Il Coronavirus ha fatto riemergere la strategicità del settore agroalimentare: i consumi di cibo e bevande sono stati e continuano a essere tra i pochi che hanno segnato delle variazioni positive, dimostrandosi anticiclici sulle altre filiere. Mentre sono andate a picco le vendite dei beni non alimentari (-22% in valore nel primo quadrimestre sullo stesso periodo del 2019 e addirittura -52% solo ad aprile), quelle di cibo hanno registrato un aumento, rispettivamente, del +5% sui primi quattro mesi del 2019 e del +6% ad aprile 2020. In particolare, nel periodo più caldo dell’emergenza, ovvero tra il 17 febbraio e il 24 maggio 2020, le vendite alimentari nella Grande Distribuzione sono cresciute del 13%, trainate da prodotti base della filiera agroalimentare Made in Italy: gli acquisti di farine, lieviti, latte e uova, in quarantena, si sono impennate del 42% (sullo stesso periodo del 2019) e dopo che nel 2019 segnavano un -0,8%. La pasta (+17%), l’ortofrutta (+15%) e il vino (+11%) sono gli altri prodotti che hanno guadagnato una crescita annua importante. A fare il punto, oggi, è Cia - Agricoltori Italiani, con un Report ad hoc, elaborato da Nomisma, su “Il ruolo economico e produttivo dell’agroalimentare italiano in tempo di Covid-19 e scenari di lungo periodo”, dedicato al progetto “Il Paese che Vogliamo”.
Lo studio racconta i valori alla base delle scelte di acquisto di food & beverage, individuano i fattori influenti e tracciano possibili scenari: ne emerge un cittadino che esce dalla crisi pandemica più attento al Made in Italy (26%), alla tutela dell’ambiente (22%), alle tipicità del territorio (16%), alla salute (15%) e alla convenienza (14%). Guardando in prospettiva, da qui ai prossimi 30 anni, una popolazione italiana più vecchia porterà a una diminuzione dei consumi vicina al 10%. Per sopravvivere al calo della domanda interna, servirà competenza nell’export e nuovi assetti aziendali per produzioni realmente più orientate al consumatore.
Il lockdown e, quindi, il blocco degli spostamenti in Italia e verso l’esterno, insieme allo stop delle attività non essenziali, decisi dal governo per contenere la diffusione del virus, ha consolidato alcuni valori alla base degli acquisti di prodotti alimentari italiani che possono garantire e rassicurare il consumatore per via della loro sicurezza e qualità. Allo stesso tempo, la riscoperta dei negozi di vicinato e la volontà di supportare la produzione nazionale e locale, ha portato le famiglie a concentrare l’attenzione su prodotti Made in Italy e sull’acquisto nei mercati agricoli. Il 22% ha incrementato gli acquisti in queste due categorie. Una parte dei consumatori ha basato le scelte dei prodotti alimentari da mettere a tavola, proprio sul principio della sostenibilità, preferendo cibi prodotti con metodi a basso impatto ambientale (20% degli italiani); il 49%, invece, ha scelto i prodotti da mettere nel carrello sulla base dei benefici che apportano al benessere e alla salute. In particolare, il timore di contatti e assembramenti, unito alla necessità di uscire e spostarsi il meno possibile, ha portato gli italiani a privilegiare, più di prima, i negozi di vicinato che hanno visto un incremento delle vendite del +5% dal 4 maggio al 21 giugno, rispetto allo stesso periodo del 2019. Con la fine dell’emergenza, però, il momento di gloria di questo format, sembra stia “sfumando”. I dati dal 15 al 21 giugno, mostrano un calo del 5% delle vendite a valore.
Le vendite online hanno visto una crescita senza precedenti: +120% da gennaio al 21 giugno e +160% solo nel post lockdown (dal 4 maggio al 21 giugno). Ma il boom dell’e-commerce non è riuscito a compensare la chiusura dell’Horeca (hotel, ristoranti, caffè). Lo stop imposto al “fuori casa” (bar, ristoranti, alberghi e agriturismi) ha avuto ricadute negative anche sull’agroalimentare nazionale con perdite di almeno 2 miliardi. In più, la chiusura del canale Horeca, in Italia e nel mondo, ha giocato sicuramente un ruolo di primo piano nel determinare il calo dell’export (-1% ad aprile) e della produzione industriale nel settore alimentare (-8,1%). In Italia, circa un terzo dei consumi alimentari viene realizzato fuori casa, in media con i valori dell’Ue (34%), ma inferiore a quelli di alcuni importanti mercati come Spagna (49%), Stati Uniti (45%), Regno Unito (45%) e Cina (40%).
Sempre con il lockdown, la ricerca della territorialità e dei prodotti locali è diventata centrale nella spesa degli italiani: per circa 6 consumatori su 10, infatti, è importante che i prodotti alimentari da mettere nel carrello siano a km zero. Per il 62% è altrettanto cruciale che un prodotto alimentare sia “tipico/legato a una specifica zona” e per il 58% che sia “fatto da piccole aziende del territorio”. Durante la quarantena, ha acquistato valore per il 47% dei consumatori fare la spesa “solidale (legata a iniziative benefiche) e per il 36% poter usufruire della “consegna a domicilio”.
In un contesto in cui l’e-commerce dei prodotti alimentari è destinato a crescere (il 95% degli italiani crede che l’acquisto web di prodotti alimentari aumenterà nei prossimi anni), il canale online avrà un ruolo centrale nello sviluppo del mercato tipico/locale: il 92% degli italiani crede che questa sia, infatti, la modalità più utile per poter acquistare i prodotti alimentari dei piccoli produttori, specie quando si parla di piccole realtà situate in zone interne e difficili da raggiungere, come le aree appenniniche.
Al di là degli impatti generati dal lockdown e dai cambiamenti che ne deriveranno in maniera strutturale, non bisogna dimenticare alcuni fattori che nel lungo e lunghissimo periodo, saranno ineludibili, con rilevanti ripercussioni sul sistema agroalimentare italiano. Tra questi, figura, infatti, l’invecchiamento della popolazione italiana che, misurata sul totale di quella maggiorenne (over 18 anni) passerà da un 26% attuale al 38% nel 2050.
Al fine di comprendere in particolare gli effetti della “senilizzazione” e andando a indagare le abitudini alimentari per fascia di età, sia a livello attuale che previsionale, chiedendo agli stessi una previsione di lunghissimo periodo in termini di percezione sulle proprie modalità e preferenze di consumo, Nomisma ha realizzato una survey originale per Cia-Agricoltori Italiani su un campione di 1.500 consumatori italiani, stratificati per età, genere e localizzazione.
Da questo punto di vista, i consumatori italiani prevedono che tra 10 anni aumenteranno i consumi di verdura (49%), frutta (47%) e olio extravergine di oliva (6%), mentre diminuiranno quelli di pasta (-23%), carne (-32%) e salumi (-45%). Nel 2050, gli stessi consumatori italiani prevedono di aumentare ulteriormente il consumo di prodotti biologici (44%), rich-in (34%), carne bianca (19%) e anche di Parmigiano Reggiano (8%), mentre il saldo tra chi dichiara che aumenterà/diminuirà i consumi di vino e carne rossa appare negativo (rispettivamente -22% e -45%).
Oltre all’evoluzione della popolazione per fasce di età, le variabili che concorreranno a definire il modello di consumo futuro, sono molteplici e tra queste si segnala: la presenza di stranieri (aumentata nell’ultimo decennio di circa il 30%) e che, oggi, rappresenta il 9% di tutta la popolazione residente in Italia; i cambiamenti che intervengono nelle abitudini alimentari degli italiani, a seguito degli stili di vita e delle condizioni lavorative. A questo proposito, si pensi a quanto accaduto con la pandemia e alle nuove modalità di lavoro, attuate per ridurre il contagio (il numero di lavoratori in smartworking/telelavoro è passato da 300.000 a 1,2 milioni nel primo semestre di quest’anno); l’evoluzione dei redditi e le relative differenze di approccio all’acquisto/consumo. Se nel carrello dei consumatori con redditi alti non mancano frutta secca e vino (rispettivamente il 56% e il 55% li acquista regolarmente vs 48% e 47% di chi ha redditi medio-bassi), i redditi medio-bassi ricercano, soprattutto, uova e ingredienti come farine o burro (rispettivamente 82% e 77% li acquista regolarmente contro il 79% e il 74% dei redditi alti). Differenze non solo nei prodotti, ma anche negli attributi ricercati: i consumatori con redditi alti sono più attenti degli altri al Made in Italy, alla marca industriale, alla certificazione biologica e ai cibi light.
Tenendo conto delle indicazioni emerse, delle attuali modalità e quantità di consumi degli italiani per principale categoria di prodotti e fascia di età e andando ad applicarli sulla struttura della popolazione italiana al 2050, è stato realizzato un modello di impatto grazie al quale sono stati identificati tre possibili scenari di evoluzione dei consumi alimentari. Questi scenari mettono in luce come, soprattutto per alcuni beni di consumo, nei prossimi trent’anni una popolazione italiana più vecchia consumerà volumi di prodotti alimentari inferiori a livello complessivo. Ad esempio, nello scenario peggiore, per latte, vino, carni e salumi, si prospetta una diminuzione dei consumi - legata all’invecchiamento - prossima al 10%. Comprendere come fenomeni di questo tipo, possano influenzare la domanda e, quindi, il business delle imprese agricole, è fondamentale per prepararsi e anticipare i cambiamenti. Come già avvenuto in passato, a fronte di un calo della domanda interna, la sopravvivenza delle imprese passa dalla capacità di rivolgersi al mercato estero, di modificare l’assetto aziendale orientandosi a colture più vicine al consumatore, di sviluppare nicchie di prodotto in grado di incontrare la richiesta di specifici segmenti di consumo.
Il Coronavirus - tra le altre cose - ha riportato l’attenzione sulla rilevanza strategica dell’agroalimentare per il nostro Paese, ha accelerato la diffusione dell’utilizzo del digitale e ha consolidato trend di consumo orientati a Made in Italy, local, sostenibilità e salute. Questi cambiamenti si innestano su un’evoluzione di lungo periodo (cambiamenti demografici, socioeconomici, climatici, etc) che modificheranno gli assetti produttivi della nostra agricoltura e che vanno monitorati con attenzione per comprendere e anticipare i cambiamenti.
Queste modifiche non condurranno, infatti, ad un unico “modello” di agricoltura italiana, ma per assicurare una sostenibilità economica anche alle imprese situate in aree marginali, occorrono interventi infrastrutturali (in particolare sul digitale) e organizzativi (reti di imprese e di sistema) in grado di cogliere opportunità di mercato che altrimenti andrebbero perse (si pensi a export o turismo) e che possono essere individuate anche in uno scenario di “crisi” e in continua evoluzione come quello attuale. Non si tratta, infatti, di supportare imprese “marginali”, ma di garantire la tenuta e la salvaguardia di interi territori del Paese, attraverso l’unica attività, quella agricola, che ancora può farlo, garantendo a monte pari condizioni competitive.
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