È un momento difficilissimo delle nostre vite: questi giorni costretti a casa ci hanno dato ansia e insicurezza, ma ci vuole speranza. Anche nel mondo del vino, aspettando che la produzione torni alla normalità o quasi, così come il mercato, il suo racconto, e, soprattutto, che si torni a berlo insieme nei suoi luoghi di consumo. “Quando il virus ci ha colpito - sottolinea, a WineNews, Monica Larner, corrispondente dall’Italia per The Wine Advocate, e tra le voci più autorevoli della critica enoica mondiale - è come se il tempo si fosse fermato, e con esso la nostra normalità e il nostro mondo. Ma non c’è posto migliore dove passare la quarantena che in vigna. Noi che lavoriamo nel mondo del vino, abbiamo una marcia in più e siamo molto fortunati. Sarei dovuta tornare in Italia, ma il mio volo è stato cancellato. È stato un caso, e forse proprio quella fortuna: sono a casa con la mia famiglia, in Usa, in piena campagna, vivendo un’esperienza che non avrei vissuto in tutti questi anni passati di corsa, e ogni giorno vado in vigna con la macchina fotografica per documentare le fasi della vite, dal germogliamento alla fioritura, in un’esplosione di natura che commuove. Senza le distrazioni della vita quotidiana, c’è un ritorno all’istinto, che ci porta a cucinare, a fare il pane, e ci è stato dato del tempo in regalo per riflettere, che mi ha portato alla conclusione di non voler tornare alla normalità di prima senza cambiarla. Il Coronavirus ci ha portato tristezza e dolore, ma anche un’opportunità di migliorarci. E l’aspetto più curioso è che la natura ci sta prendendo in giro, perché quando vediamo le meduse nella laguna di Venezia o l’erba che cresce in Piazza Navona a Roma, siamo sicuri che ride alle nostre spalle”.
Un rispetto ritrovato per la natura, e, dunque, per il cibo, per il vino e per le loro produzioni, che ha rimesso al centro l’agricoltura e il “siamo quello che mangiamo”: “il mondo del vino ha vissuto la fillossera, un’esperienza per certi aspetti paragonabile - sostiene Larner - quando è arrivata in Europa a fine Ottocento quasi tutti i vigneti furono distrutti da una malattia misteriosa che colpiva in modo virulento le radici delle piante e si riproduceva con una velocità spaventosa infettando i vigneti accanto. Un piccolissimo insetto, trasportato dagli Stati Uniti su navi di materiale botanico, che ha contagiato i vigneti di Francia, passando per Australia, Nuova Zelanda, Sudafrica, Cile, Argentina, ed è ritornato negli Stati Uniti dove era stata piantata la vitis vinifera, specie molto vulnerabile alla malattia. La fillossera ha fatto il giro del mondo, creando disagi politici, culturali ed economici, e tutto il mondo del vino rischiava il collasso. Oggi abbiamo una nuova malattia che colpisce gli umani, inibendo il nostro sistema respiratorio e la possibilità di respirare ossigeno, e sotto questo aspetto non è molto diversa dalla fillossera che impedisce alla pianta di assorbire l’anidride carbonica. Dopo più di cento anni con il Coronavirus corriamo il rischio del blocco della produzione, per la difficoltà di trovare chi lavora nei campi, chi farà i lavori in estate, e poi la vendemmia, i canali di distribuzione sono quasi fermi, la ristorazione sta vivendo una crisi forse anche peggiore di quella del vino, e c’è un distacco totale dal consumatore, anche per la mancanza della vendita diretta. Ma credo ci siano lezioni da imparare dalla fillossera: per prima cosa dopo la qualità del vino è cambiata tantissimo, c’è stata una grande voglia di impiantare vigneti in Europa e quasi subito, nel 1937, la Francia ha adottato il Systeme de appellation d’origine contrôlée, che più tardi ha portato anche in Italia alla nascita delle Doc e alla regolamentazione dei controlli e dei luoghi di produzione, con grandissimi benefici non solo per il consumatore ma anche per i produttori. Ma, forse, la lezione più importante - secondo Monica Larner - è stato un nuovo modo di apprezzare la nostra biodiversità, imparando dalla fillossera le conseguenze biologiche della globalizzazione. La terza, è stata la collaborazione tra scienza, politica ed agricoltura nel creare nuovi sistemi di controllo e di governance. Insomma, dalla fillossera il vino ne è uscito meglio, al gusto, più longevo, più costoso, di pregio e da collezione, e ho la grande speranza che, come in passato, dopo il Coronavirus anche il nostro mondo del vino può migliorarsi”.
Ma di fronte alla crisi italiana e mondiale del settore, la ripartenza incerta dell’horeca e dei luoghi dove la convivialità alimenta il consumo, così come del turismo, con le limitazioni di movimento che dureranno, forse, fino a che non ci sarà un vaccino, è ancora troppo presto per capire cosa succederà. “La natura ripara quello che distrugge ha scritto la scrittrice George Eliot - ricorda la celebre critica - ma una cosa è chiara: dobbiamo rivedere i nostri canali di distribuzione, vendita diretta, gdo, ristorazione, quasi tutti colpevoli di appoggiarsi su di un unico sistema e non su altri, mentre in futuro dovremo bilanciarci”.
Possibile, invece, immaginare quale sarà il futuro della critica enologica? “La convivialità e il contatto umano sono essenziali per raccontare un vino - sottolinea l’autorevole critica - non credo molto nella degustazione virtuale e non credo che questo sarà il futuro della comunicazione del vino. Anzi credo l’opposto: una volta superato il fascino social della novità, torneremo con i piedi per terra, letteralmente e fisicamente, nella polvere del vigneto, con il produttore davanti al panaroma della sua cantina per raccontare il vino. Potrà essere un di più, ma al cuore rimane il contatto fisico, e per il vino in particolare, che va raccontato con le persone di fronte, davanti ad un bicchiere e un sorriso. Insomma, il vino senza un cin cin è solo una bevanda”. Impossibile, quindi, fare a meno del nostro lavoro di degustatori e di narratori, anche agli eventi e alle fiere. “La graduatoria di una degustazione rimane sempre la stessa - dice Larner - al primo posto c’è la tua degustazione nella cantina e tra i vigneti del produttore, al secondo posto la fiera, il seminario o la masterclass dove sei presente con il produttore ma lontano dalla sua azienda, all’ultimo posto c’è il webinar online dove nessuno dei due è presente, e in tanti casi non c’è neppure il vino, e l’esperienza è ... deludente, completamente vuota”.
L’Italia è sicuramente uno dei Paesi più colpiti dal Covid-19, “e posso dire con sicurezza che il mondo ha sofferto tantissimo in quei giorni in cui si è capita la gravità della situazione”, ma quando la vita riprenderà il suo cammino normale - o comunque più normale di adesso - ci auguriamo che tornerà protagonista, come sempre ha fatto nella sua storia, esportando la sua bellezza, fatta di arte, cultura, scienza, e anche di cibo e vino. Ma l’Italia del vino, conclude la firma di una delle più prestigiose newsletter di critica enoica internazionale, “saprà trarre vantaggio anche dallo stare a casa, nelle nostre città e regioni, dal poter comprare una bottiglia da un produttore o in un negozio vicino. Il Covid-19 ci insegna a cercare le cose importanti vicino a noi, apprezzando la biodiversità come dopo la fillossera, e, a me personalmente, che non c’è posto più bello al mondo che stare nella natura e vivere in un vigneto”.
Le 10 grandi bottiglie per il dopo-emergenza di Monica Larner (con dedica)
1. Tolaini, Picconero Tenuta Montebello dedicato a Pierluigi Tolaini
2. Cantina del Pino, Barbaresco Ovello dedicato a Renato Vacca
3. Pieropan, Soave Classico Calvarino dedicato a Leonildo Pieropan
4. Giuseppe Rinaldi, Barolo Brunate dedicato a Beppe Rinaldi
5. Fico Wine, Fico dedicato a Filippo Corsini
6. Gianfranco Soldera Casebasse, Brunello di Montalcino dedicato a Gianfranco Soldera
7. Castello Banfi, Brunello di Montalcino Poggio alle Mura dedicato a Rudy Buratti
8. Bruno Giacosa, Barbaresco Asili Riserva dedicato a Bruno Giacosa
9. Donnafugata, Mille e una Notte dedicato a Giacomo Rallo
10. Domenico Clerico, Barolo Ciabot Mentin dedicato a Domenico Clerico
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