La realtà evidente che dice della grave difficoltà che sta passando il vino italiano, come del resto ogni altro settore economico, la consapevolezza che per ripartire, oltre ad un miglioramento reale, nel mondo, della situazione legata alla pandemia, serve un cambio di passo, anche mentale. Prendendo anche quanto di buono questi mesi drammatici, hanno lasciato: la certezza che il vino è un piacere a cui non si rinuncia, ed a cui non si è rinunciato neanche in pieno lockdown, l’accelerazione sulla digitalizzazione, con strumenti come webinar e degustazioni virtuali che, pur non potendo e non dovendo sostituire l’elemento conviviale che è centrale nel mondo del vino, potranno semplificare la vita ai produttori, magari risparmiando tempo e denaro limitando qualche viaggio, e non solo. Lavorando da subito, magari, sulle tante criticità, anche strutturali - dalla burocrazia monstre alla concentrazione in pochi canali e mercati - che la pandemia ha evidenziato. Sapendo che, però, il 2020, salvo miracoli, per il vino italiano si chiuderà con una perdita di fatturato, in media, del -30% (contro una media del food & beverage tra il -3% ed il -6%). È il quadro che emerge dal webinar “The Italian Way”, firmato da Unicredit e Federvini, che ha messo attorno ad un tavolo virtuale, tra gli altri, produttori di primo livello del panorama italiano, come Sandro Boscaini alla guida di Masi Agricola, griffe dell’Amarone e non solo (e presidente Federvini), due grandi nomi del Barolo come Paolo Damilano (Damilano) e Gianni Gagliardo (Poderi Gianni Gagliardo), e ancora Camilla Lunelli, ai vertici del Gruppo Lunelli e della realtà n. 1 del Trentodoc Ferrari, ed Alessio Planeta, guida di una delle più importanti cantine di Sicilia e presidente Assovini.
“La crisi ha fatto male al settore del vino, basta guardare alle perdite nell’export e nell’horeca - ha sottolineato Andrea Casini, Co-CEO Commercial Banking Italy UniCredit - ma ha anche accelerato la digitalizzazione, come racconta il boom dell’e-commerce ma non solo. Ma si deve partire dalle nuove abitudini dei consumatori. La multicanalità sarà fondamentale”.
“Poche eccellenze come il vino raccontano il made in Italy nel mondo, è un testimone dei nostri territori, delle loro bellezze e delle nostre genti. Quello che in questa situazione ci preoccupa di più - ha detto Boscaini - è la lunghezza dei tempi, di quanto tutto questo durerà. Oggi siamo a -25/30% di calo dei fatturati, e l’anno si chiuderà così. Chi lavora prevalentemente con Gdo ancora va benino, anche se l’euforia dell’acquisto da lockdown è finita e ora si comprano prodotti di prezzo più basso. Chi è sbilanciato sull’horeca e sui fine wine, invece, ha sofferto di più. Le riaperture vanno a rilento, soprattutto nelle città di turismo come Roma, Firenze, Verona, Venezia. Molti hotel sono ancora chiusi, sono ferme anche navi da crociera oltre che a tutto il travel retail, e non è facile recuperare le perdite. Cosa chiediamo? Di risolvere quanto prima la crisi di liquidità, se manca blocca tutti, dal dettagliante al distributore al produttore, e su questo il Governo non ha fatto molto, ma poi c’è anche l’irritazione legata a tanta burocrazia inutile che non serve a niente, e servono interventi decisi. Altro aspetto che sarà fondamentale - sottolinea Boscaini - sarà la promozione, sì del sistema Paese, per dare smalto e concretezza all’immagine dell’Italia del made in Italy tutto, e poi del sistema vitivinicolo e degli spirits, innanzitutto per mettere in sicurezza le quote di mercato. Abbiamo una distribuzione fragile nel mondo, perchè siamo tante piccole e medie imprese, e non abbiamo 200 anni di storia nei mercati come i francesi, ma una storia fatta di grande fatica ed entusiasmo negli ultimi 40 anni, in cui abbiamo conquistato posizioni importanti che vanno ora difese, per poi tornare a crescere. Ma dobbiamo anche comunicare l’Italia come meta sicura e che rispetta le norme, perché senza turismo si soffre, chi viene in Italia si innamora e poi beve il nostro vino a casa sua. E se non c’è turismo non gira l’Horeca, dove si muove il 45% dei valori del vino, e non c’è poi riacquisto nei Paesi di origine dei turisti”. Una stoccata anche sulle misure per ridurre la produzione di vino e non creare eccessi di produzione: “non ci piace che i 50 milioni di euro per finanziare la distillazione siano stati tolti dai fondi Ocm e dalla promozione. Capisco che si ragioni di smaltire prodotto in questa fase di emergenza, ma dico a tutti: noi siamo produttori, non produciamo per distruggere prodotto, ma per allargare i mercati in cui vendere quello che produciamo. Da qui si deve ripartire”.
Ma anche da un modello di business che dovrà sempre più fare i conti con la diversificazione di canali e di mercati, come evidenziato dallo studio presentato da Luigia Mirella Campagna, Industry Expert UniCredit: “dal 2007 ad oggi la propensione all’export delle imprese italiane è cresciuta dal 39% al 55% in valore, ed è un aspetto notevole. Ma ancora oggi oltre il 50% delle esportazioni sono concentrati in soli tre mercati, Usa, Germania e Uk, che tra l’altro sono anche Paesi tra i più in difficoltà per il Covid. E anche sul mercato interno, la diversificazione dei canali sarà sempre più importante: oggi il 45% dei valore viaggia in Horeca, il 37% in gdo, solo il 2% nella vendita diretta, per esempio. Aspetti che andranno rivisti per il futuro. E c’è un altro dato che emerge chiaro, e che deve far riflettere: le imprese più grandi sono più attrezzate anche per far fronte alla crisi di liquidità, i più piccoli sono quelli più in difficoltà. Per far ripartire le cose, è necessario sostenere l’anello più debole della catena di filiera, che in questo momento è la ristorazione”.
A portare la loro visione anche i produttori, i veri protagonisti del mercato. “Noi abbiamo la fortuna di aver diversificato, abbiamo un brand di acqua minerale, che comunque in gdo ha lavorato, mentre la ristorazione e la distribuzione su Torino si sono fermate, e il Barolo ed i nostri vini, che sono tutti di alta gamma, hanno chiaramente sofferto tanto, in Italia nel mondo. Ma per ripartire dobbiamo capire che è ora di smetterla di dare continuamente notizie allarmistiche, altrimenti non si riparte”, ha detto il produttore Paolo Damilano, che ha aggiunto: “non possiamo pensare che il futuro sia fatto solo di film sul tablet e non al cinema, o di vino bevuto solo a casa, il mondo deve tornare alla convivialità”. “Penso che ci sia una corsa al catastrofismo eccessivo - ha aggiunto Alessio Planeta - noi stiamo andando verso la vendemmia senza troppe ansie, in Sicilia l’Etna, per la prima volta, ha abbassato rese e bloccato impianti per 3 anni, è un segnale di cambio di rotta. Il momento non è facile, è evidente. In questa fase siamo stati vicini ai nostri clienti con il web, con i webinar, tasting virtuali e così via, ed è stato importante. È chiaro che sotto alcuni aspetti la filiera del vino si deve mettere in discussione, alcune cose andranno riviste. Poi è chiaro che senza horeca, senza convivialità, sarebbe un disastro, ma ho fiducia. Noi agricoltori ne abbiamo visti di tutti i colori, siamo abituati a ripartire ogni anno da zero. La pandemia ci mancava, la mettiamo nel curriculum, giriamo pagina e andiamo avanti. Coscienti che la dimensione delle aziende, piccole o grandi, non è né una soluzione né un problema. Ci sono aziende che stanno in piedi con pochi ettari e altre con migliaia, e viceversa”.
“La nostra priorità è stata mettere in sicurezza i nostri collaboratori, la forza vendita e i clienti andando loro incontro sui tempi di pagamento, per esempio, e poi abbiamo approfittato per fare formazione. Ma è cambiata anche la comunicazione, il tono, le iniziative, i contesti, e di questo si dovrà tenere conto anche nel prossimo futuro”, ha detto dal canto suo Camilla Lunelli. “Qualcosa cambierà sicuramente, ma non penso ad una rivoluzione”, ha aggiunto Gianni Gagliardo. “La digitalizzazione, il web ci hanno abituato ad alcune cose, fatto capire che si può viaggiare un po’ meno, fare degustazioni a distanza, seminari, formazione dei venditori e degli importatori, incontri con clienti. Ma il vino e la sua funzione conviviale non cambiano. Possiamo pensare ad una vita del produttore con meno viaggi, meno spese. Magari faremo più visite in cantina, più attività di accoglienza, ma non sarà una rivoluzione. Il complesso è capire come superare i prossimi mesi, nel lungo periodo non saranno tre mesi difficili a compromettere le cose”.
Vale per molti, ma non per tutti, e qualche segnale di difficoltà si vede anche dai prezzi dei vini sfusi: secondo i dati Ismea, a giugno 2020, i prezzi di molte denominazioni sono in calo importante sullo stesso mese 2019, dal -16% del Brunello di Montalcino, che comunque è sui 900 euro ad ettolitro, al caso del Barolo, a -42%, intorno ai 400 euro. “È un tema importante - risponde il barolista Paolo Damilano ad una questione posta nel webinar Unicredit/Federvini - ci sono aziende in difficoltà finanziaria e mettere sul mercato quello che ha in magazzino a prezzi non congrui a quanto fatto in questi anni per valorizzare gli investimenti, solo per coprire la crisi di liquidità. Il Consorzio si sta già muovendo per aiutare produttore maggiormente in crisi. Oggi più che mai si deve essere molto uniti, fare squadra su ogni singolo territorio, e tra produttori.”
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