Se è vero che la ristorazione è un canale fondamentale per il vino italiano, il matrimonio tra cantine e ristoranti non è proprio semplice. Tanto che più di un produttore su due si dice insoddisfatto di questo rapporto. E il futuro prossimo, anche per gli effetti della Pandemia, sarà ancor più complesso, con gli stessi ristoratori segnalano che le difficoltà economiche penalizzeranno ancora la vendita di vino, soprattutto a prezzi più importanti. A dirlo un’indagine dedicata proprio al rapporto tra vino e ristorazine firmata da Wine Meridian del giornalista Fabio Piccoli e Witaly - Porzioni Cremona del critico Luigi Cremona, e che arriva dopo una stagione difficilissima, con perdite di 17 milioni di euro stimate nel primo semestre 2020 da Fipe/Confcommercio, che rileva come più di un ristorante su quattro ancora non abbia riaperto, e non sa se riuscirà a farlo nel prossimo futuro.
“Il vino aggiunge cultura e dimensione spazio-temporale alla cucina della ristorazione. Ecco perché il connubio vino e ristorazione è naturale, quanto importante - ha sottolineato Luigi Cremona nella presentazione dei primi risultati dell’indagine - la cucina vive a tempo e luogo “zero”. Il vino allarga l’orizzonte oltre il “qui e ora”, allo spazio, quello dei territori di produzione, al tempo, quello delle annate e delle storie dei produttori, e alla cultura di cui è portatore”.
Questo il senso del vino a tavola nella ristorazione, basato su un legame che va messo a punto perché possa realmente creare delle sinergie per una crescita integrata. La crisi indotta dal Covic-19 ha messo in luce l’importanza dell’horeca per il vino italiano di fascia medio-alta e l’urgenza di trovare nuove modalità di rapporto ben centrate nella conferenza, “Vino e ristorazione: cercasi nuova alleanza”, promossa dalla cantina Al Monte di Livio, inserita nel territorio delle Colline di Breganze.
“Il canale horeca è strategico per il vino italiano e mondiale - ha sottolineato Fabio Piccoli, direttore responsabile di Wine Meridian - sia dal punto di vista economico che di immagine. La reputazione delle aziende si costruisce soprattutto qui, anche se i volumi sono decisamente inferiori a quelli della gdo. L’indagine non ha valore statistico e non ha la pretesa di essere esaustiva considerando che, in Italia, i pubblici esercizi che rientrano nel canale horeca sono 350.000”.
Tuttavia, l’indagine ha il merito di accendere i riflettori sulla relazione tra le due categorie e pone le basi per un confronto e per la concertazione di strategie comuni. I risultati preliminari - su un campione di 100 referenti per ciascun settore a cui sono state poste domande con risposte preordinate a cui dare la preferenza - stigmatizzano criticità già note e secondo Fabio Piccoli “fanno emergere un desiderio di instaurare relazioni più forti, durature e costruttive, partendo da uno stato dell’arte insoddisfacente per entrambe le parti”. Ben il 55% dei produttori interpellati ritiene non soddisfacente il rapporto con il canale horeca e il 25% solo accettabile. Una insoddisfazione ascritta alla concentrazione delle carte su marchi e denominazioni del territorio (35%) e sui soliti brand più popolari (25%).
“Con 46.000 imprese che vinificano in Italia proponendo dalle 5 alle 15 etichette ciascuna - ha commentato Piccoli - è difficile che la ristorazione possa dare voce a tutte le aziende. Peraltro le carte vini molto ampie spaventano. Per anni la ristorazione è stata criticata per la mancanza in carta dei vini del territorio e che ora ci siano è una buona notizia. C’è piuttosto da chiedersi come mai le carte si concentrano solo su pochi brand e se la responsabilità è solo dei ristoratori”.
“Pigrizia dei ristoratori e poca creatività dei produttori concorrono - secondo Cremona - a determinare questa situazione. Se la clientela non viene guidata la carta con nomi noti facilita la vendita. In tempi di Covid la fiducia è fondamentale. Lo chef che prepara per noi piatti con le sue mani e con ingredienti freschi, meglio se prodotti localmente, ci dà sicurezza, come il marchio noto se manca qualcuno che conosca e racconti i vini delle aziende meno note. La presenza in sala dello chef rafforza la fiducia come quella del produttore che ci mette la faccia”.
La maggioranza dei ristoratori costruisce la carta dei vini secondo le proprie preferenze personali (30%) e seguendo consigli e proposte di distributori ed agenti (30%); il 20% si fa guidare da un rapporto di conoscenza diretta dell’azienda. L’85% propone i vini sia attraverso la carta che con i consigli del personale di sala. “Torna il tema della fiducia nell’accettare consigli e l’importanza della relazione umana, della conoscenza diretta. Il ristoratore si sente onorato - ha commentato Cremona - quando un produttore va a trovarlo. E poi c’è la centralità della sala perché lì siede il cliente. Siamo passati dalla descrizione semplificatissima “vino bianco - vino rosso” a descrizioni sapienti ed è un bene, ma non bisogna dimenticare che il cliente cerca accoglienza”.
Le altre problematiche ravvisate nella relazione con il canale horeca, con percentuali più basse, sono la scarsa disponibilità ad ampliare l’offerta (15%), a conoscere maggiormente le aziende (15%) e l’affidarsi esclusivamente ai distributori (5%). Il 5% degli intervistati, infine, denuncia una cultura enologica limitata da parte dei ristoratori, mettendo in luce la centralità del personale di sala, la cui competenza, va detto, non si costruisce facilmente.
Altro punto critico individuato dalle imprese vitivinicole riguarda la promozione dei vini nei ristoranti e nelle enoteche che il 60% degli intervistati non è ma riuscito a realizzare (il 25% solo rare volte e il 15% spesso), pur a fronte di una elevata disponibilità a farla (55%), come a dare disponibilità per formare il personale di sala e a fare consegne just in time riducendo così il magazzino ai clienti (20%).
Le aziende investono molto su fiere ed eventi e meno sulla promozione del vino in horeca che pure è importante e deve avere un taglio culturale, format specifici ed essere ripetuta sistematicamente per superare la criticità dei piccoli numeri di persone che tocca di volta in volta, concordano i giornalisti Cremona e Piccoli. A questo scopo sono più interessanti piazze poco caratterizzate dall’offerta di vini del territorio, dove il confronto con altre produzioni è aperto, come ad esempio Roma. “La promozione nella ristorazione - ha precisato Piccoli - presuppone che i produttori la conoscano, intrattengano relazioni con chi compra il loro vino e spesso questo non accade. Due mondi che non si conoscono non possono dialogare”. Ben il 60% delle aziende ritiene che la propria rete commerciale non sia adeguata per relazionarsi al meglio con il canale horeca (abbastanza per il 30% e all’altezza solo per il 10%): una situazione che evidenzia come la qualificazione delle risorse umane sia cruciale.
Fanno riflettere le percentuali su cui si aggregano le risposte dei ristoratori circa l’approccio desiderato da parte delle aziende del vino e il supporto che desiderano perché evidenziano distanza di interessi e intenzioni. Nel 30% dei casi chiedono una maggiore disponibilità a fornire vini in promozione e manifestano preferenza per le aziende con distributori (portfoli più completi e meno appuntamenti). “Per sfuggire alla logica della vendita con la leva del prezzo a cui sottostanno i vini meno noto - ha ricordato Piccoli a questo proposito - è necessario far conoscere i propri vini e avere buone recensioni dalla critica enologica, per quanto il peso di quest’ultima sia diminuito negli anni”.
Combaciano, invece, le risposte di produttori e ristoratori sulla necessità di una maggior disponibilità a consegne just in time (15%), di una relazione più diretta con l’azienda e meno con gli intermediari commerciali (15%), di conoscere meglio la realtà delle aziende attraverso visite dedicate (15%) per comprendere meglio la loro reale identità (5%).
In fatto di comunicazione e promozione dei vini, la maggioranza degli operatori horeca ha manifestato il piacere di avere proposte appositamente studiate (30%) - e qui c’è il timore di vedere i vini della propria carta anche in gdo - la richiesta che le aziende mandino più clienti nei locali (25%), organizzino in sinergia con il ristorante iniziative promozionali (20%). “Iniziative che dovrebbero essere progettate e non estemporanee - ha sottolineato Cremona - e che non escludano alcuni esercizi interessanti come le pizzerie gourmet che fanno numeri molto importanti di clienti attenti e che sono state lasciate in mano alla birra”.
Dall’osservatorio dell’horeca le difficoltà principali per i clienti nella scelta del vino sono legate a prezzi dei vini troppo elevati per disponibilità economiche attuali (25%), alla scarsa cultura enologica (20%), alla modifica degli stili di vita (mai il vino a pranzo ad esempio), alla concentrazione dei soliti brand noti (20%), lamentata anche dagli stessi produttori, alla preferenza di bevande più “facili” come la birra (10%) e alla difficoltà a capire il giusto abbinamento (5%).
Infine, sugli scenari futuri circa cosa cambierà nel post Covid-19, tra i produttori le posizioni si dividono tra chi pensa che vi sarà una diversificazione dei modelli di distribuzione (online, home delivery, vendita diretta, ecc, il 40%), tra chi ritiene che vi saranno nuove relazioni commerciali con rapporti più a distanza (30%) e una maggiore richiesta di vini sostenibili (25%). Solo il 5% ha optato per una diminuzione della vendita nel canale horeca. Per parte loro gli operatori del canale hanno risposto per il 45% che si consumeranno vini più economici, per il 20% vini italiani o del territorio, mentre il 15% pensa che si richiederanno di più vini biologici e bevande alternative.
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