti le cui ricadute economiche e sociali sono importanti per il territorio in cui insistono. Ed è un aspetto fondamentale. Il ruolo dei Consorzi è fondamentale, ed è possibile trovare obiettivi comuni a realtà più grandi e più piccole, a chi produce prodotti trasformati come formaggi e salumi, per esempio, e a chi prodotti vegetali Dop. Per esempio, è fondamentale continuare a lavorare agli accordi bilaterali con i Paesi in cui esportiamo: quelli messi in atto hanno portato al riconoscimento di tante denominazioni in tanti mercati, ma soprattutto sono venute meno tante barriere doganali, sanitarie e fiscali che diventavano un ostacolo enorme alle esportazioni, e avere sgombrato alcuni mercati da questo ci ha aperto tanto spazio: dobbiamo continuare su questo percorso”.
“Il progetto #IoStoconilmadeItaly è percorso che continua - ha tirato le somme il presidente della Commissione Agricoltura alla Camera dei Deputati, Luca Gallinella - abbiamo affrontato tanti temi, da quello che è il concetto di Made in Italy, che non è solo materia prima, ma anche know how e tecnologia; abbiamo parlato di contraffazione, che spesso diventa “evocazione”, e combatterla fuori dall’Ue non è facile; abbiamo parlato di normative che vanno innovate, perché ancora molto è basato sul Codice Rocco; abbiamo parlato di dogane, di accordi commerciali che sono importanti ma che comportano tante considerazioni sul rispetto dei diritti, dell’ambiente con partner che a volte non rispettano i nostri stessi standard. Tutti spunti su cui vogliamo continuare a lavorare, a supporto del made in Italy”.
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