Se il vino italiano è in sofferenza come lo è quasi ogni comparto, è pur vero che il settore è stato protagonista di una crescita imponente negli ultimi 20 anni, e che ha tutte le carte in mano per riprendere a correre nell’era post Covid. Una testimonianza viene dal costante interesse dei fondi di investimento, sempre a caccia di aziende o pacchetti azionari, quasi sempre di maggioranza, guardando a realtà solide e con grandi potenzialità di sviluppo. Come il gruppo laziale Femar-Poggio Le Volpi della famiglia Mergè , realtà che sviluppa un fatturato intorno ai 40 milioni di euro, e produce 15 milioni di bottiglie, con particolare attenzione ai vitigni autoctoni di Lazio, Puglia, Abruzzo, Sicilia e Campania, e che, da rumors intercettati dai WineNews, sarebbe nell’interesse di due grandi fondi di investimento, ovvero il fondo Clessidra di Carlo Pesenti (sotto il controllo della holding di investimenti Italmobiliare Spa, e che starebbe puntando a mettere insieme un polo del vino da 400 milioni di euro di giro d’affari, e che sarebbe in fase di trattativa anche per la maggioranza di Botter, in attesa che si risolvano le controversie legali su presunti illeciti da parte di un fornitore, vicenda alle quali la casa vinicola di Fossalta di Portogruaro si è dichiarata “completamente estranea alla vicenda e, se mai, vittima degli illeciti che s’ipotizzano commessi da parte di un fornitore salentino”, come già riportato nei mesi scorsi da WineNews) ed il fondo Equinox, con sede in Lussemburgo ma fondato dal finanziare italiano Salvatore Mancuso, recentemente scomparso.
Rumors che confermano un interesse degli investitori nel settore, per molti aspetti confortante, che non si è mai fermato neanche nel 2020 del Covid e della crisi economica che la pandemia ha innescato, che ha visto, ad inizio anno, il passaggio di Farnese Vini dalla Nb Renaissance Partners alla americana Platinum Equity (con l’azienda abruzzese sempre guidata da Valentino Sciotti), e, in maggio, l’ingresso al 5% della Red Circle di Lorenzo Rosso (Diesel) nel capitale di Masi Agricola (la cui maggioranza resta saldamente nelle mani della famiglia Boscaini, ndr), per citare le due operazioni più rilevanti
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