Da questa mattina, l’Italia è tutta “zona rossa” per contenere il Coronavirus. Nondimeno, come è ovvio, le merci, soprattutto quelle alimentari, continueranno a circolare liberamente. Valeva ieri per la Lombardia (la più colpita dal Coronavirus, e che sta pensando di chiudere tutte le attività ad accezioni di generi alimentari e farmacie, ndr) e per le provincie che erano zona rossa, vale tanto di più oggi che lo è tutto il Paese: “l’attività degli operatori addetti al trasporto è un’esigenza lavorativa: il personale che conduce i mezzi di trasporto può entrare ed uscire dai territori interessati e spostarsi all’interno di essi, limitatamente all’esigenza di consegna o prelievo degli stessi prodotti”, aveva sottolineato il Ministero delle Politiche Agricole. Di fame, insomma, non si soffrirà (ingiustificabili gli assalti in massa ai supermercati), e per di più, ovviamente, come ribadito molte volte, le merci non sono portatrici del Coronavirus. Eppure, tra decreti che si susseguono, poca chiarezza, ma anche disonestà e speculazione da parte di alcuni, tutto il mondo del commercio soffre, sia per cause reali e dirette, che per motivi surreali. Come le richieste di presunti certificati di “salubrità” delle merci che produttori di cibo e vino stanno ricevendo da operatori stranieri ed italiani. Cosa che costringe le istituzioni sanitarie e politiche a ribadire che “non c’è necessità di avere un marchio “virus free”, perchè non è che i nostri prodotti sono diversi da prima, non c’è il contagio, attraverso, ad esempio, il vino”, come ricordato il Ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli.
“Da questo punto di vista c’è il Ministro degli Esteri Di Maio - ha aggiunto Patuanelli - che sta facendo un lavoro immenso di diplomazia economica con gli ambasciatori di tutti i Paesi, con una campagna informativa mirata. È un percorso che non sarà facile, la questione del made in Italy per noi è fondamentale, certamente viene intaccata da quello che stiamo vivendo, anche per una volontà o incapacità dall’estero di narrare le cose con verità”, ha aggiunto. Anche per questo, il Ministero degli Esteri sta varando con le imprese il Piano Straordinario per il Made in Italy, che dovrebbe essere molto incentrato sulla comunicazione, a tutela anche di un export agroalimentare che vale oltre 44 miliardi di euro, e che sarà fondamentale per la ripartenza, finita l’emergenza. Sul piatto ci sono 716 milioni di euro, di cui 316 milioni di Fondi Ice e 400 milioni euro in pancia a Sace-Simest per il rifinanziamento del Fondo rotativo 394 per l’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese. Intanto, la stessa Ice ha fatto sapere che, per sostenere le aziende che partecipano alle sue iniziative promozionali, di concerto con il Ministro degli Affari Esteri, ha previsto che vengano annullate le quote già fatturate dall’Ice alle aziende per la partecipazione alle iniziative promozionali (fiere estere, seminari, mostre autonome, workshop) con svolgimento a partire dal 1 febbraio 2020, in qualsiasi parte del mondo (fino a 6.000 euro per azienda per il settore agroalimentare).
Il nuovo decreto di ieri, però, estendendo le norme da zona rossa a tutta Italia, significa anche che da oggi tutti i ristoranti ed i bar d’Italia devono rispettare le restrizioni di accesso (l’indicazione è mantenere 1 metro di distanza tra ogni persona), e chiudere alle ore 18, dalla Val d’Aosta alla Sicilia.
Una situazione di grande difficoltà, che colpisce la ristorazione ad ogni livello, che reagisce come può. E con delle iniziative che diventano simboli importanti di un racconto che nessuno avrebbe voluto scrivere. C’è chi serra i battenti, per esempio, e dopo l’annuncio di Massimo Bottura della chiusura (fino al 3 aprile) di Osteria Francescana, Franceschetta e Casa Maria Luigia, anche Enrico Crippa, chef del tristellato Piazza Duomo di Alba, ha comunicato la sospensione dell’attività, per ora dal 10 a 23 marzo, a tutela di clienti e personale (mentre a Milano il “Comitato ristoratori responsabili”, primi tre firmatari Peck, Trippa e Ratanà, chiedono alle istituzioni la chiusura di tutti gli esercizi, perchè nei ristoranti per la natura del servizio offerto è “praticamente impossibile” far rispettare la richiesta di mantenere un metro di distanza interpersonale, così come è “ineliminabile” qualche forma di “promiscuità tra clienti e tra cliente e personale di servizio”). C’è chi si organizza con l’asporto, come stanno facendo tanti ristoranti d’Italia, e ora anche un altro dei big dell’alta cucina, come il tristellato Da Vittorio di Brusaporto, della famiglia Cerea, che, da oggi, “in queste settimane che richiedono responsabilità e senso civico da parte di tutti, propone una soluzione per non rinunciare alla qualità”, ovvero tre menu gourmand da ordinare al telefono o via mail, che saranno poi recapitati a domicilio. Resta il fatto che è tutto il settore a soffrire: secondo un’indagine della Fipe, il 92% dei locali dichiara ripercussioni negative: a pesare sono principalmente le cancellazioni di prenotazioni storiche (63,7%), segue la riduzione di quelle giornaliere (33,5%) e, da ultimo, si registra un minor flusso di persone in circolazione. A mancare sono i turisti ma sempre di più la clientela locale. Il risultato: una perdita di fatturato di oltre il 30% per il 57% dei ristoratori e tra il 10%-30% per tre imprenditori su dieci. In media la flessione raggiunge il 30%. Per il prossimo futuro le aspettative non sono ottimistiche, neanche i vista della Pasqua. Il risvolto positivo della medaglia, però, potrebbe essere l’estensione a livello nazionale delle misure di sostegno già previste per le attività nelle ex zone rosse, tra cui, ricorda la Fipe, la sospensione dei termini per gli adempimenti e ai versamenti dei contributi previdenziali e assistenziali, la possibilità di accesso agevolato per termini e procedure al Fondo di Integrazione Salariale in caso di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa, la Cassa Integrazione in deroga e così via, mentre il decreto stesso caldeggia imprese e dipendenti all’utilizzo di ferie e permessi per contenere i danni (oltre allo smart working).
Ma c’è anche chi, tra le organizzazioni di categoria, caldeggia alle istituzioni nazionali e locali altri strumenti da mettere in campo, come una mediazione pubblica in una trattativa con i proprietari dei fondi per sospendere il pagamento degli affitti, e l’eliminazione degli oneri bancari, e la sospensioni delle rate di mutui e prestiti. Una misura che, peraltro, il Governo sta ipotizzando sia per i mutui delle aziende che per le famiglie, così come si ipotizza, se si troveranno le risorse per il deficit (oggi si parla di 10 miliardi) una sospensione massiccia dei pagamenti per tutti i tributi e anche per le bollette e le utenze. Tutte ipotesi. La certezza è che, quando sarà passata l’emergenza, servirà uno sforzo enorme da parte di tutti, cittadini, imprese ed istituzioni, nazionali ed europee, per risollevare il Paese e tornare, il prima possibile, alla normalità.
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