“Sono cresciuto a Venezia, una città in cui si viene addestrati a bere sin dalla tenera età. Ricordo un episodio, che risale all’inizio degli anni Ottanta, quando ero un ragazzo, all’inizio di questa pestilenza del discorso super affettato sul vino e sul cibo: eravamo in un bacaro, all’epoca la città ne era piena, prima che l’orda turistica seppellisse tutto, e noi giovani partecipavamo a questa moda, discutendo di vino e analizzandolo in controluce, quando un signore che stava al fondo del bar, avvinazzato ma dai trascorsi brillanti come si poteva desumere dall’abbigliamento elegante, si trascina faticosamente al bancone, viene da noi, ci batte una pacca sulla spalla e ci dice, in dialetto: “fioi, el vin se beve (ragazzi, il vino si beve, ndr)”. Mettendo a tacere, con questo, ogni altro discorso sul vino, mi attengo alla massima di quel signore”. Così Antonio Scurati, scrittore ed accademico italiano, Premio Campiello con “Il Sopravvissuto” e Premio Strega con “M. Il figlio del Secolo”, racconta a WineNews il suo rapporto, da un punto di vista intellettuale, con il vino. Con un aneddoto apparentemente tranchant su quello che è diventato, negli ultimi anni, la narrazione del vino. Ma non è davvero così, perché, spiega Scurati, “il mio non è snobismo, e se in un mio romanzo mi sono raccontato attraverso la figura di uno chef, è perché mi rendo conto che oggi il discorso su cibo e vino ha soppiantato in un certo senso quello su cinema a arte”.
Del resto, cibo e vino, al loro meglio, sono il risultato stesso dell’interazione tra uomo e natura, un rapporto che nei millenni è riuscito a creare luoghi di una bellezza unica. “Penso alla Costiera Amalfitana, con i suoi vini ed i suoi cibi, che testimoniano una cosa: la natura non esiste, ma esistono i frutti del fecondo matrimonio tra natura e cultura. Questo è un paesaggio bellissimo, ma naturalmente ostile alla vita dell’uomo: montagne scoscese che precipitano sul mare. Nel corso dei secoli - racconta l’autore di “M. Il figlio del Secolo” - gli uomini per sopravvivere hanno umanizzato il paesaggio, generazioni di contadini e muratori che hanno creato terrazzamenti e costruito case strappandole alla roccia, coltivando terreni tutt’altro che vocati, costruendo un luogo che oggi è considerato dall’Unesco Paesaggio Vivente. Una dichiarazione felice di un territorio dalla bellezza abbacinate, che produce frutti saporiti e gustosi. Questo deve essere l’Italia, il matrimonio tra natura e cultura: cultura alta, intellettuale, ma anche cultura contadina, cultura architettonica. Questo siamo al nostro meglio, e questo è per tutti quelli che hanno occhi per vedere e palato per gustare”.
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